Caglio Francesco

Francesco Caglio
Immagine: Anpi Monza
Nome: Francesco
Cognome: Caglio
Luogo di nascita: Lesmo
Provincia/stato: Milano
Data di nascita: 02/08/1909
Luogo di morte: Carpi
Provincia/Stato morte: Modena
Data di morte: 12/07/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Francesco Caglio nacque il 2 agosto del 1909 a Lesmo, piccolo paese in provincia di Milano, ma trascorse tutta la sua giovinezza ad Arcore. Rimasto orfano di madre all’età di tredici anni, decise in quel periodo di coltivare la speranza di potersi fare prete. Terminati gli studi elementari e medi, dopo un breve periodo di lavoro, scelse di non dare ascolto alla netta opposizione del padre e di entrare nel convento dei frati cappuccini di Sarzana, in provincia di La Spezia, passando poi al convento di Savona. Pur rimanendo convinto della bontà della sua volontà, a causa di alcuni problemi di salute fu costretto a interrompere il suo percorso vocazionale e fare ritorno ad Arcore. Desideroso di contribuire alle finanze familiari, riuscì a farsi assumere come magazziniere al locale stabilimento della Gilera.

In questo periodo, avvicinatosi agli ambienti dell’oratorio del suo paese, si iscrisse al locale circolo Giac e iniziò un’intensa attività di propagandista per l’associazione. Nel corso del tempo venne anche designato in qualità di insegnante laico di catechismo. Il 30 dicembre del 1937 convolò a nozze con Erminia Rivolta con cui successivamente ebbe due figlie e, dopo il matrimonio, fu assunto come operaio alla Bestetti Aeronautica dove rimase fino al momento del suo arresto nel 1944.

Dal 1942 C., nel frattempo passato all’Unione uomini di Azione cattolica, si dedicò con sempre maggior dedizione all’apostolato tra i lavoratori e gli operai nelle fabbriche del territorio e a più riprese venne scelto come propagandista per operare nella zona di Monza e di Lecco. Proprio questo attivismo gli tornò particolarmente utile quando, nei mesi successivi alla ratifica dell’armistizio di Cassibile, poté sfruttare la rete di contatti e di conoscenze assicuratesi con la sua opera nell’associazione per riuscire a rimanere sempre informato delle attività delle formazioni partigiane e, contestualmente, per intraprendere una più decisa attività politica in favore della Democrazia cristiana. In particolare, nell’ottobre del 1943 iniziò, con l’ausilio dei due coadiutori della parrocchia di Sant’Eustorgio don Domenico Villa e don Giuseppe Villa, a dare supporto ai militari sbandati e ai giovani renitenti alla leva repubblichina per indirizzarli verso le bande clandestine che andavano formandosi in montagna. Presi contatti con i gruppi resistenziali attivi a Vimercate e a Monza, C. si inserì tra le fila della brigata del Popolo di Monza. Grazie al suo lavoro alla Bestetti, considerata fabbrica di rilievo bellico, il giovane godette di una certa libertà d’azione e riuscì ad assicurarsi permessi di circolazione che gli diedero la possibilità di assistere allo sviluppo delle formazioni partigiane della zona. Diversi furono i suoi viaggi svolti con un camioncino aziendale per portare in montagna viveri, materiale, armamenti e persino i finanziamenti messi a disposizione dal locale Cln.

Il 6 marzo del 1944, probabilmente in seguito a delazione, venne raggiunto da una pattuglia di militi della Rsi guidata dal comandante dell’Ufficio politico investigativo e posto in stato di arresto insieme ad altri tre compagni di Arcore con l’accusa di fiancheggiamento all’attività partigiana, possesso di armi e collaborazione nell’opera di soccorso a ebrei e ricercati.

Inizialmente condotto nel carcere temporaneamente allestito dai nazifascisti nella Villa Reale di Monza, successivamente fu trasferito nelle carceri giudiziarie di via Mentana della stessa città. Sottoposto a duri interrogatori, venne a più riprese minacciato, percosso e torturato per indurlo a rivelare informazioni utili all’individuazione della cellula partigiana con cui era in contatto. Nonostante il trattamento ricevuto, C. ribadì la sua volontà di non rivelare alcunché ai suoi aguzzini e di non cedere alle pressioni ricevute. Il 16 marzo ebbe la possibilità di scrivere una lettera alla moglie nella quale evidenziava una grande incertezza per il suo futuro: «sono al Carcere Giudiziario di Monza, non so altro, per il momento sto bene! È una grande prova la mia, coraggio Mina il Signore non mancherà di aiutarci. Non ho mai pensato a te e alle bambine come ora. Perdonami! […] Scrivimi spesso, sarà per me un grande sollievo».

A fine aprile, vista la sua risolutezza, venne condotto al carcere di San Vittore a Milano e, quindi, internato nel campo di concentramento di Fossoli dove giunse il 6 giugno del 1944. In questa nuova destinazione gli venne dato il numero di matricola 1610 e si vide assegnato prima alla baracca 21, poi spostato nella 16A, quella degli internati politici. Così descriveva pochi giorni dopo il suo arrivo l’impatto avuto con il campo: «L’ordine di partire fu per tutti noi una sorpresa, si riprendeva ad andare verso l’incerto; il viaggio durò molte ore, fu poco buono, in compenso fu felice l’arrivo poiché trovammo una cordiale accoglienza da parte di coloro che già si trovavano qui da qualche mese e venuti anche loro da S. Vittore. Con noi c’erano due cari sacerdoti; altri ne trovammo qui al campo, prigionieri pure loro. Ormai siamo tutti sistemati in un solo capannone e si fa vita in comune. I capannoni sono parecchi e ciascuna fa circa 100-120 internati. Il paesaggio è abbastanza pittoresco, la vita così varia e senza l’incubo di S. Vittore». Il 21 dello stesso mese gli venne annunciata la sua imminente partenza per la Germania (probabilmente per raggiungere un altro gruppo di internati a Mauthausen), evenienza che egli si affrettò a comunicare alla moglie: «si parte di nuovo per ignota destinazione. […] Appena saremo arrivati alla nuova destinazione ci faremo premura di farvi avvisati». Nonostante l’iniziale timore, però, la partenza venne scongiurata: «Sembrava, in un primo tempo, che dovessimo partire subito anche noi come Bestetti e compagni, però fino ad ora nulla di nuovo, tuttavia è pericoloso farsi illusioni perché qui si fa presto a partire da un’ora con l’altra. Confido nel Signore e mi abbandono alla Sua sempre misericordiosa Volontà».

L’11 luglio il nome di C. venne inserito nella lista dei settantuno condannati alla fucilazione – alla fine divenuti sessantasette per la cancellazione di un internato da parte dei comandi tedeschi, per la fuga di altri due durante il trasporto e per l’occultamento nella struttura di Olivelli grazie all’ausilio di Focherini – scelti per quella che prima della fucilazione fu dichiarata essere una rappresaglia dovuta all’attentato ordito a fine giugno da una formazione di partigiani genovesi ai danni di un plotone di militari delle SS, anche se probabilmente la motivazione deve in realtà essere ricercata nella volontà di sgombero imminente del campo e la relativa eliminazione dei prigionieri più pericolosi. All’alba del giorno successivo il gruppo venne condotto nel vicino poligono di tiro di Cibeno, a Carpi, dove subirono l’esecuzione della condanna e furono tutti seppelliti in un’unica fossa comune.

Dopo la liberazione la sua salma, contrassegnata all’esumazione col numero 60 e riconosciuta dalla moglie, venne seppellita nel cimitero cittadino di Arcore.

Fonti e bibliografia

  • Archivio Fondazione ex Campo Fossoli, b. Martiri di Fossoli IV, fasc. Caglio Francesco.
  • Fulvio Ferrario,Francesco Caglio, Tipografia Sociale, Monza 2004.
  • Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari,Uomini nomi memoria: Fossoli 12 luglio 1944, Nuovagrafica, Carpi 2004, pp. 46-47.
  • Mario Avagliano, Marco Palmieri,Voci dai lager. Diari e lettere di deportati politici italiani 1943-1945, Einaudi, Torino 2012, p. 217.

Hanno fatto parte di Unione uomini di Azione cattolica anche:

ISACEM – Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
Via Aurelia, 481 – 00165 Roma. Tel. 06.66 27 925 – 06.66 132 443 – info@isacem.it

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