Mariano Buratti nacque il 15 gennaio 1902 a Bassano di Sutri, comune in provincia di Viterbo, da Benedetto Buratti e Maddalena Zucchi, figlio primogenito di una famiglia di possidenti terrieri. La prima formazione giovanile fu impartita a B. nel paese natale. Venne in seguito ammesso al seminario di Sutri, vicino Frosinone, dove ebbe modo di attendere agli studi ginnasiali. Fu in questi anni che frequentò assiduamente il circolo giovanile dell’Ac interna al seminario. Iscrittosi, quindi, al liceo di Alatri conseguì il diploma.
Il 27 gennaio 1922 ebbe inizio la sua carriera militare; venne infatti chiamato alle armi per adempiere al proprio obbligo di leva, vedendosi assegnato al Battaglione radiotelegrafisti di stanza a Roma. Solo quattro mesi più tardi venne invece trasferito prima al distretto militare della stessa città e, in un secondo tempo, fu ammesso a frequentare il corso allievi ufficiali di complemento dell’Arma di Fanteria al quale si iscrisse con il grado di caporale. Nel corso del mese di marzo del 1923 fu assegnato al LX Reggimento Fanteria, con il grado di sergente allievo. Il 19 luglio dello stesso anno, nominato sottotenente di complemento, prestò il proprio giuramento di fedeltà al Re. Fu con quest’ultimo grado che venne assegnato al XXVI Reggimento Fanteria «Bergamo», di stanza a Piacenza. Prestò servizio, in seguito, nel comando di una compagnia di mitraglieri nel presidio della città di Fiume, durante il periodo che anticipò l’annessione della città all’Italia. Fu in questo suo impegno che conobbe Cristina Pollak, di Villa del Nevoso, che egli anni successivi sarebbe diventata sua moglie. Il 7 novembre 1923 B. fu posto in stato di congedo illimitato e richiamato in patria. Fatto dunque ritorno a Bassano, B. chiese di essere riammesso in servizio, al seguito del Regio Corpo delle truppe italiane in terra libica, dove era stato destinato il suo reggimento dopo la sua dipartita. La sua domanda venne rigettata dal Ministero della Guerra e il congedo gli venne nuovamente confermato dal comando del Corpo d’Armata di Trieste, al quale si era direttamente rivolto.
Vista l’impossibilità di essere richiamato sotto le armi, B. decise di riprendere gli studi, iscrivendosi in quegli anni alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma e coltivando la propria passione per la letteratura. Dopo alcuni mesi, desideroso di tornare in servizio militare, decise di fare richiesta per essere richiamato presso la Regia Guardia di Finanza e, accolta la sua domanda, venne convocato a Maddaloni, in provincia di Caserta, per sostenere il corso presso la Legione Allievi, dove si iscrisse il 12 giugno del 1924 col grado di allievo finanziare. Assegnato al 2° Plotone della II Compagnia, ebbe modo di conoscere il capitano Filippo Crimi, futura figura di spicco della Resistenza romana.
Tra il 1924 e il 1929 fu costretto a diversi spostamenti dovuti all’avanzamento della sua carriera militare. Il 1° ottobre del 1924 infatti, a seguito della sua nomina a sottoufficiale, venne assegnato su sua richiesta alla Legione territoriale di Trieste. Da qui fu spostato successivamente al circolo di Postumia, nella compagnia di Bisterza, piccola frazione del comune di Villa del Nevoso. Poco tempo dopo dovette subire un nuovo trasferimento vedendosi spostato alla caserma della Guardia di finanza definita «Quota 909», sistemazione particolarmente impervia vista l’altitudine raggiunta e le difficoltà nelle comunicazioni. Fatto ritorno, il 2 febbraio 1925, a Bisterza vi rimase fino al novembre dello stesso anno, per poi essere nuovamente spostato prima a Fontana del Conte, in provincia di Fiume, e solo un anno dopo in provincia di Pola, prima presso la Brigata di Sezza e, successivamente, alla Brigata di Struggano.
Il 1° agosto 1926 B. venne richiamato a Maddaloni, per assumere l’incarico di istruttore delle reclute presso la Legione Allievi che lui stesso aveva frequentato solo pochi anni prima. Chiese, e ottenne, la revoca del trasferimento il 1° dicembre, riuscendo a tornare a Trieste. Il 12 giugno dell’anno successivo terminò il periodo di ferma e venne posto in congedo illimitato, quindi si vide assegnato al centro di mobilitazione della Legione Regia Guardia di Finanza di Roma. Dopo una sosta a Lecco, nei primi mesi del 1929 B. si fermò a Trieste dove, il 16 febbraio, convolò a nozze con la Pollak, spostandosi a Villa del Nevoso. Il 27 maggio 1930 B. terminò la sua peregrinazione in giro per l’Italia, facendo ritorno nelle sue zone di origine e prendendo dimora a Marino, in provincia di Roma, dove si avvicinò alla famiglia che da Bassano di Sutri si era spostata nella capitale. In questa nuova sistemazione B. dovette assistere alla morte della prima figlia, Maddalena, alla memoria della quale dedicò una lirica di suo composizione dal titolo Acerbo Funere. La sfortuna non lo abbandonò visto che, dopo essersi spostato a Grottaferrata nel 1931, nel maggio 1933 fu costretto a subire anche la perdita della moglie e di una seconda bambina che non sopravvissero a un travagliato parto. Nel corso del 1934, particolarmente colpito dagli eventi, curò la raccolta delle sue liriche in un volume dal titolo Focolare spento, ispirate anche al suo dramma personale e familiare. A seguito di queste vicende, decise di raggiungere la casa dei genitori a Roma e venne assunto come maestro nella scuola elementare «Ferrante Aporti».
Quando il regime fascista annunciò la propria volontà di invadere l’Etiopia per guadagnare il proprio «posto al sole», B. decise di fare richiesta per arruolarsi nuovamente nel Regio Esercito. Rifiutata dal Ministero della Guerra la sua istanza di essere reintegrato quale ufficiale di complemento e confermatogli il congedo da parte del comando della Guardia di Finanza, decise di fare richiesta per essere ammesso, in qualità di volontario, tra le fila della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Avuta la conferma del proprio arruolamento, venne assegnato alla CXII Legione dell’urbe e chiese di essere inviato in Africa Orientale.
Nominato caposquadra grazie alla formazione militare che gli era stata impartita nel corso degli anni passati sotto le armi, B. il 9 novembre del 1935 sbarcò a Massaua, in Eritrea. Venne promosso pochi giorni dopo e prese il comando del CXV Battaglione della Milizia. A capo del suo reparto di «camicie nere» partecipò a diverse battaglie nel suolo africano, salvo doversi ben presto fermare a causa di una grave malattia tropicale che lo costrinse a lunghe licenze per le cure e la convalescenza. Dopo essere stato visitato in diversi ospedali, il 30 aprile del 1937 si vide costretto ad accettare il congedo illimitato per malattia e l’ordine di fare ritorno in patria.
Fu a causa di questa sopravvenuta patologia che B. decise di allontanarsi definitivamente dalla carriera militare e riprendere gli studi di storia e letteratura. Tornato a Viterbo il 30 settembre 1937, B. si sposò con Maria Luisa Bianchini, dalla quale nel 1942 nacque il figlio Enzo Maria e, insieme a lei, prese domicilio a Roma. Fu in questi anni che ebbe la possibilità di riprendere la propria professione di maestro elementare presso l’Istituto «Ferrante Aporti».
Nel giugno del 1941, B. terminò il suo percorso di studi presso l’Università di Roma La Sapienza, conseguendo la laurea in Pedagogia. Fu pochi mesi dopo che, vincendo il concorso per il ruolo di professore negli istituti superiori, accettò la cattedra di storia e filosofia presso il Liceo «Umberto I» di Viterbo. Nello stesso periodo, mentre si preparava per la dissertazione della propria tesi, il comando della IX Legione della GdF gli fece pervenire, in maniera del tutto inaspettata visto il congedo al quale era stato costretto, la cartolina di richiamo sotto le armi. Prese servizio col grado di brigadiere ma, avendo il desiderio di terminare gli studi e conseguire la laurea, si fece ben presto ricoverare presso l’ospedale militare «Celio» e diagnosticare il ripresentarsi dei sintomi della malattia tropicale che lo aveva colpito negli anni della sua permanenza in Etiopia. Ottenuti tre mesi di licenza per la convalescenza, riuscì a farsi accettare, vista la presenza di due fratelli sotto le armi, la richiesta di essere posto nuovamente in congedo, ratificata dal comando solamente il 12 febbraio del 1942.
Quando, il 20 luglio 1943, le forze anglo-americane sbarcarono sul suolo nazionale, B. venne ancora una volta, suo malgrado, chiamato sotto le armi e assegnato alla Compagnia di Viterbo. Lamentando nuovamente la propria malattia, chiese di essere spostato a Roma e fu sottoposto a visita medica al «Celio» durante la quale, come sperava, la Commissione medica ospedaliera gli concesse due mesi di convalescenza, accettati e controfirmati dal «Brigadiere Mariano Buratti», come si legge nel documento di attestazione prodotto dall’ospedale il 1° agosto del 1943. B. ebbe dunque il permesso di far ritorno a casa e di riprendere la sua attività di professore.
Fu dunque in questo contesto che l’8 settembre 1943 B. venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio. Già vicino agli ambienti del Partito d’Azione, del quale proprio in questo periodo aveva aperto una sezione nella città di Viterbo, non ebbe esitazioni nel decidere da quale parte schierarsi. Grazie alla rete politica che andava creandosi intorno alla sua attività, riuscì a organizzare una banda partigiana e, rifiutando di presentarsi alla caserma della Gdf di Viterbo al termine del periodo di convalescenza, iniziò ufficialmente il suo periodo di clandestinità nelle fila della Resistenza.
Con la sua banda e col fratello Angelo si spostò da Viterbo a San Martino al Cimino. Fu in questa zona che la formazione andò ingrossandosi raccogliendo tra le propria fila soldati sbandati, giovani renitenti ai bandi di reclutamento della Rsi e lavoratori che rifiutavano di prestare servizio per la forza di occupazione tedesca. La composizione geografica della zona dei Monti Cimini permise a B. di organizzare diverse operazioni, vista la possibilità di trovare immediato riparo nelle aree boschive circostanti. Nonostante questa buona dose di copertura che assicurava, il territorio dei Cimini dovette essere ben presto abbandonato, a causa delle rappresaglie che le truppe nazifasciste mettevano in campo contro la popolazione locale, accusata di collaborazione con i partigiani. La formazione spostò diverse volte il suo raggio d’azione, prima verso il monte Fogliano, poi presso il lago di Vico. Dopo aver messo a segno diverse operazioni, alcune anche di grande complessità come l’abbattimento di un aereo ricognitore tedesco, la cosiddetta «Banda del Cimino» entrò a far parte del raggruppamento «Monte Soratte».
Diverse furono le attività nelle quali venne impegnato B. Al ruolo di informatore dell’Office of strategic services, servizio segreto statunitense operante anche nella Roma occupata e che faceva riferimento all’agente Peter Tompkins, affiancò una costante azione di scontro e sabotaggio contro le truppe nemiche. L’episodio di maggior rilievo che vide protagonista la sua banda fu certamente quello del 26 ottobre del 1943, quando, sulla via Cassia, una delle arterie viarie principali del territorio laziale, nei pressi di Villa San Giovanni in Tuscia, i suoi uomini affrontarono in combattimento una formazione tedesca che era in marcia verso il settentrione. Nello scontro le truppe nemiche subirono diverse perdite, ma successivamente reagirono in maniera veemente scatenando una forte rappresaglia sulle popolazioni locali.
Appresa la notizia della violenza tedesca contro i civili, B. decise di sciogliere la banda per dar modo a tutti di salvarsi da una nuova probabile offensiva tedesca. Gli uomini furono liberi di tornare nei loro luoghi di origine o di continuare in piccoli nuclei l’azione di sabotaggio nel territorio della Tuscia.
Il 12 dicembre 1943 a Ponte Milvio, mentre B. viaggiava a bordo di un’automobile in direzione di Viterbo insieme a due compagni, venne fermato da una pattuglia di SS e posto in stato di arresto. Tradito da un probabile delatore a lui molto vicino, lo condussero inizialmente al carcere di Regina Coeli, dove gli contestarono il «porto d’armi abusivo», come è possibile riscontrare nella scheda matricolare redatta dal personale del carcere, e gli chiesero conto della ingente somma di denaro che portava con sé.
Dopo diversi giorni, visto il fermo proposito di non rivelare alcuna informazione utile agli aguzzini, B., insieme ai compagni che condividevano la prigionia con lui, fu trasportato alla caserma di via Tasso, sede della Polizia di sicurezza tedesca al comando del maggiore Herbert Kappler. Fu in questo luogo di detenzione che B. venne, a più riprese, fatto oggetto di lunghi interrogatori e di brutali torture per estorcergli i nomi degli uomini che collaboravano con lui alla guida della Resistenza locale e che dunque coordinavano le azioni delle bande operanti nel viterbese. A nulla valsero le numerose sevizie alle quali B. venne sottoposto: i tedeschi non riuscirono a ottenere nessuna testimonianza contro i suoi compagni e anzi, addossando a sé tutte le responsabilità dell’attività partigiana contestata, scagionò diversi uomini dalle accuse di collaborazionismo con la Resistenza.
Il 31 gennaio 1944, insieme ad altri tre compagni di detenzione, B. lasciò via Tasso a bordo di una camionetta tedesca e, dopo una breve sosta al carcere di Regina Coeli in cui vennero fatti salire altri cinque detenuti, venne condotto a Forte Bravetta, sito nel suburbio Gianicolense nella periferia occidentale di Roma, divenuto tristemente noto per essere il luogo deputato alle esecuzioni dei condannati a morte. Dopo aver avuto i conforti religiosi da don Antonio Surano, in servizio al Collegio dei Cento Preti e cappellano del carcere di Regina Coeli, B. venne condotto di fronte a un plotone della Polizia Africa italiana e, insieme agli altri otto compagni di prigionia, fu fucilato in ottemperanza alla condanna ricevuta dal tribunale militare tedesco che incriminava i detenuti di essere soggetti particolarmente pericolosi «perché preparavano atti di sabotaggio contro le forze armate germaniche e capeggiavano altri attentati contro l’ordine pubblico della città di Roma». Fu, successivamente, proprio don Surano a testimoniare le ultime parole di B. che, seduto su una sedia con le mani legate in attesa della fucilazione, gridò davanti ai soldati che formavano il plotone «Viva l’Italia!».
Il corpo senza vita di B. venne sepolto, insieme a quelli dei suoi compagni fucilati insieme a lui, in una fossa comune nel cimitero del Verano. Fu solo alcuni mesi dopo la liberazione della capitale che la sua famiglia, con l’ausilio di alcuni dipendenti del cimitero, riuscì a recuperare la salma del proprio congiunto, per celebrare il funerale che era stato negato alle vittime di Forte Bravetta. Successivamente venne tumulata nel sepolcro monumentale eretto nello stesso cimitero, in ricordo di tutti coloro che vennero fucilati nel corso dei mesi di occupazione tedesca della Capitale.
Alla imperitura memoria del sacrificio di B. e a testimonianza della sua attività in seno alla Resistenza gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di partigiano combattente con la seguente motivazione: «Nobilissima tempra di patriota, valente ed appassionato educatore di spiriti e di intelletti. Raccoglieva intorno a sé, tra i monti del Viterbese, un primo nucleo di combattenti dal quale dovevano sorgere poi valorose formazioni partigiane. Primo fra i primi nelle imprese più rischiose, animando con l’esempio e la parola i suoi compagni di lotta, infliggeva perdite al nemico e riusciva ad abbattere un aereo avversario. Arrestato in seguito a vile delazione, dopo aver sopportato, con la fierezza dei forti e col silenzio dei martiri, indicibili torture, veniva barbaramente trucidato dai suoi aguzzini. Esempio purissimo di sublime amor di Patria. Monti del Viterbese – Roma, 31 gennaio 1944».