Aldo Dall’Aglio nacque a Roncocesi, frazione di Reggio Emilia, il 6 novembre 1919. I genitori, insieme a due suoi zii, conducevano un podere di proprietà, che permetteva alla famiglia una vita non agiata ma dignitosa. Dopo aver frequentato le prime classi delle elementari nelle cosiddette ville attorno al capoluogo, concluse il ciclo a Pieve Modolena, recandosi a scuola in bicicletta. Dal 1931 al 1933, sempre con il fedele mezzo di trasporto, frequentò il ginnasio inferiore al seminario celestiniano di Cadelbosco Sopra, per poi proseguire gli studi presso l’Istituto magistrale «Principessa di Napoli» di Reggio Emilia, diplomandosi nel 1939. A Villa Cella a quattordici anni, quando fu destinato in parrocchia don Luca Pallai, entrò nel circolo della Gioventù italiana di Azione cattolica, irrobustendo la formazione religiosa ricevuta in famiglia: «Voglio mostrare agli amici – scrisse in una nota spirituale – un volto più atteggiato al sorriso, una purezza di parole che dimostri la purezza dell’anima e del corpo […]. Questo il proposito: vivere con piena operosità e amore». Divenuto presidente del circolo parrocchiale e poi delegato della zona, dopo il diploma fu nominato presidente diocesano del Movimento maestri di Azione cattolica.
Alla fine del 1941 frequentò il corso allievi sottufficiali a Salemi, completandolo poi con il corso ufficiali che gli valse il grado di sottotenente di complemento. Destinato in Jugoslavia, visse l’esperienza bellica in un teatro caldo, impegnato nel fronteggiare la guerriglia di liberazione condotta dai partigiani guidati dal comunista Tito. Qui l’8 settembre del 1943 fu colto dall’annuncio dell’armistizio e fece ritorno in Italia con alcuni suoi soldati. Dopo essere entrato in contatto con il movimento resistenziale della pianura, il 19 giugno 1944 salì in montagna e si unì alla 144ª Brigata Garibaldi, che fu impegnata duramente nel fronteggiare l’imponente rastrellamento di luglio. D. divenne, per le sue doti acquisite in guerra, comandante di battaglione ma entrò in dissidio con i metodi utilizzati che più in generale riflettevano l’ideologia comunista: «La Croce – scrisse – è l’unica ancora di salvezza: gli uomini si dibatteranno tra gli orrori e gli errori, ma se vogliono la pace dovranno rivolgersi a quella. Non la politica eguaglia, come ora si sta sbandierando ai quattro venti, ma solo lo Carità». Nel contempo, fissò la scelta che aveva maturato dopo l’armistizio: «Il vero partigiano in questo momento dovrebbe essere qualcosa di superiore, animato solo per la giustizia e la verità, senza sconfessioni e sotterfugi, assertore della libertà e dei propri diritti». Con la costituzione nel settembre 1944 delle Fiamme Verdi, formazione autonoma di ispirazione cattolica guidata da don Domenico Orlandini «Carlo», si aprirono intense discussioni nei comandi militari e anche all’interno del Cln provinciale. Alcuni garibaldini passarono al neonato raggruppamento. D. con il nome di battaglia di «Italo» si aggregò il 15 dicembre 1944, divenendo ben presto aiutante maggiore e vicecomandante. Il 7 gennaio 1945 i tedeschi lanciarono un’offensiva estesa in tutta la zona appenninica reggiana, per tenere libere le vie di fuga su un’arteria strategica. Il grande rastrellamento fu contrastato dalle formazioni partigiane con numerosi combattimenti. L’11 gennaio, nella battaglia nei pressi del monte Prampa, a Coriano, frazione di Villa Minozzo, D. si fermò per coprire l’arretramento della sua squadra e fu colpito a morte. In suo onore, la 284ª Brigata delle Fiamme Verdi fu intitolata «Italo». D. fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Aiutante maggiore di Brg. prendeva il comando di un reparto impegnato in difficile combattimento contro rilevanti forze nemiche in azione di rastrellamento. Sfidando le intemperie ed un freddo eccezionale, rimaneva per lunghe ore in delicata postazione, finché in un più violento attacco cadeva colpito immolando la sua vita di purissimo Patriota».