Bernareggi Franco

Franco Bernareggi
Immagine: Archivio famiglia Bernareggi
Nome: Franco
Cognome: Bernareggi
Luogo di nascita: Biassono
Provincia/stato: Monza e Brianza
Data di nascita: 10/03/1927
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Franco Bernareggi nacque a Biassono, in provincia di Monza e Brianza, il 10 marzo del 1927. Cresciuto in un ambiente dalle radicate tradizioni religiose, la sua famiglia era impegnata nel lavoro presso una grande filanda e nella coltivazione delle terre di proprietà. Nel ricordo di B. è tuttora molto vivo il ricordo della profonda religiosità che si respirava nella sua casa: «Ogni sera la nonna recitava il Rosario e ciascuno rispondeva devotamente. Siccome la mamma doveva badare ad altri fratellini minori, a turno una zia mi accompagnava a dormire, prendendomi per mano e recitando le preghiere».

In questo contesto, B. frequentò i primi tre anni di scuole elementari presso una scuola rurale che raccoglieva i ragazzi delle cascine lontane dal paese, distinguendosi per il suo impegno scolastico. Al saggio della terza classe, infatti, «tra il profitto ed il canto con le bandiere», venne riconosciuto come l’alunno con il miglior rendimento e premiato dal podestà locale che, in divisa militare, gli consegnò una «bella moneta d’argento».

All’età di dieci anni B. si trasferì insieme alla famiglia a Monza dove il padre aveva trovato occupazione. Nella città brianzola il giovane continuò le scuole elementari e, successivamente, si iscrisse a un locale istituto tecnico per geometri e ragionieri, frequentando i quattro corsi inferiori. Pur desideroso di continuare gli studi, durante il periodo bellico fu costretto a sospendere il percorso scolastico perché, in quanto maggiore di quattro fratelli, gli venne chiesto di trovarsi un impiego per contribuire alle finanze familiari. Rispondendo dunque a questa sollecitazione, egli decise di lavorare durante il giorno e continuare a frequentare le scuole serali di via Santa Marta a Milano riuscendo, non senza sacrifici, a diplomarsi come perito industriale.

In questi anni fu molto attivo anche negli ambienti dell’associazionismo cattolico. Nella sua testimonianza, infatti, ricorda: «All’oratorio di Monza mi accompagnò un cugino e mi integrai facilmente nell’ambiente. In principio ero attratto dai giochi, dal cinema con Tom Mix contro i banditi e dalle immancabili comiche con Ridolini e con Stanlio e Ollio. Poi incominciai ad interessarmi anche al catechismo, seguendo una intelligente iniziativa dei dirigenti, che distribuivano piccole tesi con semplici domande, seguite da graduatorie a premi per le migliori risposte». A questo contatto con l’oratorio fece seguire, quasi naturalmente, la sua adesione alla Giac (prima tra gli Aspiranti e poi come effettivo) che lo spinse a molteplici attività in campo spirituale: «maggior impegno per il buon esempio, pellegrinaggi ai vari Santuari e soprattutto la partecipazione agli esercizi spirituali. Il primo, con grande raccoglimento, avvenne presso l’Istituto del Sacro Cuore a Triuggio, non lontano da Monza. Il secondo in una località dell’alta Brianza, con più partecipazione ed entusiasmo, perché eravamo in tanti e, oltre alle preghiere e le riflessioni, partecipavamo tutti con allegria a giochi e simpatici intrattenimenti. Con grande dedizione, ci guidava il prof. Giuseppe Lazzati, coadiuvato da don Celeste, Brasca e Tufigno».

Durante la guerra, B. trovò dunque impiego presso una grande ditta di meccanica alla periferia di Milano, vicino a Sesto San Giovanni. Il compito assegnatogli era quello di coadiuvare un dirigente nel coordinare i collegamenti tra ufficio tecnico, officina, montaggio e collaudo, sulla base delle ordinazioni emesse dagli uffici commerciali. Come raccontato nelle sue memorie, durante l’ottobre del 1944 un gruppo di giovani aderenti all’Azione cattolica venne ricevuto nel retro dell’arcivescovado di Milano dal cardinale Ildefonso Schuster che, «dopo una breve preghiera» e aver «salutato tutti chiamando per nome uno alla volta», si intrattenne con loro per fare una «panoramica sulla situazione della guerra che volgeva alla fine» e per illustrare dettagliatamente «le ideologie comuniste e naziste, spiegando i pericoli nei confronti della società civile e della dottrina della Chiesa».

È a questo periodo che si deve ascrivere l’episodio che portò il giovane ad essere affrontato, mentre percorreva una via di Milano con i libri sottobraccio per recarsi alla scuola serale insieme ad altri colleghi, da un milite delle Brigate nere. B., dopo essere stato «insultato perché al bavero della giacca portavo il distintivo con la croce», venne fermato e «colpito più volte al collo con il calcio del mitra» fino a che, spinto contro un muro, si vide anche minacciato di immediata fucilazione. La situazione fu risolta dall’intervento di altri militi del presidio che, liberato il ragazzo, lo lasciarono andare. Qualche giorno dopo, tuttavia, anche sul luogo di lavoro dovette riscontrare alcuni problemi di natura politica visto che, distante dalle discussioni e dalle attività della cellula di uomini legati al Pci, interna alla fabbrica, venne avvicinato da alcuni colleghi che lo accusarono apertamente di essere una spia fascista. Pur temendo per la sua incolumità personale, il ragazzo si difese energicamente dall’accusa rivoltagli, raccontando proprio l’episodio dello scontro avuto con i militi fascisti e chiamando a testimoniare un impiegato dell’ufficio tecnico che, molto conosciuto per i sentimenti socialisti, prese le sue difese confermando la sua buona condotta.

Fu in questo contesto che B. si avvicinò al movimento di liberazione nazionale visto che, insieme ai compagni che frequentavano «l’oratorio della comunità degli Artigianelli» insieme a lui, decise di entrare a far parte di un gruppo che si radunava clandestinamente agli ordini di un ufficiale degli alpini che aveva il compito di preparare i ragazzi all’utilizzo delle armi in vista dei possibili combattimenti contro i nazifascisti. Nelle giornate che portarono alla liberazione di Monza, quindi, si unì ai giovani del suo oratorio e, «con il fazzoletto azzurro sulle spalle, armato col fucile 91 e con bombe a mano», partecipò alle operazioni che portarono alla resa del contingente nazifascista ancora presente in città. In questo modo ha descritto quelle «ore interminabili» nelle sue memorie: «Furono ore di tensione e di angoscia, in un silenzio irreale le strade si erano fatte deserte; di là c’erano tanti tedeschi appostati alle mitragliatrici, pronti a fare fuoco, altri andavano avanti e indietro, tenendo al guinzaglio i cani lupo; poche decine di metri di qua c’erano i ragazzi armati in qualche modo. Tutti erano in attesa di ordini, anche gli americani, che erano arretrati con i carri armati dietro gli angoli delle case, orientando i cannoni nella direzione dei tedeschi».

Al termine del conflitto, B. fu tra i giovani designati per garantire la sorveglianza di un vasto gruppo di tedeschi e fascisti che erano stati raccolti all’interno della caserma di via Lecco e, successivamente, per il servizio di scorta dei prigionieri dal luogo di detenzione al tribunale per il processo. Curioso, anche per comprendere il clima che si respirava in quel periodo, è uno degli episodi che egli ricorda più chiaramente: «Una volta, intanto che scortavo per la strada un prigioniero italiano, mi venne in mente che il fucile che tenevo in mano non era caricato. Allora presi dalla tasca un caricatore da sei colpi, lo introdussi e misi il colpo in canna. L’uomo che stava sotto tiro, sentendo il rumore dell’otturatore, si girò piano sbiancando in volto dalla paura, supplicando di togliere il dito dal grilletto e dicendo: “Ragazzo, se per sbaglio incespichi può partire un colpo che mi prende in pieno; ti assicuro che sto buono e non cerco di scappare”». Al termine dei compiti assegnatogli, il 28 maggio successivo decise di restituire le armi al Cln che, come da prassi, gli rilasciò regolare ricevuta.

Compiuti i venticinque anni, dopo essersi sposato e aver formato una famiglia, decise di trasferirsi a Castano Primo, lontano da Monza e da Milano, per poter seguire i suoi impegni lavorativi. Nel corso del tempo si è impegnato in ambito sociale, civile e politico tanto che, dal 1970 al 1975, è stato anche consigliere di maggioranza per la Dc nel comune di Castano Primo.

Fonti e bibliografia

  • Pinuccio Castoldi, Franco Bernareggi, un partigiano cattolico nella Resistenza, in «Il Castanese», 19 febbraio 2004, p. 33.
  • Giuseppe Leoni, Fascisti, partigiani, repubblichini nel Castanese: la seconda linea gotica (1943-1945), s.n.t., 2012, p. 150.

Hanno fatto parte di Gioventù italiana di Azione cattolica anche:

ISACEM – Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
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