Luigi Bertett nacque il 4 dicembre del 1916 a Ranica, comune in provincia di Bergamo, da una famiglia di modeste condizioni economiche. Negli anni giovanili trascorsi nel paese natale prese parte attivamente alla vita dell’oratorio parrocchiale e, successivamente, decise di iscriversi al circolo della Giac San Luigi Gonzaga, allora guidato da don Antonio Donadoni. Dopo aver atteso agli studi superiori e ottenuto il diploma, fece domanda per essere ammesso all’Istituto tecnico superiore di Bergamo per l’avviamento professionale. Dopo un breve periodo di formazione, però, dovette lasciare gli studi per aiutare finanziariamente la famiglia e fu assunto in qualità di assicuratore presso un’agenzia con sede a Bergamo.
Nel corso del 1938 B. fu richiamato alle armi per assolvere gli obblighi di leva e venne assegnato al 78° reggimento fanteria. Terminato il periodo di preparazione militare nel giugno del 1940, però, fu trattenuto in servizio perché il suo reparto venne mobilitato al momento dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Promosso al grado di caporalmaggiore nell’ottobre dello stesso anno, fu successivamente nominato sergente e nel novembre del 1942 si vide assegnato al comando intendenza dell’8ª armata operante sul fronte orientale in appoggio alle forze tedesche della Wehrmacht. Nel corso del tempo, dunque, ebbe modo di condividere con il contingente italiano dell’Armir l’avanzamento delle operazioni nel territorio dell’Unione Sovietica fino a quando, nel gennaio del 1943, le forze italiane furono costrette a una precipitosa ritirata dovuta all’offensiva sovietica iniziata nel dicembre dell’anno precedente.
Rientrato in Italia nel giugno del 1943, fece ritorno a casa e in breve tempo fu raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva ufficialmente fine alle ostilità con le forze angloamericane. Visto lo sbandamento dei reparti del Regio esercito e l’immediata occupazione del territorio dell’Italia settentrionale da parte delle truppe tedesche, B. si attivò per intessere contatti con i responsabili del movimento resistenziale che andava costituendosi nella zona del bergamasco. Dopo essersi inserito tra gli effettivi di una banda partigiana ed essersi distinto in alcune operazioni contro pattuglie di militi nazisti, egli fu chiamato a far parte del comando generale del Corpo volontari della libertà in qualità di intendente.
Nel corso della sua attività tra le fila della Resistenza, B. fu raggiunto per due volte dagli apparati di controllo della Repubblica sociale italiana, che, riconosciutolo come organizzatore del movimento di liberazione, lo trassero in arresto e lo misero in stato di detenzione al fine di costringerlo a rivelare i nomi dei comandanti partigiani e informazioni circa le brigate operanti intorno a Bergamo. A lungo torturato durante gli interrogatori che fu costretto a subire, non volle rivelare nulla e riuscì a evadere entrambe le volte dal luogo di prigionia grazie all’ausilio dei suoi compagni. A più riprese rifiutò la proposta dei comandi partigiani di allontanarsi dal territorio lombardo per diminuire la pressione rivolta verso di lui e i suoi parenti dalla polizia fascista e, anzi, ribadì la volontà di mantenere il proprio posto nel comando generale del Cvl che, dunque, non lasciò fino alla liberazione.
Il 25 febbraio del 1946, su iniziativa dell’allora presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, B. fu decorato di medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di intendente generale e membro del Corpo dei volontari della libertà e la seguente motivazione: «Educato ai più alti ideali di libertà e di amore di Patria, fu tra i primi ad iniziare la lotta contro il fascismo. Denunciato, riparò all’estero, incurante della famiglia costretta a disperdersi. Rientrato in Patria organizzava e dirigeva con illimitata audacia vari rami dell’attività partigiana in Alta Italia. Faceva evadere otto suoi collaboratori arrestati dalla polizia; arrestato egli stesso due volte, sottoposto a torture e sevizie che gli causarono gravi lesioni, manteneva il più assoluto silenzio sull’organizzazione e con audacissima gesta riusciva ad evadere. Arrestato ancora tentava una disperata fuga, ma colpito dal fuoco dei suoi inseguitori veniva catturato. Trasportato in ospedale, con l’aiuto di un gruppo di partigiani evadeva ancora e riprendeva impavido la sua attività fino alla liberazione dell’Alta Italia. Fulgido esempio di costanza, spirito di sacrificio e di dedizione alla Patria. Alta Italia, settembre 1943 – giugno 1945».
Nel dopoguerra B. si spese lungamente in diversi ambiti di impegno sociale. Oltre allo sviluppo della carriera professionale nel campo assicurativo, infatti, egli svolse una multiforme attività volta alla crescita della pratica sportiva nella società e, in particolare, per lo sviluppo di alcuni settori dell’automobilismo. Dal 1945 al 1965, infatti, fu presidente della sezione milanese dell’Automobile club d’Italia per poi assumere, senza soluzione di continuità, la stessa carica a livello nazionale fino al 1969 e, per oltre quarant’anni, la presidenza dell’autodromo nazionale di Monza. Morì a Milano il 12 dicembre del 2001.