Pasquino Borghi nacque il 26 ottobre del 1903 a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, da Battista e Orsola Del Rio, primo di quattro figli. La famiglia, di modeste condizioni economiche, era dedita alla cura dei campi tenuti a mezzadria. In questo contesto, B. iniziò i suoi studi presso il seminario di Marola e li proseguì in quello di Albinea fino al 1923, quando, richiamato sotto le armi per assolvere gli obblighi di leva, fu costretto a interrompere il percorso scolastico e prestare servizio militare.
Ottenuto il congedo l’anno successivo, B. sentì la vocazione di diventare missionario. Confermata la sua volontà, si presentò all’istituto Benedetto XV per le missioni africane a Venegono Superiore, in provincia di Varese, gestito dai comboniani. Trascorsi i due anni di noviziato, si spostò presso la casa madre dell’istituto a Verona, dove il 5 aprile del 1930 venne consacrato sacerdote. Il 7 agosto dello stesso anno raggiunse la missione di Torit, nel Sudan anglo-egiziano, dove rimase per circa sette anni, vivendo a stretto contatto con le popolazioni indigene. Rientrato in Italia nel 1937 per motivi di salute, durante la convalescenza si impegnò con alcuni scritti per continuare l’opera di apostolato già svolta in Africa. Non passò molto tempo che, sentendo il desiderio di condurre una vita austera e più confacente al modello missionario a cui era stato educato, egli decise di ritirarsi all’interno della Certosa di Farneta, in provincia di Lucca, prendendo i voti di certosino.
Nel novembre del 1939, a causa della prematura scomparsa di suo padre e della condizione di povertà alla quale fu costretta la madre, B. decise di chiedere la dispensa dai voti per fare richiesta di entrare nel clero secolare della propria diocesi originaria, per assistere economicamente e materialmente la famiglia e per adempiere, come ebbe modo di dire lui stesso nella petizione per la dispensa, ai «gravi doveri di giustizia» che da diversi anni gravavano su di lui nei confronti dei genitori. Accolta la sua istanza, nel 1940 venne nominato cappellano nella parrocchia di Canolo di Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove, per circa tre anni, diede il proprio impulso al locale circolo della Giac, sostenendone l’attività e organizzando giornate di studio e conferenze per i giovani aderenti. Nell’agosto del 1943 don B. fu nominato parroco di Coriano, dove all’inizio del secolo la chiesa era stata ricostruita a Tapignola, frazione di Villa Minozzo nell’alto Appennino reggiano. Raggiunta la nuova sede solo nell’ottobre successivo a causa dei complicati eventi che seguirono la caduta del regime fascista e la successiva firma dell’armistizio di Cassibile, a lungo si spese anche in questa nuova destinazione per riattivare i circoli dell’Azione cattolica che avevano subito un duro colpo a seguito della partenza di molti dirigenti per il servizio militare.
Constatata fin dal suo arrivo a Coriano la nascita delle prime bande partigiane nella zona e lo svilupparsi del movimento di opposizione contro l’occupante nazifascista, B. non esitò a mettere a disposizione la propria canonica per farne nascondiglio e centro di assistenza per giovani renitenti alla leva, militari sbandati, perseguitati politici, ex prigionieri alleati in fuga dai tedeschi e, ovviamente, per quanti facevano riferimento a lui per inserirsi tra le fila della Resistenza. Oltre a questa molteplice attività, egli diede anche fattivo sostegno e collaborazione alla strutturazione della banda dei fratelli Cervi, i quali, attivatisi fin dai primi giorni successivi all’8 settembre nella zona della pianura reggiana, si spostarono poi sull’Appennino per cercare contatti sicuri ed effettivi da immettere tra le fila della loro formazione. Assunto il nome di battaglia di «Albertario», B. divenne il tramite attraverso il quale, mediante l’organizzazione di diversi lanci aerei, gli angloamericani riuscirono a far pervenire alle forze partigiane casse di armi, munizioni e medicinali. Col passare del tempo la sua canonica divenne sempre più punto di riferimento per quanti tentavano di oltrepassare il fronte della Linea Gotica per raggiungere l’Italia liberata. Fu proprio don B., infatti, a pianificare diverse spedizioni attraverso il valico dell’Appennino, provvedendo peraltro al reperimento di guide fidate.
Espostosi in maniera sempre maggiore nei confronti della lotta partigiana e sentendosi sotto pressione da parte degli apparati di controllo nazifascisti, il 27 dicembre del 1943 don B. scrisse al proprio vescovo Eduardo Brettoni per avvertirlo della complicata situazione: «Le scrivo in fretta: debbo allontanarmi, pur senza lasciare la mia parrocchia. È stato catturato l’Arciprete di Gazzano. Verranno prestissimo con l’intento di catturare me e l’Arciprete di Minozzo. Ignoro perfettamente i motivi di tale odiosissime misure a mio riguardo. So che sono uscite dal Fascio Repubblicano di Villa Minozzo. Sono perfettamente tranquillo. Non chiedo alla Eccellenza Vostra che la paterna benedizione. Ho l’impressione che stiamo tornando ai tempi delle catacombe».
La rete di canoniche messe a servizio della Resistenza annoverava, in quel periodo, anche quella di San Pellegrino, governata da don Angelo Cocconcelli, che dopo l’8 settembre era divenuta un punto di riferimento del Cln provinciale. Proprio in questa parrocchia, l’11 gennaio del 1944, B. si incontrò con don Cocconcelli e Giuseppe Dossetti, allora particolarmente attivo nella lotta antifascista con il nome di battaglia di «Benigno» e membro del Cln di Cavriago. Questi, essendo venuti a conoscenza di un’imminente azione delle autorità fasciste verso Tapignola, esortarono B. a muoversi con prudenza e a sospendere temporaneamente l’attività di supporto ai gruppi di partigiani che da lui trovavano rifugio. Il sacerdote, pur assicurando di prestare maggior cautela nel suo operato, rifiutò la richiesta di trasferire i ricercati dalla sua canonica perché non volle tirarsi indietro dal compito intrapreso.
Il 21 gennaio don B. acconsentì, pur conscio del rischio che correva nel muoversi in una zona molto pericolosa per gli antifascisti, alla richiesta di raggiungere la parrocchia di Villa Minozzo per tenere un discorso alle giovani di Azione cattolica in occasione della tradizionale festa di sant’Agnese. Sfruttando il suo impegno, due militi della Gnr si recarono a Coriano con un drappello di carabinieri in divisa per procedere alla perquisizione di tutti i locali della sua canonica. Nel corso di questa operazione fu ben presto rilevata la presenza di diversi fuggiaschi e renitenti alla leva che, per non essere catturati e posti in stato di arresto, decisero di difendersi ingaggiando con i fascisti uno scontro a fuoco e tentando la fuga. Quanto successo in quella giornata venne successivamente descritto anche nella relazione sulla «Situazione politica-economica di Reggio Emilia» dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Domenico Coco: «Il 21 gennaio, una pattuglia mista di carabinieri e militi della G.N.R. avuta notizia che nella canonica della parrocchia di Tapignola in Coriano di Villaminozzo si erano rifugiati dodici ribelli, di cui otto italiani e quattro russi, si recarono prontamente sul posto, e, fatti segno a colpi di arma da fuoco ed a lancio di bombe a mano, reagivano, rispondendo energicamente al fuoco. I ribelli però riuscivano ad occultarsi senza lasciar traccia. Nell’occasione veniva arrestato il parroco di Tapignola in Coriano don Pasquino Borghi, responsabile di favoreggiamento per aver dato ospitalità ad una banda armata di ribelli e di prigionieri nemici, responsabili di tentato omicidio nelle persone di militi e carabinieri. Il predetto parroco affermò poi di aver concesso loro ospitalità per obbedire alla regola cristiana di dare ospitalità a chiunque, senza però che egli si sia reso conto delle responsabilità che inevitabilmente gli sarebbero state attribuite, per avere contravvenuto a precise disposizioni di guerra».
Ritenuto il principale responsabile di quanto accaduto, don B. fu raggiunto presso Villa Minozzo nella stessa serata e tradotto in carcere. La mattina del 25 gennaio seguente fu trasferito prima a Reggio Emilia e, successivamente, alla prigione di Scandiano. Fu in quest’ultima destinazione che il sacerdote venne a più riprese interrogato e duramente torturato allo scopo di fargli rivelare i caratteri della sua collaborazione con la Resistenza emiliana e, soprattutto, informazioni utili all’individuazione delle formazioni partigiane e dei nominativi dei responsabili del movimento di liberazione attivi nella zona. Trincerato dietro un ostinato silenzio, il 29 gennaio don B. fu condotto davanti al Tribunale speciale convocato dal capo della provincia di Reggio Emilia, Enzo Savorgnan, a seguito della morte del milite Gino Orlandi in una sparatoria avvenuta il 18 gennaio a Ligonchio e del caposquadra della Gnr Angelo Ferretti in un attentato gappista. Il breve processo decretò la condanna a morte di B. e di altri otto partigiani. La notizia venne ripresa dal giornale «Il Solco fascista» che commentò: «A seguito delle proditorie uccisioni di Militari della GNR e dell’esercito repubblicano verificatesi in questi ultimi giorni, si è riunito, nella giornata del 29 corrente, il Tribunale speciale di Reggio nell’Emilia che ha giudicato e condannato alla pena capitale nove persone risultate colpevoli dei delitti di favoreggiamento di bande armate ribelli e di prigionieri nemici, di sovversivismo e incitamento alla rivolta e alla guerra civile. La sentenza è stata eseguita stamane all’alba».
All’alba del 30 gennaio B. venne condotto al poligono di tiro di Reggio dove venne posto davanti al plotone di esecuzione e, in ottemperanza alla condanna a morte, fucilato.
Nel bollettino diocesano del 2 febbraio del 1944 il vescovo Brettoni scrisse al clero della diocesi in difesa dell’operato di B.: «Miei carissimi sacerdoti […] una cosa sono in dovere di dire apertamente, come è la verità e come mi impone la coscienza del mio ufficio di vescovo; ed è che quanto al resto, la condotta del sacerdote Don Pasquino Borghi, sia quale cappellano curato, sia quale parroco, non ha patito eccezioni, e che per zelo generoso e desiderio di fare del bene senza badare a sacrifici, come per integrità di vita sacerdotale, io non ho avuto se non a lodarmi di lui». Nella relazione dell’ispettore Coco, citata in precedenza, furono aggiunti alcuni interessanti dettagli sulla reazione della cittadinanza e del vescovo alla notizia della fucilazione del sacerdote: «La sentenza ha prodotto penosa impressione in ogni ceto, ma anche fra i ben pensanti si ritiene che essa nelle attuali difficili contingenze costituisca un salutare monito perché abbiano a cessare i vili attentati, che rattristano e suscitano una sempre maggiore e legittima reazione. Il Vescovo di Reggio non ha mancato di intervenire presso l’Ecc. il Capo della provincia a favore del parroco don Borghi, ch’egli avrebbe voluto far apparire come un esemplare prete solo colpevole di aver obbedito ad un comandamento di cristiana carità, in un’occasione nella quale fatalmente elementi facinorosi avevano profittato dei suoi sentimenti cristiani, compromettendolo. Certamente lo stesso Vescovo ed il clero tutto saranno rimasti dolenti ed anche insoddisfatti».
Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni della nascita del tricolore, il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, consegnò alla madre di B. la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la qualifica di partigiano combattente della 284ª brigata Fiamme Verdi e la seguente motivazione: «Animatore ardente dei primi nuclei partigiani, trasfuse in essi il sano entusiasmo che li sostenne nell’azione. La sua casa fu asilo ad evasi da prigionia tedesca e scuola di nuovi combattenti della libertà. Imprigionato dal nemico, sopportò patimenti e sevizie, ma la fede e la pietà tennero chiuse le labbra in un sublime silenzio che risparmiò ai compagni di lotta la sofferenza del carcere e lo strazio della tortura. Affrontò il piombo nemico con la purezza dei martiri e con la fierezza dei forti e sulla soglia della morte la sua parola di fede e di conforto fu di estremo viatico ai compagni nel sacrificio per assurgere nel cielo degli eroi. Reggio Emilia, 30 gennaio 1944».