Giulio Gaio nacque a Lamon, piccolo paese della montagna bellunese, il 17 dicembre 1886 da Bortolo, piccolo commerciante ambulante, e Luigia Alba Fiorenza, nipote di don Federico Fiorenza, parroco e insegnante presso il Seminario vescovile di Feltre. Seguendo l’esempio dello zio materno, nel 1898, entrò anch’egli in seminario. Nel 1908 venne chiamato ad assolvere la leva militare per due anni, per essere poi richiamato, per sei mesi, nel 1912, per la guerra di Libia. Ritornato agli studi, venne ordinato sacerdote il 20 settembre 1913 a Thiene (Vi) e ricevette subito la nomina a vicerettore e insegnante del Seminario di Feltre. Qui ebbe come studenti Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I, nonché lo scrittore e critico letterario Silvio Guarnieri. Venne nuovamente richiamato in servizio dal Regio esercito l’8 maggio 1915 e partecipò quindi alla Prima guerra mondiale, che scelse di non fare come cappellano militare con il grado di tenente, ma condividendo la vita della truppa. Inviato nella Sanità militare, come accadeva solitamente per i sacerdoti, svolse servizio come attendente di un tenente medico. Congedato nel febbraio 1919, come appartenente al corpo degli Arditi, riprese il servizio sacerdotale e di insegnamento. G. fondò a Feltre, la prima sezione locale del Partito popolare, diventandone subito segretario politico e procedendone all’organizzazione nel mandamento di Feltre, alle dipendenze di don Angelo Fiori, segretario provinciale. Organizzare il partito nella zona non fu molto facile, ma, sia pure con fatica, il Partito popolare riuscì ad affermarsi a Feltre. Dando al partito un carattere di netta opposizione al fascismo, il prete veneto alla fine fu costretto a dimettersi, come del resto aveva fatto don Luigi Sturzo nel 1923. Durante il regime, quando il partito venne sciolto, continuarono i contatti, che furono solo personali, tra coloro che ne erano stati membri. Essi, come avrebbe ricordato anni dopo G. «avevano solo lo scopo di mantenere viva l’idea, non vi furono infatti né azioni né attività di propaganda». Queste relazioni diedero i loro frutti, dato che – parole sempre di G. – «quando il fascismo cadde tutti gli elementi del Partito Popolare si sono ritrovati dopo la liberazione, alle prime elezioni civiche, Feltre ha avuto nella amministrazione tutti elementi provenienti dal P.P. ad esempio il sindaco che era Riva».
Impegnato anche in campo sociale, egli organizzò le cooperative di consumo, dalla fine della Prima guerra mondiale fino all’avvento del fascismo. Parallelamente all’attività politica e sociale, G. fu impegnato anche nell’ambito dell’Azione cattolica. Infatti, nel 1920 divenne assistente della Giunta diocesana, incarico che venne poi confermato nel 1931, dopo che il fascismo aveva sciolto a maggio i circoli giovanili dell’associazione, che poi vennero riaperti in seguito all’accordo del settembre successivo. Tra il 1923 e il 1925 G. organizzò inoltre la costruzione della casa delle “Opere cattoliche”, che, vista la sua nota posizione di ripulsa nei confronti del fascismo, nel 1931, i fascisti, per piegare l’Ac di Feltre, andarono ad occupare, sparando anche alla finestra della stanza del Seminario, dove il prete feltrino dormiva, per intimidirlo. A completare l’opera ci pensarono i carabinieri che gli sequestrarono i registri, i verbali e le bandiere dell’Azione cattolica, mentre venivano ispezionati i sotterranei della sede poiché si dubitava che vi fosse una riserva di armi. In ogni caso, numerosi furono gli scontri di cui furono vittime i giovani appartenenti all’Ac. Il lavoro che G. svolse in seguito fu sempre accorto girando a lungo la zona di Feltre in bicicletta. Fu così che gli aderenti all’Ac gli regalarono una moto e successivamente, nel 1934, una Fiat Balilla 508, che divenne un suo tratto distintivo, guidandola fino all’età di 99 anni. Quando venivano fatti degli attentati nel territorio, egli si vedeva sempre privato del patentino della motocicletta e inoltre, ogni domenica, era sempre controllato nei movimenti che faceva. Il suo nome, in pratica, era sul “libro nero” delle autorità. A fronte delle continue provocazioni fasciste, egli scelse l’azione del silenzio e della preghiera, organizzando corsi di esercizi spirituali, prima in seminario e quindi presso il santuario dei San Vittore e Corona di Anzù, posto su un colle alle porte di Feltre. Nel 1932 ne divenne rettore per poi essere nominato, nel 1939, monsignore, mentre, nel 1936, era stato insignito del titolo di cameriere segreto di Sua Santità. Alla caduta del regime, il 25 luglio 1943, e a seguito dell’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno, la sua attività organizzativa riprese, diventando il punto di riferimento dell’antifascismo cattolico e moderato nel Feltrino. Gran parte delle riunioni dei membri dei vari partiti, che si tennero prima e dopo la costituzione del Comitato di liberazione nazionale, si svolsero infatti nella sua camera al Seminario di Feltre. Esse non erano mai numerose per non destare sospetti. Fra le personalità che vi parteciparono, G., nelle sue memorie, ricordò Granzotto per il Partito socialista, Galeazzo Zugni Tauro per il Partito liberale, il futuro onorevole Manlio Pat per la Democrazia cristiana, mentre è incerto tra i nomi di Bettiol e Bertolissi. Il Partito comunista fu invece assente a queste riunioni, con la giustificazione, stando alle memorie del prete, che Feltre avesse sempre avuto una forte tradizione socialista. A questi incontri partecipava spesso anche il colonnello Angelo Giuseppe Zancanaro, il quale non aveva però nessun potere decisionale in quella sede ma piuttosto di coordinamento tra le diverse personalità e i parroci del territorio. Questa sorta di “Comitato” aveva il compito di fornire in montagna «vitto sostegno collaborazione e appoggio» al momento partigiano. Il colonnello Zancanaro fu il primo e l’unico organizzatore, oltre che comandante, della lotta partigiana nel Feltrino, attività che egli svolse subito dopo l’8 settembre e fino alla sua tragica morte. Egli infatti venne ucciso, assieme al figlio e ad altri esponenti della Resistenza locale, nella cosiddetta notte di “S. Marina”, il 19 giugno 1944. L’evento determinò una svolta nella Resistenza locale, che G. avrebbe ricordato bene, dato che anche egli, assieme ad una quarantina di persone, fu fatto prigioniero e picchiato a sangue. I tedeschi sorvegliavano lui e soprattutto i movimenti che si effettuavano all’interno del Seminario. Egli infatti era sospettato non solo per la sua attività politica ma anche perché aveva fatto del monastero dei santi Vittore e Corona un centro di rifugiati ebrei e di soldati alleati. Verso le tre della terribile notte del 19 giugno, G. sentì il boato di alcune bombe e pensò a qualche azione partigiana. Si affacciò alla finestra e vide che le SS in fila indiana stavano circondando il seminario. Tornò però a letto perché se avesse tentato di fuggire l’avrebbero sicuramente ucciso. Poco dopo sentì un altro colpo: una cassa di gelatina era stata fatta esplodere davanti alla porta del seminario. Udì subito dei passi lungo il corridoio: i tedeschi si precipitarono nella sua stanza, lo prelevarono e lo portarono su un camion assieme ai corpi del colonnello Zancanaro, di suo figlio e di un altro partigiano. Condotto alla caserma Zanetelli di Feltre, G. fu interrogato a lungo alla presenza di quattro tedeschi. Quando gli furono richiesti i documenti, riuscì abilmente a sottrarli e a mettersi in tasca la carta d’identità di un ebreo che aveva fatto ricoverare presso la casa di cura Bellati. Qui, il dottor Sisto Zancanaro, medico presso quella struttura, richiedeva per il ricovero dei feriti sospetti dei documenti falsi, che venivano prodotti nel municipio di Feltre da un impiegato, Enrico Bertoldin. Poi G. fu picchiato (il sangue, che gli colò dal naso rotto, impiastricciò e confuse i pezzettini a cui aveva ridotto la carta d’identità) e quindi imprigionato per quattro mesi in una cella d’isolamento. Liberato verso la metà di ottobre dello stesso anno, grazie all’intervento dell’amministratore apostolico di Belluno-Feltre, mons. Girolamo Bortignon, fece ritorno a Feltre. Dopo una settimana, seppe dell’arresto del professor Cheminelli, che conosceva gran parte dell’organizzazione clandestina, e pensò che non sarebbe stato in grado di resistere alle torture. Si ritirò quindi a Cesiomaggiore, dove fu avvisato dalla nipote prima e poi dall’amico sacerdote don Giulio Perotto, che i tedeschi lo avevano cercato sia a San Vittore che in Seminario. Decise allora di rifugiarsi, fino alla fine della guerra, presso il Seminario di Vittorio Veneto. Terminata la guerra, G. fu sempre legato alle persone che aveva conosciuto durante l’esperienza della Resistenza. Il gran rispetto che i partigiani avevano per lui si concretizzò con l’acclamazione a presidente onorario dell’Anpi della provincia di Belluno. Amico personale di don Luigi Sturzo e poi dei dirigenti nazionali dell’Azione cattolica come Luigi Gedda, Carlo Carretto e Mario Rossi, a guerra finita ritornò a occuparsi di politica, mettendo in campo la forza organizzativa dell’Ac locale. È ricordato per il suo impegno nella formazione dei Comitati civici nelle elezioni del 18 aprile 1948 e per il contributo che diede al successo della Democrazia cristiana a livello locale. Per anni fu infatti un prezioso consigliere di tutti gli esponenti della Dc bellunese. Nel 1950 diede inizio alla costruzione della nuova chiesa di Anzù, nei pressi di Feltre, che nel 1957 diventò parrocchia autonoma, con lui come vice-parroco, continuando ad essere rettore del santuario dei Santi Vittore e Corona presso il quale, con l’aiuto dei nipoti, continuò poi a risiedere fino alla sua morte, e dove poi sarebbe stato sepolto di fronte all’altare maggiore. G. morì, a 106 anni, a Feltre, il 7 gennaio 1992. Al suo funerale, presso la cattedrale della cittadina, oltre al vescovo Maffeo Giovanni Ducoli concelebrarono ben 110 sacerdoti.