Bruno Jourdan nacque a Roure, piccolo comune in provincia di Torino nel mezzo della Val Chisone, il 29 maggio del 1921 da Ferdinando e Rosalia Barral. Fin dalla giovinezza frequentò assiduamente l’oratorio parrocchiale e il circolo Giac «Santo Stefano» presente nel paese natale, dove era attivo anche Severino Barral che dopo l’8 settembre si impegnò nella lotta di liberazione tra le fila della brigata partigiana «Monte Albergian». Terminate le scuole elementari e medie, J. fu costretto ad abbandonare il percorso scolastico per poter dare un contributo alle modeste finanze familiari.
Nel gennaio del 1941, quando ancora non aveva compiuto venti anni, ricevette la cartolina per adempiere il servizio di leva. Dopo aver passato la visita medica al distretto militare di Pinerolo, decise di arruolarsi come volontario nell’Arma dei carabinieri reali iscrivendosi alla scuola allievi di Roma, nella quale rimase fino al giugno successivo. Ottenuta la qualifica di carabiniere, fu assegnato alla legione di Piombino Dese, in provincia di Padova, dove rimase per alcuni mesi. Con lo sviluppo del teatro bellico della Seconda guerra mondiale, fu mobilitato insieme al suo reparto e spedito in Croazia, dove rimase per quasi un anno, per il presidio delle postazioni italiane avanzate, venendo quindi rimpatriato a causa di una malattia. Dopo venti giorni trascorsi in ospedale, fu spedito a casa in licenza di convalescenza per settanta giorni, quindi nuovamente trasferito alla legione di Milano e assegnato alla stazione dei carabinieri di Montagnana per il servizio sul territorio.
Fu in questa destinazione che il giovane venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della ratifica dell’armistizio di Cassibile che, pur ponendo ufficialmente fine alle ostilità con le forze angloamericane, lasciava aperto il nodo circa l’atteggiamento che le forze armate avrebbero dovuto tenere davanti all’ex alleato germanico. Fu proprio sfruttando questa ambiguità che i reparti tedeschi si mossero immediatamente per disarmare gran parte dei presidi italiani e delle caserme dei carabinieri della parte d’Italia che sarebbe caduta sotto la loro occupazione. Anche J., insieme ai suoi compagni, venne prima fermato dai militi della Wehrmacht e successivamente costretto a scegliere se prestare giuramento al nuovo governo della Repubblica sociale italiana guidata da Mussolini o essere deportato come prigioniero nei campi in Germania. Deciso a non servire la causa nazifascista, egli decise di fuggire in abiti borghesi e fare ritorno presso l’abitazione familiare.
Dopo un breve periodo passato insieme ai genitori, anche temendo le possibili ripercussioni che questi avrebbero potuto subire a causa della sua diserzione, prese contatti con il movimento resistenziale che si era ormai sviluppato nella zona e il 26 febbraio del 1944 entrò tra le fila della brigata autonoma Val Chisone che, al comando del sergente degli alpini Maggiorino Marcellin «Bluter», operava principalmente nell’omonima valle e nella zona pedemontana. Il suo impegno resistenziale, però, non fu di lunga durata: il 20 marzo successivo alcuni reparti del battaglione Cuneo della Rsi, che avevano fissato il loro comando a Perosa Argentina, vicino a Torino, aprirono il fuoco con mortai e mitragliatrici contro il gruppo di partigiani della formazione di J. che si stava spostando dopo aver portato a compimento alcune operazioni volte al recupero di armi e munizioni. Nella successiva violenta sparatoria che ne seguì il giovane venne raggiunto da una scarica di mitra nemico che lo lasciò esanime a terra.