Giuseppe Latieri nacque a Montecarotto, piccolo comune in provincia di Ancona, il 12 ottobre 1923 da Luigi e Maria Gentili. All’età di sedici anni divenne socio del circolo Giac attivo presso la parrocchia della della Santissima Annunziata del paese natale, guidato da don Antonio Palanca.
Nel 1942 venne richiamato sotto le armi per assolvere gli obblighi di leva e, dopo un anno di formazione militare ad Ancona, venne arruolato nel corpo della Regia aeronautica come aviere. Fu proprio in questa occupazione che venne raggiunto dalla notizia della ratifica dell’armistizio di Cassibile che, vista l’ambiguità del comunicato letto da Badoglio ai microfoni dell’Eiar, indusse i comandanti del suo reparto a non prendere posizione circa l’atteggiamento da tenere davanti all’ex alleato germanico e a lasciare che i tedeschi occupassero e disarmassero i presidi e le caserme della parte d’Italia caduta sotto la loro occupazione. Convinto a non servire la causa nazifascista, il giovane decise di accettare la deportazione nei campi in Germania pur di non essere costretto a servire sotto la Wehrmacht.
Durante una sosta nel viaggio che lo avrebbe portato nel luogo di internamento, però, L. riuscì a fuggire e decise di tornare a casa per poi raggiungere le formazioni partigiane che andavano costituendosi per osteggiare l’occupazione del paese. Dal 20 novembre fece parte del Distaccamento Sant’Angelo che operava principalmente nella zona montuosa intorno ad Arcevia, sotto il comando di Attilio Avenanti (Polli) e Arnaldo Giacchini (Uliano) come commissario politico. Inizialmente la sua formazione si spese a fondo in operazioni di sabotaggio, per il recupero di armi e per la liberazione di prigionieri, per poi passare nella primavera del 1944 ad azioni di forza e di scontro diretto contro i nazifascisti. Di particolare importanza, anche da un punto di vista strategico, fu il riuscito colpo di mano contro la guarnigione fascista posta a guardia del giacimento solfifero presente nella zona, che portò alla cattura e al disarmo di tredici militi repubblichini.
Vista l’impossibilità di arginare l’azione partigiana, il presidio fascista di Arcevia decise di chiedere l’intervento di reparti delle Ss per avviare una vasta operazione di rastrellamento e riportare la situazione sotto controllo. Il 4 maggio del 1944 circa duemila soldati tedeschi, accompagnati da mezzi corrazzati, cannoni, mortai e da alcuni reparti della Gnr di supporto, diedero l’assalto al Monte Sant’Angelo, dove i gruppi legati al movimento resistenziale si erano fermati presso una casa colonica, ospiti di una famiglia di contadini. Lo scontro a fuoco che ne seguì fu particolarmente violento e, a causa della preponderante forza nemica, i partigiani furono costretti ben presto a rompere le righe e tentare di eludere l’accerchiamento per darsi alla fuga. Solo pochi uomini riuscirono però ad allontanarsi, la maggior parte invece fu colpita a morte dai tedeschi, che non risparmiarono nemmeno i civili rei di aver dato riparo ai partigiani. Nel dopoguerra, il rastrellamento venne ricordato come l’eccidio più significativo della Resistenza nella provincia di Ancona, con un bilancio di vittime che rimane a tutt’oggi incerto, ma che contò tra i quaranta e i sessanta caduti.
Fu in questo contesto che L. venne raggiunto mentre cercava di difendere la sua postazione e posto in stato di arresto. Condotto nella locale caserma per essere interrogato, nonostante le torture subite non volle rivelare nulla che potesse essere utile ai suoi aguzzini. Il giorno successivo, condotto lungo le mura di San Rocco di Arcevia, venne fucilato insieme a quattro compagni della sua formazione. I corpi dei cinque partigiani furono lasciati insepolti a monito per la popolazione locale che nei mesi precedenti aveva solidarizzato con il movimento resistenziale e dato supporto agli uomini che si opponevano all’occupazione.
Nel 1970 a L. venne assegnata la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: «Entrava, all’armistizio, nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona portandovi entusiasmo e fede. Partecipava a numerose azioni distinguendosi per sprezzo del pericolo e spirito di iniziativa. Nel corso di un rastrellamento nemico effettuato con grande impiego di uomini e mezzi, nel tentativo di rompere l’accerchiamento, veniva fatto prigioniero. Sottoposto a duro interrogatorio, nulla rivelava che potesse nuocere al movimento della Resistenza. Condannato a morte, affrontava il plotone di esecuzione con fierezza e grande forza d’animo».