Libero Raglianti nacque a Cenaia, piccola frazione del comune di Crespina in provincia di Pisa, il 22 novembre del 1914 da una famiglia contadina. Dopo aver trascorso gli anni giovanili nel paese natale, decise di entrare nel seminario Santa Caterina di Pisa e venne ordinato sacerdote il 10 luglio del 1938. Trascorso un breve periodo come cappellano militare a Pontedera, il 4 agosto del 1940 si vide destinato come parroco a Pieve di Valdicastello, frazione di Pietrasanta in provincia di Lucca. Appena giunto in questa località si spese energicamente per riattivare e coordinare le attività dell’Azione cattolica e, in particolar modo, diede nuovo impulso al locale circolo della Giac, provato dalla partenza di gran parte dei soci per il fronte.
Nel corso degli anni dell’impegno italiano nel teatro del secondo conflitto mondiale, R. non mancò di levare la propria parola di biasimo nei confronti del regime fascista che, egli sottolineava, aveva condotto la nazione in guerra solamente per seguire l’alleato germanico. Fu proprio per questo suo radicato sentimento critico verso il fascismo che, successivamente alla ratifica dell’armistizio di Cassibile tra l’Italia e le forze angloamericane, egli decise di prendere immediati contatti con il movimento resistenziale che andava formandosi nel lucchese già nei giorni successivi all’8 settembre.
Messa immediatamente a disposizione la sua canonica come rifugio per soldati sbandati, renitenti alla leva, ex prigionieri inglesi ricercati e partigiani, venne ben presto avvicinato dal Cln locale che lo inquadrò – seppur per una mera questione formale – con la qualifica di «partigiano combattente» nella formazione guidata da Lorenzo Bandelloni, particolarmente attiva in Versilia. L’attività di R. si fece particolarmente intensa quando, con l’avanzare del fronte nell’Italia centrale, si moltiplicarono gli ordini di sfollamento dal litorale versiliese e Valdicastello si trovò a essere destinazione di migliaia di persone che si vedevano costrette ad abbandonare la propria dimora per rifugiarsi in zone considerate più sicure. In questo contesto, il sacerdote si pose alla testa di una vastissima opera di assistenza e, coadiuvato dal chierico salesiano Renzo Tognetti – futura medaglia d’argento al valor civile –, si adoperò in ogni modo per permettere alla popolazione di non subire eccessivamente le operazioni di rastrellamento nazifasciste e le privazioni dovute alle requisizioni obbligatorie.
Significativa del suo sentimento fu la lettera che decise di scrivere, nel marzo del 1944, a don Tullio Calcagno che, aderendo fin dal primo momento con convinzione alla Repubblica sociale italiana, fondò e diresse la rivista settimanale «Crociata italica», meritandosi la sospensione a divinis per le sue posizioni in contrasto con le direttive della Santa Sede e alimentando nel tempo diversi contrasti con il vescovo di Cremona mons. Giovanni Cazzani. Cercando di replicare alle accuse che trovavano posto sul giornale e che denunciavano un clero fin troppo «estraneo e insensibile ai mali della patria», R. si spese per rivendicare con forza la vasta opera di assistenza alle popolazioni dell’Italia occupata: «Vescovi e sacerdoti sono sempre stati tra i primi, e ancora lo sono e lo saranno, ad accorrere là dove la barbarie nemica seminava stragi e morti. Voi dimenticate che Episcopi e Case parrocchiali sono stati tante volte trasformati in ospizi, rifugi, ospedali. […] Che si pretende dal Clero? Che predichi la politica? Leggete S. Paolo, noi predichiamo Cristo e Cristo crocifisso! Che si faccia della demagogia? Reverendo! L’Italia, la cara Patria nostra, in questi tempi ha più bisogno di fatti che di parole, il popolo deluso, amareggiato, sanguinante, errante lontano da Gesù vuole essere preso per mano dai suoi Vescovi e Parroci con la carità e non con le parole. A me i poveri, gli affamati, i piangenti chiedono aiuto, pane, conforto e non polemiche. Tale è la nostra missione!», concludendo con un’accusa diretta alla rivista: «Visto da questo lato il vostro giornale rispecchia idee errate sul concetto di sacerdozio e assume (scusate) un colorino settario che indispone».
Il suo impegno verso la comunità dovette però arrestarsi nell’estate del 1944. Il 12 agosto, infatti, un reparto della 16ª SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer-SS, comandata dal generale Max Simon, che si era già reso protagonista qualche ora prima dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, invase Valdicastello passando da tre diversi sentieri per condurre una vastissima operazione di rastrellamento contro le formazioni partigiane e di rappresaglia ai civili rei, secondo i comandi tedeschi, di dare supporto alla guerriglia dei ribelli.
Al termine delle operazioni risultarono rastrellate diverse centinaia di uomini – secondo alcune testimonianze circa cinquecento, altre fonti invece riportano una cifra di circa trecento unità in più –, tra cui anche lo stesso don R. Gran parte del gruppo, tutti uomini in età valida per essere utilizzati come forza lavoro, venne avviato verso il centro di detenzione della Pia Casa di Lucca, da dove poi sarebbe stato spedito nei campi in Germania. Il parroco, riconosciuto tra i più compromessi nelle attività di supporto dei partigiani, venne separato dagli altri prigionieri e immediatamente condotto alle scuole di Nozzano, dove aveva sede il carcere divisionale organizzato dalla 16ª divisione e operava il tribunale militare tedesco. Per i successivi sedici giorni fu sottoposto a numerosi interrogatori e diverse torture per indurlo a confessare il suo ruolo nel movimento resistenziale e costringerlo a rivelare i nominativi dei responsabili del Cln locale e dei capi delle bande partigiane operanti nella zona. Il 28 agosto, dopo essere stato percosso violentemente e ormai completamente sfigurato in viso, i suoi aguzzini si convinsero che non sarebbero riusciti a ottenere nulla. Il sacerdote, pur incapace di tenersi in piedi, venne condotto a forza nella frazione di Laiano di Filettole, nel comune di Vecchiano, e fucilato sul posto senza regolare processo. Sul suo cadavere, lasciato alla mercé degli animali selvatici, fu appoggiato un cartello con la scritta: «Bandito che ha attentato alle truppe tedesche».
Il 5 ottobre del 1964 il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ha concesso, alla memoria di don R., la medaglia d’oro al merito civile con questa motivazione: «Esercitò il ministero sacerdotale con rara abnegazione, sempre svolgendo opera generosa e altruistica per il bene dei suoi parrocchiani. Durante l’occupazione nemica, con umile eroismo, soccorse sfollati, accolse con carità cristiana perseguitati e feriti, si prodigò in innumerevoli iniziative per salvare il suo gregge e alleviarne le sofferenze. Diffidato dall’invasore, volle continuare, con sprezzo del pericolo, nella sua opera esemplare; catturato, sopportò, con silenzioso coraggio, torture e sevizie, affrontando serenamente la morte. Fulgido esempio di amore sacerdotale, spinto fino al sacrificio cosciente della vita».