Antonio Schivardi nacque il 2 ottobre 1910 a Corteno Golgi, piccolo comune della Val Camonica, in provincia di Brescia. Negli anni giovanili trascorsi nel paese natale ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi e di iscriversi al locale circolo della Giac. Espresso il desiderio di proseguire il suo percorso scolastico, riuscì a ottenere il diploma magistrale a Brescia che gli consentì di insegnare nelle scuole elementari di Ronco e di Zara, due frazioni del comune di Corteno Golgi.
Nel 1931 cominciò il suo lungo e travagliato periodo di servizio presso il Regio esercito. In quell’anno, infatti, fu costretto a lasciare temporaneamente la cattedra perché venne richiamato per assolvere i suoi obblighi di leva e si vide assegnato alla 3ª compagnia di sanità con mansioni di caporale scritturale. Congedato al termine del periodo, fu nuovamente chiamato sotto le armi nel novembre del 1935 per essere spedito in Africa orientale e dovette rimanere in Libia dal febbraio all’agosto dell’anno successivo. Nel settembre del 1939 fu quindi richiamato e, nominato caporal maggiore, prestò servizio nella 3ª compagnia di sanità. Tornato per un brevissimo periodo a casa, fu promosso al grado di sergente e trasferito nel giugno 1940 prima all’ospedale militare di Brescia e, successivamente, al 527° ospedale da campo mobilitato di stanza in Albania. Da questa destinazione riuscì a far ritorno in patria solamente nell’ottobre del 1941 quando, a causa della morte di suo fratello nel corso dei combattimenti nel fronte africano, fu posto in congedo.
A causa della grave crisi che l’esercito italiano dovette subire su più teatri di guerra nel corso dei primi mesi del 1943, S. si vide nuovamente richiamato nel giugno del 1943 quando, su richiesta, riuscì a non allontanarsi troppo da casa e a rimanere in servizio presso l’ospedale militare di Brescia. Fu in questo ruolo che egli venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, dunque, della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva termine al conflitto contro gli angloamericani. Vista la generale confusione creatasi tra i reparti italiani, dovuta in particolar modo all’ambiguità delle direttive provenienti dai comandi militari, S. ne approfittò per lasciare il suo posto e rifugiarsi nella zona montuosa del Mortirolo, dove, già dai giorni successivi all’8 settembre, ebbe modo di organizzare e coordinare i primi gruppi di giovani che volevano opporsi all’occupazione tedesca. Assunto il nome di battaglia di «Toni», egli ricevette il ruolo di vice comandante di un distaccamento della divisione Tito Speri delle Fiamme Verdi, distinguendosi fin da subito per la capacità di comando e per l’audacia nelle operazioni di guerriglia.
Incaricato dal comando militare della divisione partigiana di effettuare un colpo di mano contro automezzi nemici allo scopo di catturare ostaggi tedeschi utili ad approntare uno scambio di prigionieri, S. decise di affrontare l’operazione con un esiguo manipolo di compagni volontari per non mettere a rischio tutta la formazione. Appostatisi, il 15 agosto 1944, sulla strada Edolo-Aprica, vicino alla chiesa della frazione di Santicolo, riuscì a bloccare un’autovettura e a porre in stato di arresto tre ufficiali nazisti. Una volta fiaccato il tentativo di resistenza dei militi tedeschi, però, sopraggiunsero alcuni automezzi con pattuglie nemiche che si prepararono a ingaggiare battaglia con il piccolo manipolo di partigiani. Accortosi dell’impossibilità di approntare una linea di difesa che potesse sostenere un combattimento ad armi pari, S. decise di spronare i compagni a trovare la salvezza con una precipitosa ritirata, rimanendo lui solo a coprire la fuga dei suoi uomini e rifiutandosi fino all’ultimo di cedere all’intimazione di resa. Terminate ben presto le munizioni, egli si trovò in balia del fuoco nemico e fu raggiunto da una scarica di mitraglia che lo lasciò esanime a terra. Come ritorsione, i militi nazisti gettarono il suo corpo senza vita nel rogo di una casa data alle fiamme nei pressi del luogo dello scontro affinché nessuno potesse recuperarne le spoglie.
In ricordo di S. il battaglione della brigata Tito Speri di cui era al comando prima di morire assunse il suo nome. Alla memoria del suo sacrificio, al termine del secondo conflitto mondiale, venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sergente di sanità e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Organizzatore del primo gruppo partigiano in Alta Valcamonica, partecipava con magnifico ardore a tutte le azioni. Incaricato di effettuare un colpo di mano contro automezzi nemici, compiva da solo la missione, catturando tre ufficiali nazisti. Sopraggiunti improvvisamente alcuni automezzi di tedeschi, rifiutava di arrendersi e apriva il fuoco fino all’esaurimento delle munizioni. Completamente accerchiato, ad una nuova intimazione di resa, rispondeva fieramente lanciandosi contro il nemico, con l’arma adoperata come daga, finché veniva stroncato da una raffica di mitraglia. Spirava consacrando con il suo sacrificio la gloria delle Fiamme Verdi. Alta Valcamonica, 15 agosto 1944».