Pietro Augusto Dacomo nacque a Monticello d’Alba, piccolo comune in provincia di Cuneo, il 16 febbraio 1921 da una famiglia di modesti proprietari terrieri dediti al lavoro contadino. Allontanandosi dalla tradizione familiare e coltivando il desiderio di divenire maestro elementare, si iscrisse e frequentò prima il liceo ginnasio nel seminario vescovile di Alba, successivamente l’Istituto magistrale di Bra, dove conseguì il diploma nel corso del 1940, riuscendo a realizzare la sua aspirazione.
I suoi anni giovanili furono caratterizzati da una presenza costante e da una fervente attività nel locale circolo della Giac di Bra. Durante gli anni Trenta, periodo in cui i rapporti tra Ac e regime si fecero sempre più complessi, diversi furono per D. i momenti di tensione dovuti alla sua avversione all’ideologia fascista. Decise, infatti, di non partecipare alle numerose manifestazioni indirizzate ai giovani e agli studenti che il regime organizzava nel territorio della provincia di Cuneo, invitando anche i compagni dell’associazione a fare lo stesso, in protesta verso le pressioni di cui erano fatti oggetto i circoli cattolici. In questo quadro si pone l’episodio della sua ferma protesta verso il rogo, organizzato nel corso del 1938 presso l’Istituto che frequentava, delle copie dell’«Osservatore romano», che riportavano alcuni articoli di denuncia della politica razzista applicata dai nazisti in Germania.
Chiamato sotto le armi nel marzo del 1941, venne inviato alla Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta e, conseguita la nomina a sergente, fu ammesso al corso allievi ufficiali di complemento a Bassano del Grappa dove fu promosso sottotenente degli Alpini nel marzo del 1942. Terminata la sua formazione militare si vide assegnato al III battaglione del 104° Reggimento alpini della divisione «Cuneense», che in quel periodo era di stanza in Jugoslavia.
Durante l’agosto del 1943, a seguito di una ferita riportata durante un combattimento che gli valse un encomio dal comando del IV Corpo d’armata, fu mandato in licenza di convalescenza e decise di raggiungere la famiglia nel suo paese natale. È in questo contesto che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio dell’8 settembre trovandosi a dover scegliere, come tanti altri militari in quel periodo, se salire in montagna per unirsi alle bande di partigiani che andavano costituendosi o rimanere in città ad aspettare i bandi di reclutamento che si sarebbero susseguiti dopo la nascita della Rsi. D. si mosse immediatamente nel solco che andava tracciando il movimento resistenziale italiano, organizzando fin da subito una banda partigiana con una ventina di compagni di gioventù del suo paese. In questo senso, la rete attivata nel corso degli anni trascorsi nel circolo Giac gli fu molto utile per entrare in contatto con diversi ragazzi che come lui stavano scegliendo il da farsi dopo l’iniziale sbandamento. A seguito di una prima attività indipendente del suo gruppo, D. decise di mettersi in contatto, nel corso del dicembre 1943, con i comandi delle formazioni autonome presenti nelle Langhe, inserendosi nel I Gruppo divisione alpine guidato dal maggiore Enrico Martini «Mauri».
Dopo aver partecipato a diverse operazioni, l’11 marzo del 1944 la formazione di D. si trovò a essere vittima di una massiccia offensiva tedesca a Corsaglia, paese in provincia di Cuneo, che aveva come scopo quello di piegare le sacche di resistenza ancora presenti nella zona della Val Casotto. Il rastrellamento, condotto con un gran schieramento di forze, costrinse D. e i suoi uomini ad affrontare un duro scontro dagli esiti incerti.
Nel corso dei combattimenti D. venne catturato e, riconosciuto come uno degli organizzatori della Resistenza nel territorio, fu tenuto in stato di arresto dapprima nelle carceri di Ceva e, successivamente, trasferito a Cairo Montenotte, in provincia di Savona. Per oltre un mese fu rinchiuso in una cella sotterranea e, durante i lunghi interrogatori a cui lo sottoposero, venne a più riprese fatto oggetto di torture, privazioni e pestaggi allo scopo di estorcergli informazioni utili a individuare le cellule partigiane che si opponevano al nazifascismo. Visto l’ostinato silenzio che D. tenne di fronte alle richieste degli aguzzini, venne condannato a morte da un non precisato tribunale militare.
Durante la sua prolungata prigionia ebbe modo di scrivere col sangue sui muri della cella l’inizio del «Pater Noster» e la frase «Nella vita si giura una sola volta». A Cairo Montenotte, il 16 aprile del 1944, D. venne fucilato insieme ad altri tre giovani ufficiali, suoi compagni di prigionia.
Per la sua attività in seno alla Resistenza venne insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria, con la qualifica di sottotenente di complemento degli Alpini e partigiano combattente, con la seguente motivazione: «Giovanissimo, animato da fede incrollabile, accorse fra i primi al richiamo santo della Patria, cui prodigava con ardore ineguagliabile ogni energia. In lunghi giorni di lotta acerrima contro il nemico tedesco, soverchiante per numero e mezzi, dava prove esemplari di coraggio, finché, stremato di forze, ma intatto nello spirito indomito, veniva catturato con l’arma in pugno. Rinchiuso in una orribile cella sotterranea, torturato ferocemente, privato di cibo ed acqua, ma sorretto da gigantesco amore per l’Italia, taceva resistendo ad ogni sevizia. Nel momento estremo, il corpo piagato ed infranto, trovava ancora la forza per gridare agli invasori la sua fede negli eterni destini dell’Italia. Fulgido esempio di eroismo e di fede alle generazioni future. Cairo Montenotte, 16 aprile 1944».