Antonio Cei nacque a Viareggio, in provincia di Lucca, nel 1915 da Salvatore e Iride Hofer. Attese agli studi elementari e medi presso le scuole del paese natale e, in questo periodo, si iscrisse al locale circolo della Giac. Passato allo studio professionale, ottenne il diploma di ragioniere e, quindi, si iscrisse all’Università Cattolica del sacro cuore di Milano, dove, nel corso degli anni, ebbe modo di inserirsi tra le fila del gruppo Fuci attivo presso l’ateneo lombardo.
Assunta la qualifica di viceispettore presso l’ufficio doganale di Genova, nel 1939 venne richiamato sotto le armi per assolvere agli obblighi di leva. Ammesso, in qualità di aspirante, al corso per allievi ufficiali presso il 94° reggimento fanteria a Fano, il 1° aprile del 1940 si vide nominato sottotenente e assegnato al 17° reggimento della divisione Acqui. Successivamente all’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, C. venne mobilitato e dal dicembre del 1940 guidò la sua compagnia prima in Albania e, successivamente, nei combattimenti sul fronte greco. Per meriti acquisiti sul campo, fu promosso al grado di tenente e destinato insieme al suo reggimento alla guarnigione posta a presidio dell’isola di Cefalonia.
Fu in questa nuova destinazione che, il 25 luglio del 1943, venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva fine alle ostilità con le forze angloamericane ma teneva drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico. A causa di questa ambiguità la situazione del caposaldo italiano sull’isola si fece sempre più complessa. Alle confuse direttive provenienti dai comandi militari che si limitavano a disporre una generica condotta di paziente attesa difensiva e di reazione solo in caso di attacco subito, fece da contraltare la veemente reazione tedesca che imponeva il disarmo e la resa immediata delle truppe italiane. Tuttavia, la guarnigione di stanza sull’isola decise di opporsi alla richiesta degli ufficiali della Wehrmacht e di approntare un estremo tentativo di resistenza che comportò l’inizio di una serie di combattimenti sul campo, protrattisi per diversi giorni con pesanti perdite in entrambi gli schieramenti.
Al comando del suo plotone di artiglieria, C. fu tra i primi ad ingaggiare battaglia contro i reparti tedeschi che sbarcarono sull’isola e, nel corso delle giornate successive, a opporsi alla loro avanzata approntando le prime linee di difesa sulla costa.
Pur dando prova di capacità organizzative e di dedizione alla causa, i soldati italiani dovettero ben presto constatare l’impossibilità di procurarsi armi e munizioni sufficienti per opporsi per lungo tempo alla schiacciante superiorità dei militi tedeschi e del continuo bombardamento aereo. I reparti rimasti operativi, dunque, si asserragliarono nelle postazioni di retrovia e tentarono un’ultima, effimera difesa per non abbandonare il caposaldo.
In questo contesto, mentre si trovava intento a organizzare gli uomini per questa resistenza, C. venne colpito da una raffica di mitragliatrice nemica che lo lasciò esanime a terra. Morto dunque in combattimento nelle prime ore del 22 settembre, il giovane non fu tra i tanti soldati che, dopo essersi arresi alle ormai preponderanti forze germaniche, nella stessa giornata furono catturati e sommariamente giustiziati come traditori in quello che, nel dopoguerra, fu definito l’«eccidio di Cefalonia».
Al termine della II Guerra mondiale a C. fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la qualifica di tenente di complemento del 17° reggimento di fanteria e la seguente motivazione: «Grande assertore della lotta contro i tedeschi, fu tra i primi ad aprire le ostilità con il fuoco del suo plotone mortai. Durante duri combattimenti trascinava i suoi soldati ad una titanica lotta destando l’incontenibile ammirazione dei superiori e dei gregari per la sua fredda audacia che gli consentì, sotto il furioso spezzonamento e mitragliamento degli stukas, di caricare da solo, in un sol tempo, i suoi due mortai. Divenuto l’anima della lotta e della resistenza, comandante dell’unico reparto organico ancora in armi, trovò il coraggio di opporsi, con un nucleo di eroi, alla potenza nemica che lo annientò. Cefalonia, 9-22 settembre 1943».