Anna Rosa Gallesio nacque a Torino l’8 gennaio del 1912 in una famiglia che la crebbe in un ambiente profondamente antifascista. Il padre, impiegato e dirigente sindacale nelle Ferrovie dello Stato, ebbe diversi motivi di frizione con il regime fino a dover subire, per le sue convinzioni e per la ferma volontà di non prendere la tessera del partito, il licenziamento. Le finanze familiari furono duramente colpite dal provvedimento e la stessa G. si vide costretta, al fine di contribuire al sostentamento economico della famiglia, ad abbandonare gli studi classici per accettare un impiego presso uno stabilimento di montaggio cinematografico torinese. Fu proprio durante questo periodo che, continuando a curare la sua formazione scolastica da autodidatta, decise di prendere parte alle attività della Gf della quale divenne, nel corso del tempo, un’apprezzata propagandista.
A causa dell’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, durante il periodo compreso tra agosto e novembre del 1940 il capoluogo piemontese venne fatto oggetto di copiosi bombardamenti da parte degli alleati che colpirono anche la fabbrica dove lavorava G. A seguito di questo evento la ditta fu costretta a spostare la propria sede e anche la giovane dovette trasferirsi a Pinerolo per rimanere vicina al posto di lavoro. Solo dopo la morte del padre decise di far ritorno a Torino e iniziò a collaborare con la redazione del quotidiano cattolico «L’Italia».
Fu durante il suo impegno nel gruppo di lavoro del giornale che venne raggiunta dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della ratifica dell’armistizio di Cassibile che poneva ufficialmente fine alle ostilità contro gli angloamericani ma, al contempo, dava avvio all’occupazione tedesca di gran parte dell’Italia centrale e settentrionale. Resasi disponibile fin da subito per aiutare gli ex militari sbandati e i renitenti alla leva, G. prese contatti con i responsabili del movimento resistenziale torinese e decise di organizzare un piccolo gruppo di donne cattoliche che dessero il proprio contributo nell’opposizione ai nazifascisti. Fu lei stessa, infatti, a coordinare la distribuzione della stampa clandestina, sfruttando anche i canali apertigli dalla sua attività nella Gf, e a promuovere un’opera di assistenza ai ricercati e alle persone detenute nel carcere di Torino, che riuscì ad avvicinare grazie ai rapporti che teneva con suor Giuseppina De Muro e il cappellano padre Ruggero Cipolla. Nel corso del tempo, inoltre, venne designata come rappresentante della Dc nei Gruppi di difesa della donna e, all’interno dell’organizzazione, si vide affidato l’incarico di organizzare l’attività delle volontarie e delle staffette, come avrebbe ricordato: «Rappresentavo la Dc nei gruppi di difesa della donna, nei quali erano presenti tutte le correnti politiche della lotta di Liberazione. La presidente della Gioventù cattolica femminile mi aveva fornito gli elenchi delle iscritte affinché prendessi contatto con tutte allo scopo di organizzare la partecipazione alla Resistenza ed alla lotta contro il nazifascismo. Con l’aiuto di tante volontarie ho contribuito a nascondere perseguitati e ad assistere carcerati». La possibilità di poggiarsi sulla rete di contatti della Gf fu particolarmente importante in questo processo: «Durante la Resistenza tenemmo corsi clandestini di formazione e di pronto soccorso e mantenemmo contatti con le parrocchie di Torino città e della diocesi. L’organizzazione capillare della Chiesa fu la vera base territoriale della lotta di Liberazione».
Dopo la Liberazione fu componente della Giunta provinciale subalpina insediata dal Cln e, come rappresentante della Dc, affiancò Andrea Gugliemetti e Oscar Luigi Scalfaro nel corso della campagna per il Referendum istituzionale e, quindi, per l’Assemblea costituente. Nel 1951 fu la prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Torino dove rimase ininterrottamente, nel ruolo di assessore, fino al 1971. All’impegno politico affiancò quello di giornalista. Nell’immediato dopoguerra, infatti, iniziò un periodo di collaborazione con la direzione del quotidiano «Il Popolo nuovo» di Torino che durò fino al 1958, passò per un biennio alla «Gazzetta del Popolo» e, infine, dal 1961 al 1977 fu cronista sindacale a «La Stampa». Per il suo impegno professionale fu nominata decana dell’Ordine dei giornalisti. Morì a Torino il 12 marzo del 2010.