Giorgio Zardi nacque a San Daniele del Friuli, in provincia di Udine, il 18 maggio del 1919 da una famiglia di modeste condizioni economiche. Dopo aver atteso agli studi elementari, si iscrisse all’Istituto magistrale Caterina Percoto di Udine dove, durante il suo percorso scolastico, prese parte alle attività delle organizzazioni giovanili del fascismo. Ciononostante, durante questo periodo il giovane venne particolarmente influenzato dagli insegnamenti di don Giuseppe Marchetti, allora professore di latino, che professava un esplicito antifascismo e che nel 1943 dovette subire il confino a Bobbio, in provincia di Piacenza, proprio a causa di alcune sue riflessioni contrarie al regime espresse durante una lezione. Fu in questi anni che Z. si impegnò anche tra le fila del circolo Giac attivo presso la parrocchia di San Nicolò Vescovo al Tempio Ossario di Udine e, vista la sua dedizione, venne nominato vicedelegato diocesano degli Aspiranti. Fu proprio lui a delineare alcuni caratteri di questa sua militanza: «Nel 1939-40 non avevo particolari curiosità politiche. Mi trovavo bene nell’Azione cattolica e dall’interno di questa percepivo i caratteri “duri” del fascismo. […] Nell’Azione cattolica ci veniva proposta una cultura religiosa, non politica, ma noi giovani raccontavamo frequentemente barzellette contro il regime, e soprattutto contro Achille Starace, nostro bersaglio preferito».
Nel 1940, anno dell’ingresso italiano nella Seconda guerra mondiale, venne richiamato sotto le armi per assolvere gli obblighi di leva. Dopo un breve periodo di formazione militare svolto a Udine, fu assegnato a un battaglione di fanteria di stanza a Vipacco, in Slovenia occidentale, e dopo alcuni mesi, su sua richiesta, venne ammesso al corso allievi ufficiali di complemento a L’Aquila. La notizia della caduta del regime con il voto del Gran consiglio del 25 luglio 1943 lo sorprese proprio nel capoluogo abruzzese e, nella generalizzata confusione causata dal susseguirsi degli eventi, fu per lui particolarmente importante il confronto che poté avere con alcuni compagni di associazione che lo indussero a sviluppare un sentimento apertamente antifascista. Come ebbe modo di testimoniare lui stesso, gli incontri avuti in quel periodo furono fondamentali per la futura scelta resistenziale: «Nella città abruzzese avevamo costituito un circolo cattolico e l’arcivescovo, futuro cardinale Confalonieri, ci mise a disposizione una sala per le nostre riunioni. Fu allora che ci scoprimmo antifascisti».
Raggiunto dalla notizia della ratifica dell’armistizio di Cassibile e vista la mancanza di precise direttive dai comandi dell’esercito, Z. decise di lasciare la caserma e far ritorno a casa per non dover essere obbligato ad arrendersi agli occupanti tedeschi. Costretto a far affidamento su mezzi di fortuna, dopo alcuni spostamenti intermedi riuscì a raggiungere San Daniele del Friuli solo nell’ottobre successivo e a rifugiarsi presso l’abitazione dei genitori. Alla fine del 1944, vista la sua volontà di dare un fattivo contributo alla causa partigiana, prese contatti con don Aldo Moretti «Lino» che lo indusse a compiere la propria scelta di campo e raggiungere le formazioni della Resistenza per combattere contro l’occupante. Seguendo le indicazioni del sacerdote, Z. raggiunse la località di Racchiuso di Attimis e, quindi, le malghe di Porzûs dove ebbe modo di unirsi alle fila della I brigata Osoppo, guidata dal capitano Francesco De Gregori. Durante il periodo trascorso in formazione assunse il nome di battaglia di «Glauco», in onore dello zio materno don Paolino Urtovic che era solito firmarsi con questo pseudonimo nei suoi interventi sul periodico cattolico «Fiamma giovanile», e si distinse fin da subito in diverse operazioni di sabotaggio e di guerriglia contro le forze nazifasciste.
Nel gennaio del 1945, visto il clima particolarmente freddo che caratterizzava l’inverno nelle montagne della zona, decise di seguire alcuni compagni e scendere in pianura a Vergnacco anche per mantenere contatti diretti con i comandi alleati. Fu dunque solo per una coincidenza che, durante il periodo trascorso lontano dalla formazione, riuscì a evitare lo scontro che il 7 febbraio del 1945 portò all’ormai noto eccidio di Porzûs in cui perdettero la vita diciassette partigiani della Osoppo (compreso il comandante De Gregori) a causa dell’attacco di un reparto di garibaldini, guidato da Mario Toffanin «Giacca», che riteneva gli osovani colpevoli di mantenere costanti rapporti con i comandi della X Mas e con i tedeschi. Questi eventi indussero Z. a non far ritorno in montagna, preferendo invece impegnarsi nella propaganda contro i nazifascisti e nella redazione della stampa clandestina. Come ebbe modo di testimoniare: «La violenza prevaleva. Non ritornai più in montagna e fui incaricato di curare un numero di “Osoppo avanti!” del marzo 1945. Le riunioni clandestine si svolgevano nelle canoniche per preparare i futuri quadri politici». Divenuto commissario politico della I brigata Osoppo nell’aprile del 1945, in questo ruolo assistette alla liberazione di Udine. Nel dopoguerra Z. ha svolto molto proficuamente la professione di giornalista. Ha lavorato dapprima come direttore del settimanale «Nuovo Friuli», organo regionale della Democrazia cristiana, quindi come redattore dal 1948 al 1954 del «Messaggero veneto». Dopo questa data passò all’«Avvenire d’Italia» e, quindi, al «Gazzettino». Al suo impegno lavorativo fece anche corrispondere un protagonismo in ambito civile e sociale. Eletto sindaco di San Daniele del Friuli nel 1953, rimase in carica fino al 1964. Da questa data, fino al 1970, fu nominato assessore provinciale all’agricoltura. Negli anni Ottanta fu inoltre presidente dell’Associazione partigiani Osoppo, divenendone poi presidente onorario fino alla sua morte, sopravvenuta il 10 dicembre del 2007.