Andrea Zubani nacque il 21 novembre 1926 a Marmentino, in provincia di Brescia, da Luigi e Caterina Medaglia. Nel corso dell’infanzia, per motivi legati alla professione del padre, la famiglia dovette trasferirsi a Castro, piccolo comune situato sulla sponda occidentale del Lago d’Iseo, poco distante da Bergamo. Fu in questa nuova destinazione che Z. attese agli studi elementari e medi e, nel contempo, ebbe la possibilità di inserirsi tra le fila del locale circolo Giac Pier Giorgio Frassati. Con la dichiarata volontà di poter essere d’aiuto alle finanze familiari, il giovane decise di iscriversi alla scuola per l’avviamento professionale nel capoluogo orobico e, nel corso del terzo anno, di fare richiesta per essere assunto in qualità di apprendista in un laboratorio di analisi chimiche.
Fu in questa occupazione che Z. assistette alla caduta del regime fascista e, successivamente, alla ratifica dell’armistizio di Cassibile, che poneva fine alle ostilità con le forze angloamericane ma lasciava drammaticamente aperto il nodo riguardante i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico già presente in forze nel territorio della penisola. A causa di questa ambiguità e incertezza, le truppe tedesche della Wehrmacht poterono dare avvio all’operazione Achse con la quale, sfruttando la mancanza di direttive e lo sbandamento dei reparti del Regio esercito, riuscirono a occupare tutti i centri nevralgici dell’Italia settentrionale e centrale. Fu così che Z., nel corso dei mesi successivi agli eventi dell’8 settembre 1943, ebbe modo di constatare la durezza dell’occupazione tedesca nell’Italia settentrionale e di vedere la nascita della Repubblica sociale guidata da Mussolini.
Dopo aver preso contatti con il movimento resistenziale attivo nella bergamasca, il 25 giugno del 1944 il giovane decise di rompere gli indugi e aggregarsi al distaccamento partigiano comandato da «Brach», nome di battaglia di Giuseppe Brighenti, inquadrato nella 53ª brigata Garibaldi «Tredici martiri» di Lovere.
Il 27 aprile del 1945, durante le operazioni che seguirono la fase dell’insurrezione generale in provincia di Bergamo, un’autocolonna tedesca in ritirata diretta verso il Brennero si avvicinò a Endine, risalendo la Valle Cavallina lungo la strada del Tonale. I partigiani rimasti in paese, tra i quali Z., si radunarono in località Basso e ricevettero l’ordine del comandante Brighenti di nascondersi e di non scontrarsi con il nemico di passaggio, per non scatenare la reazione tedesca contro la popolazione civile. Lo stesso «Brach», nel dopoguerra, testimoniò di essere stato «avvertito che tra il comando tedesco e il comando militare partigiano, per intercessione di Mons. Bernareggi, Vescovo di Bergamo, era intervenuto un accordo secondo il quale alle colonne tedesche che si ritiravano dal fronte e dalle città del Nord sarebbero state garantite le vie libere fino al Brennero al fine di evitare spargimenti di sangue».
Poco prima che la colonna raggiungesse l’abitato di Endine, un civile, qualificatosi come «comandante dei patrioti di Casazza», insistendo perché si attaccassero le truppe germaniche di passaggio, si mise a sparare contro le avanguardie della formazione tedesca. Al contempo, constatato l’inizio di uno scontro a fuoco, un partigiano che si trovava in una posizione sopraelevata rispetto alla strada lanciò una bomba a mano, colpendo il primo mezzo della colonna e causando la morte di un soldato nemico. La reazione tedesca fu immediata e veemente. Nella battaglia che seguì, il gruppo partigiano presente in paese tentò di sostenere lo scontro ma, dovendo constatare la grande differenza di forze in campo, preferì ritirarsi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Nello scontro a fuoco, durato circa un’ora, persero la vita Pietro Colombi e Z., colpito da una raffica di mitraglia nemica.
Al termine della giornata si contarono nove vittime della repressione tedesca tra la popolazione civile in quello che fu considerato, nel dopoguerra, «l’eccidio di Endine». Dopo aver bruciato e devastato alcuni edifici, peraltro, i tedeschi presero in ostaggio circa trecento civili per assicurarsi una tranquilla ritirata e solo dopo una lunga e difficile trattativa decisero di rilasciarli senza ulteriori scontri.