Beltrami Filippo

Immagine: Archivio iconografico del Verbano Cusio Ossola
Immagine: Archivio iconografico del Verbano Cusio Ossola
Nome: Filippo
Cognome: Beltrami
Nome di battaglia: Il Capitano
Luogo di nascita: Cireggio
Provincia/stato: Verbano-Cusio-Ossola
Data di nascita: 14/07/1908
Luogo di morte: Megolo
Provincia/Stato morte: Verbano-Cusio-Ossola
Data di morte: 13/02/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Filippo Beltrami nacque a Cireggio, facente parte dell’attuale provincia del Verbano-Cusio-Ossola, il 14 luglio 1908. Negli anni giovanili, trascorsi nel paese natale, ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi e, successivamente, venne ammesso al liceo ginnasio statale Alessandro Manzoni di Milano.

Iscrittosi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, ebbe modo di intessere i primi contatti con alcuni rappresentanti dell’antifascismo locale e, dopo aver terminato gli esami previsti, nel 1932 discusse la propria tesi e conseguì il diploma di laurea. Terminato il percorso accademico, venne richiamato per assolvere i propri obblighi di leva e fu ammesso alla scuola allievi ufficiali di complemento nel 21° reggimento artiglieria nel quale, dal 1° luglio 1931 al 21 gennaio 1933, prestò servizio di prima nomina assumendo il grado di sottotenente.

Conclusa la formazione militare, il giovane ebbe modo di aprire uno studio privato per svolgere la propria opera di architetto nel capoluogo lombardo, riprendendo la tradizione familiare che vedeva nel prozio paterno, Luca Beltrami, un professionista molto affermato in questo campo. Nel corso del 1938 rispose a un bando presentando il progetto, classificatosi come secondo nella selezione finale, per la sistemazione di piazza Duomo, che aveva intenzione di dedicare alla memoria dei soldati caduti nel corso della I Guerra mondiale. Nella presentazione del lavoro egli scrisse: «Alle magnanime ombre del passato per cui virtù alta volò nei secoli la fama del lombardo suolo. Alle generazioni degli avi, accorse al suono della rotta campana, spiegando al vento dell’eroico Marzo il tricolore della Patria. Ai silenziosi fanti della grande prova. A Voi, ardenti creature, balzate dall’ombra del Covo fatale nella vivida luce della gloria, a Voi, infine, giovinetti guerrieri, che esanimi cadeste in barbara terra, donatori di imperi, eroi di un mito che sempre si rinnova, dedico questa mia fatica. Il vostro sublime dramma, eternato nel candido marmo della fronte, sia alle future generazioni incitamento e sprone».

Fu in questi anni, inoltre, che B. si iscrisse alla sezione milanese dei Laureati di Ac, movimento fondato nel 1933 da Igino Righetti e mons. Giovanni Battista Montini con l’obiettivo di dare continuità al percorso di formazione religioso e intellettuale dei giovani che uscivano dalla Fuci dopo gli anni universitari.

Nel 1936, dopo tre mesi di fidanzamento, convolò a nozze con Giuliana Gadola, con cui qualche anno più tardi avrebbe condiviso l’esperienza resistenziale, da cui ebbe tre figli. In quell’anno, inoltre, fece richiesta per frequentare un corso di istruzione per essere promosso a tenente e ottenne il grado a scelta ordinaria il 1° luglio. Richiamato alle armi per mobilitazione, il 5 giugno 1943 B. venne assegnato, dopo specifica richiesta da lui avanzata, al deposito del 27° reggimento artiglieria di stanza a Milano dove, nel corso dei quarantacinque giorni successivi alla caduta del governo fascista, venne promosso al grado di capitano. Fu proprio in questo contesto che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile e, visto sciolto il reparto e constatato lo sbandamento di molti dei commilitoni, decise di raggiungere la famiglia e di trasferirsi con moglie e figli nuovamente a Cireggio, presso una villa di famiglia nella quale avrebbero potuto evitare i bombardamenti che funestavano Milano.

Ben noto per le sue idee antifasciste, B. venne presto avvicinato da personaggi legati al movimento resistenziale lombardo e, con questi, decise di organizzare e prendere il comando di un modesto gruppo di ex militari del regio esercito che erano riusciti a sfuggire dalle deportazioni in Germania. Organizzata una formazione di partigiani e assunto il nome di battaglia de «Il Capitano», raggiunse la zona di Quarna, in Val Strona. Fu in questo periodo di consolidamento della banda che sua moglie collaborò attivamente allo scopo di garantire continui rifornimenti e l’equipaggiamento necessario attraverso dei finanziamenti ottenuti dai frequenti contatti con gli industriali della zona e, allo stesso tempo, fu lei a curare i primi rapporti con il Cln locale.

Incrementato il numero di uomini a disposizione, arrivando fino a poter contare su circa duecento effettivi, la banda da lui guidata raggiunse quella dei fratelli Alfredo e Antonio Di Dio, anche loro soci della Giac di Cremona e future medaglie d’oro al valor militare della Resistenza, dando corpo nel dicembre del 1943 a una nuova formazione che prese forma dalla fusione dei due gruppi e venne denominata Brigata patrioti Valstrona. Il comando venne assunto proprio da B., mentre Alfredo Di Dio ne divenne il vice comandante con la responsabilità del comando operativo, occupandosi delle questioni più prettamente tecniche e coordinando le azioni militari. Nel capodanno del 1944, inoltre, la firma del «Capitano» comparve su un manifesto che, rivolgendosi alla popolazione civile, invitava a considerare l’anno che stava per cominciare come quello «della liberazione della Patria», mettendo però in guardia dal ritenere l’obiettivo già raggiunto in quanto, egli sottolineò, «più la meta sarà vicina, più dura sarà la lotta; lotta contro l’invasore straniero, lotta contro l’infame oppressore fascista».

L’ottimistica previsione sulla fine della lotta di liberazione dovette ben presto scontrarsi con la realtà degli eventi che si susseguirono. Constatata la grande difficoltà nel reperire armamento e munizioni, infatti, la banda venne fortemente colpita dai duri scontri che dovette affrontare contro reparti nazifascisti impegnati in operazioni di rastrellamento nel corso dei primi mesi del 1944. La continua perdita di effettivi tra le fila della formazione costrinse B. a un rapido ripiegamento tra le montagne sopra Megolo, in Val d’Ossola, per tentare di riorganizzare i reparti e coordinare la propria azione con le altre bande presenti nel territorio.

Nel corso di questo periodo, invece, non fu del tutto chiaro il tipo di rapporto che a più riprese B. tentò di intessere con alcuni ufficiali delle truppe d’occupazione per trattare tregue momentanee o scambi di prigionieri. Durante una riunione tenuta il 26 gennaio insieme ai membri del Cln provinciale a Campello Monti, nei locali del comando della sua formazione autonoma, si era detto favorevole alla possibilità di accettare offerte di «colloqui» o di «tregua» da parte del nemico. Allo stesso modo, però, già nel dicembre del 1943 egli aveva perentoriamente risposto allo stesso Cln che non avrebbe accettato «nessuna tregua, per nessuna ragione». Nonostante questo, comunque, contatti più o meno diretti vi furono, come, ad esempio, quello che lo portò all’incontro con il capo della provincia di Novara, Dante Maria Tuninetti, con il quale cercò di trattare una «tregua armata», ottenendo una veemente reazione delle brigate comuniste presenti nella zona, fortemente contrarie ad accordi con le forze nazifasciste. Egli, inoltre, tentò di instaurare contatti per preservare la popolazione civile dalle rappresaglie ordite dopo le azioni partigiane e, anche attraverso la mediazione del vescovo di Novara mons. Leone Ossola, organizzò lo scambio di prigionieri portato a termine con la sua approvazione dal vice comandante Di Dio con Tuninetti.

Il 13 febbraio dello stesso anno, dopo aver rifiutato la possibilità di salvarsi con un salvacondotto offertogli da un ufficiale tedesco della guarnigione di stanza a Meina, che chiedeva in cambio il disarmo della sua banda, la formazione di B. venne fatta oggetto di una vasta operazione di rastrellamento condotta da ingenti truppe nazifasciste che, raggiunta la zona di Megolo, ingaggiarono battaglia con i partigiani per piegare l’ultimo baluardo di resistenza nella zona e renderla nuovamente sicura. La formazione da ex militare indusse il «Capitano» a un effimero tentativo di difesa contro l’offensiva dei tedeschi e repubblichini.

Visto lo squilibrio delle forze in campo e la mancanza di armamento e munizioni, la brigata cominciò ben presto a cedere davanti all’avanzata nemica e a sbandarsi nel tentativo di una ormai impossibile ritirata. Più volte ferito, B. volle ricompattare le fila dei suoi uomini e tentare una strenua resistenza, asserragliandosi con un piccolo contingente in un casolare per evitare il combattimento in campo aperto. In questo ultimo tentativo, però, egli dovette ingaggiare un durissimo scontro a fuoco nel corso del quale, colpito ripetutamente, perse la vita. La salma di B. venne recuperata solo il giorno successivo insieme a quella di molti dei suoi compagni tra i quali, tra gli altri, vi era Alfredo Di Dio.

Dopo la sua morte, in onore del suo estremo sacrificio, la brigata da lui guidata assunse il suo nome, divenendo Brigata alpina «Beltrami» e al comando salì Bruno Rutto, ufficiale del 3° Reggimento alpini. Alla memoria di B. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di tenente di complemento d’artiglieria e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Primissimo fra i primi volontari della libertà, organizzava la resistenza nelle sue valli ed in pianura, conducendo personalmente le più temerarie imprese. Ferito una prima volta, non desisteva dalla durissima vittoriosa attività e rapidamente conquistava al suo nome una leggendaria e cavalleresca aureola. Di ritorno da un’azione, veniva attaccato da forze venti volte superiori, ma sdegnoso di ripiegare o di arrendersi, si asserragliava con pochi compagni in un casolare e accettava l’impari combattimento. Riportava diverse ferite e continuava nella lotta ardente finché dopo altre tre ore di combattimento cadeva gloriosamente insieme a tutti i suoi compagni. Megolo, 13 febbraio 1944».

Onorificenze

Primissimo fra i primi volontari della libertà, organizzava la resistenza nelle sue valli ed in pianura, conducendo personalmente le più temerarie imprese. Ferito una prima volta, non desisteva dalla durissima vittoriosa attività e rapidamente conquistava al suo nome una leggendaria e cavalleresca aureola. Di ritorno da un’azione, veniva attaccato da forze venti volte superiori, ma sdegnoso di ripiegare o di arrendersi, si asserragliava con pochi compagni in un casolare e accettava l’impari combattimento. Riportava diverse ferite e continuava nella lotta ardente finché dopo altre tre ore di combattimento cadeva gloriosamente insieme a tutti i suoi compagni. Megolo, 13 febbraio 1944.

Fonti e bibliografia

  • Giuliana Gadola Beltrami, Il Capitano, Gentile, Milano 1946.
  • Mario Macchioni, Filippo Maria Beltrami il «Capitano»: la Resistenza nel Cusio dal novembre ’43 al febbraio ’44, Mursia, Milano 1980.
  • Mauro Begozzi, Il signore dei ribelli: Filippo Maria Beltrami tra mito e storia, Lampi di stampa, Milano 2003.
  • Aristide Marchetti, Ribelle: nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio, Hoepli, Milano 2008.

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