Di Dio Alfredo

Alfredo_Di_Dio
Immagine: Wikipedia
Nome: Alfredo
Cognome: Di Dio
Nome di battaglia: Marco
Luogo di nascita: Palermo
Data di nascita: 04/07/1920
Luogo di morte: Gola di Finero
Provincia/Stato morte: Verbano-Cusio-Ossola
Data di morte: 12/10/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Alfredo Di Dio nacque il 4 luglio 1920 a Palermo da Arcangelo Di Dio e Adele Cala. Nel 1927 il padre, brigadiere di pubblica sicurezza, venne promosso e trasferito a Cremona dove D.  ebbe la possibilità di frequentare gli studi ginnasiali presso il liceo Manin fino alla maturità classica. Faceva parte, insieme al fratello minore Antonio, del circolo di Ac della parrocchia di S. Agostino. Particolarmente avvezzo alla pratica dello sport, eccelleva nella scherma, disciplina nella quale fu brillante rappresentante della sua città in varie competizioni nazionali. Grazie alla sua formazione culturale e alla pratica nell’uso delle armi non ebbe problemi a essere ammesso, nel 1939, all’Accademia militare di Modena dove, due anni dopo, venne nominato sottotenente e, successivamente, assegnato in qualità di istruttore al primo reggimento carristi dislocato a Vercelli.

Allo scoppio della II Guerra mondiale, al momento dell’entrata dell’Italia nel conflitto, diverse furono le richieste che fece pervenire ai suoi comandi per essere spedito al fronte, ma queste non vennero accolte vista l’esigenza di poter contare su personale che garantisse adeguata formazione alle reclute che venivano richiamate.

Alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 D. si trovò a Vercelli, dove era rimasto al comando della compagnia carrista che gli era stata affidata.

Trovandosi, come altri ufficiali, nella difficile situazione di dover effettuare la propria scelta di campo e vista l’immediata occupazione tedesca dell’Italia settentrionale, decise di radunare gli uomini della sua compagnia e di definire con loro se combattere contro le truppe tedesche che si dirigevano verso la città o se consegnare loro le armi e arrendersi. Accertata la volontà dei suoi uomini di resistere al nemico, comandò al reparto di carri di marciare verso Milano, non riuscendo tuttavia a raggiungere il capoluogo lombardo visto il netto diniego all’ingresso in forze della sua compagnia che ricevette dai comandi militari della città. Nonostante questo, decise di attestarsi nella città di Novara, dove prese contatti con l’ufficiale di stanza, chiedendogli se si stesse organizzando una opposizione alle forze naziste. Ricevuta, anche in questo caso, una risposta negativa, decise di insistere perché non si lasciasse la guarnigione in mano ai tedeschi. Tuttavia, dopo una breve trattativa, capì che non avrebbe potuto imporre la scelta del suo reparto agli ufficiali che comandavano la formazione di stanza a Novara. D. decise quindi di radunare i carri e allontanarsi in tutta fretta ma l’azione dovette arrestarsi quando si apprese la notizia che le forze naziste si stavano avvicinando alla città e vista la volontà dei comandi cittadini di non lasciarli andare.
Trovandosi così in stato d’assedio, la compagnia fu costretta a ingaggiare battaglia per riuscire ad evaderne, riuscendo ad allontanarsi poche ore prima dell’arrivo delle forze tedesche. I suoi uomini decisero di seguirlo, ma non fu possibile condurre i carri, che vennero quindi fatti saltare, per non lasciarli in mano del nemico. Con i suoi compagni decise quindi di spostarsi a Cavaglio d’Agogna, piccolo comune in provincia di Novara, dove venne raggiunto dal fratello Antonio, scappato pochi giorni prima dalla prigionia nelle carceri di Parma.

Fu questo l’antefatto che portò alla formazione del primo nucleo di combattenti partigiani che si portarono in località Omegna, nell’Ossola. Uno dei primi problemi da risolvere, come per le neonate bande di resistenti, fu l’armamento per la guerriglia contro i nazifascisti. D., in prima persona, si volle attivare per riuscire a colmare questa deficienza, mettendosi alla guida di un piccolo camion e organizzando efficaci azioni contro le pattuglie tedesche operanti nella zona alle quali, con il pretesto di presentare i documenti, intimava di arrendersi e consegnare le armi in dotazione.  Organizzata e armata la sua banda, cominciarono le prime azioni contro le forze nazifasciste, mentre si andavano formando altri raggruppamenti di partigiani saliti in montagna per non rispondere ai bandi di reclutamento della neonata Rsi.

Dopo aver fatto visita al comandante Filippo Beltrami, socio dei Laureati di Azione cattolica di Milano e insignito di medaglia d’oro al valor militare al termine della guerra, venne formata la «Brigata Patrioti Valstrona», nata dalla fusione delle due bande. Il 23 dicembre 1943 il Comando della formazione venne posto a Campello Monti, nel comune di Valstrona; Beltrami venne nominato comandante, mentre D. assunse il comando operativo, occupandosi delle questioni più prettamente tecniche e coordinando le azioni militari.

Fu in questo contesto che, giunto a Novara per organizzare la Resistenza con i capi delle altre formazioni, riuscì a concordare, con il prefetto cittadino Dante Maria Tuninetti e il questore Ugo Abrate, uno scambio di prigionieri per liberare tre suoi compagni che erano stati catturati. L’incontro per lo scambio venne fissato per l’8 gennaio 1944 in località Ameno e vide la fondamentale intercessione del vescovo di Novara, monsignor Leone Ossola.
Il 23 gennaio 1944, partito alla volta di Milano per incontrare alcuni membri del Cln locale e chiedere finanziamenti per la formazione da lui guidata, venne catturato da una pattuglia di fascisti nei pressi di Novara e rinchiuso nel carcere della città. Nel corso della sua seppur breve detenzione, ricevette la notizia della morte del fratello e del capitano Beltrami, caduti a Megolo il 13 febbraio, in frazione di Pieve Vergonte, vittime di un rastrellamento. Dopo circa un mese di prigionia, riuscì a evadere dal carcere. Fatto ritorno in zona Val d’Ossola e ricongiuntosi con i suoi compagni, decise di nominare la brigata alpina d’assalto «Filippo Beltrami», in onore del compagno morto, accogliendo tra le sue fila gli uomini sopravvissuti della dispersa banda del capitano Beltrami e altri militari sbandati che si rifugiavano tra i monti circostanti. Vedendo aumentare in maniera considerevole gli effettivi a sua disposizione, decise di organizzare le forze a sua disposizione in una divisione, che prese il nome di divisione «Valtoce», della quale D. venne nominato comandante. La sua fu una formazione inquadrata nelle Brigate Fiamme Verdi, di orientamento prevalentemente cattolico; il motto che venne scelto fu «La vita per l’Italia», fieramente rivendicato nel secondo numero del volantino quotidiano «Valtoce», organo ufficiale della divisione autonoma che aveva come redattore Giorgio Buridan, nominato dallo stesso D. In esso venne scritto: «Definire il nostro programma è semplice ed è breve: esso si riassume nel motto stesso della formazione: La vita per l’Italia. Per ora siamo soltanto dei militari, e non vogliamo avere alcuna ingerenza di partito».

Fu in questo periodo che vide la luce la cosiddetta «Repubblica dell’Ossola», il primo territorio d’Italia che venne liberato dall’operazioni di sole formazioni partigiane. Sotto il comando di D, infatti, l’8 settembre 1944 la divisione attaccò in forze la guarnigione di fascisti di stanza nella cittadina di Domodossola, riuscendo ad avere la meglio, entrando nel territorio appena liberato e garantendo l’istituzione della Giunta provvisoria di Governo di Domodossola. Un resoconto dell’entrata della divisione di D. nella città venne fornita nel medesimo numero del volantino citato in precedenza, in cui si leggeva: «Alla nostra entrata in Domodossola, trovammo un’accoglienza inaspettata: il vero popolo italiano, quello che con noi ha sofferto, ci accolse in un fraterno abbraccio e ci espresse con quella semplicità e entusiasmo che è proprio dei puri, tutta la riconoscenza per quella libertà che giustamente merita».

Per difendere questo successo, la «Val Toce», la formazione che poteva contare su un maggior numero di uomini e su un solido armamento, venne posizionata sul fronte occidentale della Repubblica, quello più esposto a possibili contrattacchi.

L’11 ottobre del 1944 la Repubblica venne attaccata, per volontà e comando del prefetto di Novara Enrico Vezzalini, dalle forze nazifasciste. D., preso il nome di battaglia di «Marco», coordinò i vari settori della Resistenza, facendosi carico di farsi giungere e valutare le diverse relazioni dei comandanti delle bande in azione. Dopo una breve tregua, le truppe nemiche si ricompattarono e affondarono una nuova offensiva nel fronte partigiano, rendendo la situazione molto critica, particolarmente in Val Vigezzo. Il giorno dopo, 12 ottobre, facendosi la pressione nemica insostenibile per le sole forze della «Val Toce», D. decise di spostarsi a Malesco, paese in provincia del Verbano-Cusio-Ossola in Val Vigezzo, insieme al colonnello Attilio Moneta, comandante della Guardia nazionale ossolana, nel tentativo di meglio coordinare i reparti messi maggiormente sotto scacco dall’offensiva nazifascista. Per prepararsi a una sortita tra le righe nemiche, i comandanti D. e Moneta passarono in rassegna le posizione dei partigiani ma, prima di poter organizzare l’azione, vennero colpiti da una raffica di mitra che li lasciò esanimi in terra.

Nel 1947 l’Università di Pavia, alla quale Alfredo Di Dio era iscritto, gli concesse la laurea ad honorem alla memoria. Gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, con la qualifica di tenente dei carristi e partigiano combattente, con la seguente motivazione: «ufficiale dell’Esercito in s.p.e., fin dal primo giorno della resistenza fu alla testa del proprio reparto nell’accanita battaglia contro l’oppressore. Organizzò i primi nuclei partigiani e con magnifico ardimento li condusse nell’impari lotta attraverso una serie di audaci imprese. Catturato dal nemico, con sdegnosa fierezza subì i duri interrogatori e, riuscito a farsi liberare, temerariamente riprese il suo posto di combattimento partecipando alle operazioni che, attraverso lunghi mesi di sanguinosa lotta, portarono alla conquista della Val d’Ossola. In questo primo lembo d’Italia valorosamente conquistato resistette per quaranta giorni con i suoi uomini stremati, affamati e male armati contro forze nemiche di schiacciante superiorità, finché con le armi in pugno incontrò eroica morte alla testa dei suoi partigiani. Valle Strona, settembre 1943; Valle d’Ossola, Val Vigezzo, Fin nero, settembre-ottobre 1944».

Onorificenze

Ufficiale dell’Esercito in s.p.e., fin dal primo giorno della resistenza fu alla testa del proprio reparto nell’accanita battaglia contro l’oppressore. Organizzò i primi nuclei partigiani e con magnifico ardimento li condusse nell’impari lotta attraverso una serie di audaci imprese. Catturato dal nemico, con sdegnosa fierezza subì i duri interrogatori e, riuscito a farsi liberare, temerariamente riprese il suo posto di combattimento partecipando alle operazioni che, attraverso lunghi mesi di sanguinosa lotta, portarono alla conquista della Val d’Ossola. In questo primo lembo d’Italia valorosamente conquistato resistette per quaranta giorni con i suoi uomini stremati, affamati e male armati contro forze nemiche di schiacciante superiorità, finché con le armi in pugno incontrò eroica morte alla testa dei suoi partigiani. Valle Strona, settembre 1943; Valle d’Ossola, Val Vigezzo, Fin nero, settembre-ottobre 1944.

Fonti e bibliografia

  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.
  • Insmli, Corpo volontari della libertà, Documentazione e materiale storico-statistico, Biografie sui caduti partigiani, b. 165, fasc. 531.
  • Roberto Chiarini, Alfredo e Antonio Di Dio: due giovani nella guerra partigiana dell’Ossola (1943-1944), Comune di Cremona, Cremona 1982.
  • Nino Maglierina, Un eroe della libertà: Alfredo Di Dio, in Id. (a cura di), Busto è insorta. 1945-25 aprile-1946. A tutti i patrioti della divisione Alto Milanese, Tip. Orfanatrofio, Busto Arsizio 1946.

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Hanno fatto parte di Gioventù italiana di Azione cattolica anche:

ISACEM – Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
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