Romualdo Chiesa nacque a Roma il 31 agosto 1922 da Angelo Chiesa e Lina Polvani, maggiore di 11 fratelli. Frequentò gli studi medi presso il Collegio San Giuseppe-Istituto De Merode dei Fratelli delle Scuola Cristiane, in Roma, ottenendo una solida formazione cristiana e facendo parte della associazione giovanile interna di Azione cattolica. Terminati gli studi presso il Collegio, frequentò nella capitale il Liceo E.Q. Visconti.
Nella seconda metà degli anni Trenta, periodo in cui il regime registrava il più alto grado di consenso in Italia, C. decise di compiere, insieme a un gruppo di amici del suo stesso liceo, tra i quali vi erano Franco Rodano, Marisa Cinciari, Silvia e Laura Garroni, Paolo Moruzzi, Roberto Zappelloni, Antonio Tatò, Tullio Migliori, Ennio Severi, una seria e chiara scelta antifascista. Questo indirizzo fu orientato anche, e soprattutto, dalla comune partecipazione al Circolo della Congregazione mariana La Scaletta, situato nei locali vicini alla chiesa di Sant’Ignazio e diretto dai Gesuiti, dove il dibattito su attualità e politica si legava a quello prettamente religioso. Sul finire del 1939 una delle tappe fondamentali per il suo percorso personale fu l’incontro con un altro gruppo di giovanti antifascisti cattolici, attivi nelle opere del circolo cattolico Dante e Leonardo, collegato alla scuola dell’Apollinare di Roma e fortemente legato alla sottofederazione Sud dell’Ac; di particolare importanza per lui furono le figure di Adriano Ossicini, Paolo Pecoraro e Amedeo Coccia. L’incontro di questi due eterogenei gruppi permise la nascita, nel 1939, del Partito cooperativista sinarchico, formato e sostenuto da una base prettamente studentesca, che fu un’originale organizzazione politica, precorritrice di quello che sarà il Movimento dei cattolici comunisti e poi il Partito della sinistra cristiana.
Nel 1940 C. si iscrisse alla Facoltà di ingegneria presso l’Università di Roma. In questo periodo, C. operò a sostegno della propaganda antifascista e per favorire l’agitazione promossa da gruppi contrari al regime. In queste sue attività si avvicinò agli ambienti frequentati da alcuni giovani comunisti quali Paolo Bufalini, Antonello Trombadori e Mario Leporatti. Un primo documento programmatico a sostegno dell’opera del gruppo antifascista, il «Manifesto del Movimento cooperativista», redatto nei primi mesi del 1941 da Rodano, Pecoraro e Ossicini, non mancava di sottolineare il bisogno di un immediato e deciso impegno contro il fascismo. Tra gli animatori di questo indirizzo vi fu C.
Il 5 maggio 1941, all’università, durante una manifestazione studentesca organizzata dai Gruppi dei fascisti universitari per sostenere la patria in guerra attraverso la rievocazione del «maggio radioso» del 1915, alcuni giovani avversari del regime organizzarono un fitto lancio di “stelle filanti” che riportavano al loro interno scritte antifasciste e denigratorie nei confronti del capo dello Stato. Per quella che fu successivamente definita come «la beffa delle stelle filanti» furono catturati e posti in stato di arresto, tra gli altri, anche Giorgio Castaldo, Leporatti, Migliori e C. Quest’ultimo, tradotto in carcere e interrogato lungamente, non rivelò alcuna informazione e non fece alcun nome. Venne, per questo, deferito al Tribunale speciale per aver operato «attività comunista e antifascista e disfattismo politico ed economico». Pur venendo assolto per mancanza di prove, nel gennaio 1942 fu comunque sottoposto al vincolo dell’ammonizione, che fece di lui un osservato speciale dalle autorità fasciste. Nel corso dello stesso anno, il Pcs cambiò denominazione divenendo Partito cristiano comunista, C. decise di rinnovare il suo impegno a favore della neonata compagine politica. Proprio intorno alla sua figura, insieme a quelle di Coccia e Mario Vivaldi, l’organizzazione ottenne nuova vitalità dopo l’ondata di arresti, circa quattrocento comunisti cristiani, che il gruppo dirigente dovette subire al termine del 1942 e nei primi mesi del 1943.
L’8 settembre del 1943, C. si trovava a Roma, dove, insieme a gruppi di volontari aderenti al movimento, decise di combattere in difesa della capitale, assediata dalle forze tedesche. Il 10 settembre si trovarono in via Galvani per armarsi ed organizzare la resistenza in città. Un gruppo di studenti, comandato da C. e che annoverava anche Raffaele Persichetti, affiancava quello di operai di Monte Mario, che aveva alla testa Ossicini e Armando Bertuccioli. Il movimento partecipò al tentativo di fermare le armate tedesche a Porta San Paolo, pur non riuscendo ad arginare l’avanzata delle preponderanti forze naziste.
Dopo la resa di Roma, l’organizzazione dovette modificare nuovamente la propria denominazione, divenendo così Movimento dei cattolici comunisti. C., dando seguito alle sue convinzioni, non si piegò al periodo di occupazione tedesca e decise di operare in seno alla Resistenza armata contro i nazifascisti. Ricoprì, infatti, la carica di commissario politico, grado equiparato a quello di tenente, del I battaglione della I Brigata cittadina della divisione Dl-Mcc, meglio nota come “Banda Ossicini” e, successivamente, assunse il ruolo di caposettore dei quartieri Aurelio-Trionfale e Porta Cavalleggeri. A lui facevano riferimento gli alleati per ottenere notizie e dettagli circa l’operato della Resistenza nella capitale; C. dovette dunque prodigarsi per mantenere sempre aperto, attraverso un efficiente ufficio informazioni, il contatto con il loro comando e per facilitare l’arrivo del Bollettino che giornalmente veniva prodotto dai Gruppi di azione patriottica.
Dopo essere sfuggito tre volte alla cattura, il 15 febbraio 1944, in seguito a delazione di un agente provocatore, venne arrestato da un reparto di SS mentre con un suo amico si stava recando nei pressi di Ponte Milvio. Pur riuscendo a disfarsi, senza essere visto, di alcuni documenti compromettenti, fu condotto nel carcere di via Tasso, dove dovette subire torture e sevizie, che si prolungarono per quarantacinque giorni, causandogli peraltro delle gravi lesioni agli occhi. Nonostante il trattamento riservatogli, non riuscirono a strappargli alcuna rivelazione che potesse tradire i compagni d’arme. Il 24 marzo 1944 fu tra i 335 civili trucidati alle Fosse Ardeatine, come rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella.
Nel 1944 gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria in qualità di partigiano combattente, con la seguente motivazione: «Giovane antifascista conobbe il carcere poco più che diciottenne e dalle sofferenze patite fu temprato alla dura lotta clandestina di cui divenne assertore convinto ed incitatore travolgente. A Porta San Paolo condusse operai e studenti ad ostacolare il passo alle truppe tedesche che con orgogliosa baldanza marciavano contro la Città Eterna. Il popolo romano di Monte Mario, Borgo, Prati, Trionfale, Porta Cavalleggeri e Madonna del Riposo sentì la sua voce tonante di tribuno organizzatore di gruppi di armati e di G.A.P. che furono, sotto la sua guida, audaci esecutori di ardite azioni di sabotaggio. Già sfuggito tre volte alla cattura, in seguito a vile delazione cadde nelle mani del nemico, riuscendo in un tentativo di fuga a distruggere importanti documenti che se fossero caduti in mano dell’avversario avrebbero compromesso il movimento partigiano locale. Sopportò i martirii di via Tasso pur di non tradire i compagni. Ridotto quasi cieco per le sevizie subite e col volto trasformato in piaga sanguinante, fu condotto alle Fosse Ardeatine, ove nel sublime martirio chiuse la giovane esistenza che non aveva conosciuto che le amarezze della schiavitù. Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944».