Andrea Oliva nacque a Ornavasso, in provincia di Novara, il 23 agosto del 1925. Fin da giovanissimo fece parte, come aspirante prima e come socio effettivo poi, del circolo Giac attivo presso il paese natale. Dopo aver atteso agli studi elementari e medi presso la cittadina novarese, decise di abbandonare il percorso scolastico per trovare un impiego che gli permettesse di contribuire alle modeste finanze familiari. Dopo alcuni lavori saltuari, venne assunto in qualità di meccanico presso un’officina locale.
Fu in questa occupazione che venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della ratifica dell’armistizio di Cassibile che poneva ufficialmente fine alle ostilità con gli angloamericani. Al contempo, però, il proclama letto dal maresciallo Pietro Badoglio al microfono dell’Eiar non chiariva i caratteri del rapporto che le forze armate italiane avrebbero dovuto avere con l’ex alleato germanico. I tedeschi, già preparati all’eventualità, si mossero fin da subito per riuscire a occupare tutti i centri nevralgici dell’Italia settentrionale e centrale. Dopo l’8 settembre, constatata la durezza dell’occupazione nazista e la nascita della Repubblica sociale italiana guidata da Mussolini, il giovane decise di intessere i primi contatti con il movimento resistenziale attivo nella zona del Verbano-Cusio-Ossola. I bandi di reclutamento emanati da Graziani per la sua classe di leva lo spinsero a prendere una scelta definitiva e ad entrare tra le fila della divisione partigiana Valtoce. Distintosi per la sua audacia in combattimento, dal 1° maggio del 1944 gli venne assegnato il grado di capo nucleo.
Il 7 gennaio del 1945, dopo un breve scontro a fuoco del suo gruppo con un reparto tedesco, O. venne catturato insieme al compagno Enrico Menconi e condotto nella caserma di Cambiasca per essere interrogato circa il suo ruolo nel movimento resistenziale. Quando, dieci giorni dopo, durante un combattimento scoppiato tra Cambiasca e Ramello, i partigiani della 85ª brigata Garibaldi Valgrande Martire colpirono a morte due soldati fascisti e catturarono due ufficiali della Gnr, il giovane insieme a quattro compagni di prigionia venne designato per la rappresaglia. Il 19 gennaio il comandante fascista di Intra, infatti, ordinò di prelevare dal luogo di detenzione i cinque partigiani catturati due giorni prima per procedere alla loro fucilazione. Trasportati di forza in località Due Cappelle, ai confini di Cambiasca, l’ordine venne eseguito e i corpi dei giovani vennero lasciati insepolti a monito per la popolazione locale che era sospettata di dare supporto alla Resistenza.
Nei giorni successivi don Giacomo Baronio, insieme ad alcune donne del luogo, si occupò della sepoltura dei partigiani e, per aver contravvenuto all’ordine del comandante di Intra, venne dopo poco tempo raggiunto da un manipolo di soldati fascisti che lo aggredirono e minacciarono di morte.