Rimbotti Giuseppe

Immagine: Isacem, Fondo Giac
Immagine: Isacem, Fondo Giac
Nome: Giuseppe
Cognome: Rimbotti
Luogo di nascita: Milano
Data di nascita: 23/10/1915
Luogo di morte: Pozzo della Chiana
Provincia/Stato morte: Arezzo
Data di morte: 28/07/2000
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Giuseppe Rimbotti nacque il 23 ottobre 1915 a Milano da una famiglia di origini toscane. Nel capoluogo lombardo ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi dimostrando una buona attitudine verso le materie letterarie. Fin da giovanissimo, inoltre, si iscrisse all’Azione cattolica, frequentando il circolo della Giac della parrocchia di San Pietro in Sala. La sua dedizione verso l’associazione venne premiata con sempre maggiori responsabilità, visto che, nel corso del tempo, divenne delegato studenti prima nel suo circolo e, successivamente, presso la Federazione giovanile milanese.

Nel corso degli anni di collaborazione negli ambienti di Ac, R. fu particolarmente attivo nel campo della pubblicistica associativa. Rilevante fu, infatti, l’apporto assicurato al periodico milanese «L’Azione giovanile», di cui fu per due anni redattore. Nei primi mesi del 1935, nell’ambito di un concorso indetto dalla Presidenza nazionale e aperto a tutte le diocesi d’Italia, il titolo «Credere» da lui proposto fu scelto per dare nome al nuovo settimanale degli studenti di Ac. Così commentò la scelta il presidente centrale Luigi Gedda in un suo articolo del 10 marzo: «Il nuovo titolo del nostro giornale per studenti è “Credere” e sono lietissimo di presentarlo ai lettori in questo numero dedicato a Tommaso d’Aquino. Difficilmente si sarebbe potuto escogitare un titolo più espressivo per la circostanza, in cui ricordiamo un Santo che ha giustificato con le costruzioni del pensiero umano le ragioni della nostra fede. La scelta si è fermata su questo titolo proposto da Giuseppe Rimbotti di Milano e da Luigi Magni di Concorezzo (Milano), ai quali spetta il primo premio “ex aequo”»; l’articolo, peraltro, terminava con una precisazione significativa: «E siccome “Credere” è nel tempo stesso il primo verbo nel trinomio mussoliniano, noi leggeremo in questo bel titolo un’affermazione di fede e di amore nei destini d’Italia». Negli anni 1937-1938 collaborò attivamente anche con la stampa nazionale dell’associazione redigendo articoli di taglio letterario e di approfondimento culturale che presero posto nei periodici «Gioventù nova» e «Gioventù italica».

Terminate le scuole superiori e ottenuto il diploma di ragioniere, decise di iscriversi alla facoltà di Economia e commercio all’Università Cattolica del sacro cuore di Milano. Terminati gli esami, mentre si stava dedicando alla preparazione della tesi di laurea, dovette rispondere alla chiamata alle armi per assolvere agli obblighi di leva. Fu ammesso nel novembre del 1936 al corso per allievi ufficiali di complemento presso il 52° reggimento fanteria Cacciatori delle Alpi e, nel giugno del 1937, venne nominato aspirante. Assegnato al 77° reparto fanteria Lupi di Toscana, nell’ottobre successivo fu promosso sottotenente e nel febbraio 1938, terminato il servizio obbligatorio, ottenne il congedo. Richiamato nuovamente nel gennaio del 1942, fu promosso tenente in ottobre e assegnato all’81° reggimento fanteria Torino.

Posto al comando di una sezione della compagnia mortai reggimentale, venne spedito in località Prevallo, nei pressi di Trieste, dove fu raggiunto dalle notizie della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della ratifica dell’armistizio di Cassibile tra l’Italia e le forze angloamericane. L’annuncio della resa, a cui non fecero seguito adeguate disposizioni da parte dei comandi militari circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico, portò confusione e preoccupazione nei reparti del Regio esercito impegnati direttamente nei diversi fronti di guerra. R. decise di non cedere alla pressione tedesca e non rispose all’intimazione di cedere le armi ai militi nazisti. Tuttavia, mentre tentava di raggiungere la propria compagnia già seriamente impegnata in un tentativo di resistenza ai tedeschi, si imbatté in una pattuglia di militari germanici che pretesero da lui la resa incondizionata e l’immediato disarmo. Ritenute inaccettabili le richieste nemiche, il giovane tenente decise di difendersi ma, dopo aver colpito tre soldati tedeschi, venne a sua volta ferito, catturato e posto in stato di arresto. Processato sommariamente per la sua condotta, rifiutò a più riprese di aver salva la vita a patto che si recasse al comando del suo battaglione per dare l’ordine di abbandonare le linee e indurre gli uomini ad accettare la richiesta di consegna delle armi.

Condannato a morte, mentre era in attesa di recarsi dinnanzi al plotone d’esecuzione riuscì a fuggire grazie allo scompiglio portato dall’offensiva condotta dal suo reggimento, che riuscì a mettere sotto pressione i tedeschi e a indurli a ripiegare su posizioni più arretrate per assicurarsi una miglior difesa. Gravemente ferito nel corso dello scontro avuto con la pattuglia nazista, R. fu ricoverato all’ospedale militare di Gorizia, dove rimase fino al dicembre del 1943.

Dimesso dalla struttura ospedaliera, dopo un periodo di convalescenza fu raggiunto da uno dei bandi di reclutamento per gli ufficiali dell’esercito emanati dalla Repubblica sociale italiana che gli intimava di presentarsi al 128° reggimento di fanteria Firenze, al servizio delle forze d’occupazione. Rifiutando nuovamente ogni collaborazione con i tedeschi, R. decise di non rispondere alla chiamata e, datosi alla macchia, tentò di superare le linee del fronte per raggiungere l’Italia già liberata e mettersi a disposizione delle forze che combattevano per la liberazione del paese. Presi contatti con il Corpo volontari della libertà, egli si impegnò inizialmente come partigiano combattente e, dal luglio del 1944 al luglio del 1945, come interprete presso un reparto inglese che seguì nel corso della campagna di liberazione dall’occupante nazifascista.

Congedato ufficialmente nell’agosto del 1946, due anni più tardi gli venne decretata la medaglia d’oro al valor militare come tenente di complemento dell’81° reggimento fanteria che ricevette dal generale Umberto Utili con la seguente motivazione: «Improvvisamente affrontato, mentre isolato cercava di raggiungere il proprio reparto impegnato in combattimento, da numerosi tedeschi che intendevano disarmarlo, ne abbatteva due a colpi di pistola. Ferito, non desisteva dal suo atteggiamento e ne abbatteva un altro. Disarmato da un colpo di fucile che gli strappava l’arma di mano veniva catturato, ferito in più parti del corpo. Condannato a morte con giudizio sommario, all’offerta dell’avversario di aver salva la vita, a condizione che si recasse dal proprio comandante di battaglione a consigliargli la resa, fermamente rifiutava, pur sapendo di mettere in tal modo a repentaglio la propria esistenza. Liberato in seguito alla resa delle truppe tedesche, partecipava con valore alla guerra di liberazione. Bell’esempio di fermezza, di sprezzo della vita e di onore militare. Passo del Prevallo (Trieste), 9 settembre 1943».

Nel 1955 si trasferì a Firenze dove fu particolarmente attivo in ambito sociale e continuò a lavorare come giornalista. Per sua iniziativa venne fondata la Sezione fiorentina dell’Associazione combattenti dell’esercito italiano nella guerra di liberazione, di cui R. divenne ufficialmente il primo presidente. Quando lasciò l’incarico, inoltre, venne nominato presidente onorario nazionale dell’associazione. Nel 1960, per iniziativa dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fu nominato cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana e nel 1969, invece, gli fu assegnata l’onorificenza di ufficiale dello stesso ordine. R. morì a Pozzo della Chiana, piccola frazione del comune di Foiano della Chiana in provincia di Arezzo, il 28 luglio del 2000.

Onorificenze

Improvvisamente affrontato, mentre isolato cercava di raggiungere il proprio reparto impegnato in combattimento, da numerosi tedeschi che intendevano disarmarlo, ne abbatteva due a colpi di pistola. Ferito, non desisteva dal suo atteggiamento e ne abbatteva un altro. Disarmato da un colpo di fucile che gli strappava l’arma di mano veniva catturato, ferito in più parti del corpo. Condannato a morte con giudizio sommario, all’offerta dell’avversario di aver salva la vita, a condizione che si recasse dal proprio comandante di battaglione a consigliargli la resa, fermamente rifiutava, pur sapendo di mettere in tal modo a repentaglio la propria esistenza. Liberato in seguito alla resa delle truppe tedesche, partecipava con valore alla guerra di liberazione. Bell’esempio di fermezza, di sprezzo della vita e di onore militare. Passo del Prevallo (Trieste), 9 settembre 1943.

Fonti e bibliografia

  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.

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