Giacomo Rossino nacque il 4 dicembre del 1924 a San Damiano d’Asti, comune in provincia di Asti, da Giovanni e Barbara Monticone, primo di due fratelli. La famiglia viveva in borgata San Giulio, nella piccola frazione di Castelnuovo, dove coltivava alcuni terreni di proprietà.
Fin da giovane, sotto impulso dei genitori, entrambi iscritti all’Azione cattolica, prese parte alle attività del circolo Giac della parrocchia dei Santi Cosma e Damiano di San Damiano d’Asti, intitolato alla memoria del cardinale Giuseppe Gamba. Dopo aver terminato gli studi elementari e medi presso il paese natale, dovette porre fine al percorso scolastico per poter aiutare i genitori nella cura dei campi da coltivare.
Durante il periodo della Seconda guerra mondiale, R. decise di arruolarsi volontariamente nel regio esercito, prestando servizio presso il comando di Rivoli, in provincia di Torino. In questa destinazione fu raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile e, visto il generale sbandamento del suo reparto, decise di ritornare a casa, pur correndo il rischio di essere tacciato di diserzione. Per qualche tempo rimase presso la casa di famiglia, aiutando il padre nella gestione della terra ma, ben presto, si impegnò ad intessere alcuni contatti per entrare a far parte del movimento resistenziale che andava costituendosi nella zona. Inseritosi tra le fila della VI divisione alpina Asti, fece parte della 21ª brigata San Damiano, guidata dal tenente colonnello Giovan Battista Toselli «Otello», che operava nella zona dell’oltre Tanaro e delle Langhe. Assunto il nome di battaglia di «Rino», si rese protagonista di diverse operazioni mirate al recupero di armi e munizioni, attraverso alcuni colpi di mano operati nelle caserme dei carabinieri ancora attive e ad agguati alle pattuglie nazifasciste che pattugliavano le strade.
Offertosi spontaneamente in qualità di portaordini per garantire il collegamento con il gruppo di Gino Cattaneo «Gino», della brigata Matteotti, venne sovente utilizzato per importanti trasmissioni di ordini e informazioni. Fu nello svolgimento di questo ruolo che, nei primi giorni di marzo del 1945, mentre stava attraversando la Val Bottassa durante la battaglia di Cisterna e Santo Stefano Roero, venne avvicinato da un gruppo di militi fascisti in opera di rastrellamento che, sotto la guida di un delatore, fingendosi partigiani lo fermarono con la forza e lo misero in stato di arresto.
Condotto al comando di Cisterna d’Asti, venne sottoposto a un duro interrogatorio col quale si cercò di fargli confessare la sua partecipazione alla Resistenza e rivelare informazioni utili all’individuazione del suo gruppo. Rifiutandosi di parlare sotto le pressanti torture e sevizie, a nulla servì anche la proposta di passare tra le fila della Gnr per servire il governo di Salò. R. rifiutò sdegnosamente qualsiasi proposta che lo inducesse a tradire i suoi compagni, dichiarando a più riprese che pur di non parlare avrebbe preferito la morte.
Il 6 marzo del 1945, visto il suo ostinato silenzio, R. fu condannato a morte senza un regolare processo e venne condotto sulla piazza della Vittoria – ora intitolata alla sua memoria – dove il parroco di Cisterna d’Asti venne chiamato dall’ufficiale della pattuglia di militi fascisti perché il giovane ricevesse assistenza prima dell’esecuzione: «Date i conforti religiosi a questo bandito – scrisse il sacerdote ricordando quanto gli venne comandato di fare – prima che sia fucilato». Dopo essersi confessato, testimoniò ancora il parroco alla fine della guerra, egli volle «perdonare dal profondo del cuore i suoi carnefici» e, come ultima volontà, espresse il desiderio che venisse detto al «mio Parroco che sono morto bene».
Postosi davanti al plotone, egli fu colpito da una scarica di mitraglia che lo lasciò a terra esanime. Al termine dell’esecuzione della condanna, il comandante del reparto della Gnr ordinò di trasportare la salma al cimitero ma di non procedere alla sepoltura, lasciando dunque il corpo alla mercé degli animali selvatici. Il parroco del paese, contravvenendo a quanto intimatogli, riunì un gruppo di uomini e decise di dare degna sepoltura al corpo del giovane. Al termine della guerra la salma di R. venne traslata da Cisterna d’Asti al cimitero del suo paese natale.
Alla sua memoria venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di partigiano combattente e la seguente motivazione: «Sempre primo in ogni azione rischiosa, prendeva parte a tutti i combattimenti della sua formazione, distinguendosi in ogni occasione. Delineatosi un attacco nemico, portato a fondo per eliminare totalmente la Divisione, si offriva volontario per portare un messaggio di richiesta di rinforzi e pur di riuscire nello scopo attraversava senza esitazione e con sprezzo del pericolo una zona fortemente controllata dall’avversario. Sorpreso e catturato da una pattuglia di camice nere, ingoiava il messaggio; ingiuriato e percosso sopportava da forte ogni maltrattamento chiuso in fiero silenzio, né si lasciava allettare da promesse di avere salva la vita qualora avesse accettato di passare al nemico, proposta fattagli dallo stesso avversario, ammirato di tanto coraggio e forza d’animo. Rifiutando sdegnosamente ogni compromesso, affrontava con eroica fermezza il plotone di esecuzione, che troncava la sua giovane vita offerta in olocausto alla Patria. Cisterna d’Asti, 6 marzo 1945».