Camillo Sabatini nacque a Roma nel 1914 da una famiglia di agiate condizioni economiche. Il padre Luigi era un ufficiale superiore dei carabinieri che, dopo la morte del figlio nei combattimenti che seguirono l’armistizio dell’8 settembre, avrebbe preso il suo posto tra le fila dei militari che si opposero all’occupazione tedesca della capitale.
Durante gli anni giovanili S. attese agli studi elementari e medi nella capitale e, successivamente, frequentò il liceo classico presso l’istituto Massimiliano Massimo tenuto dai Gesuiti e, in questo periodo, volle iscriversi e prendere parte alle attività dell’associazione giovanile interna della Gioventù italiana di Azione cattolica. Nel 1935, terminati il percorso scolastico e ottenuto il diploma, fu ammesso alla Regia accademia militare di Modena dalla quale uscì dopo due anni con il grado di sottotenente di cavalleria. Assegnato al reggimento lancieri, decise di affinare la propria preparazione militare iscrivendosi alla scuola di applicazione di Pinerolo e, terminato il periodo di formazione, nel 1938 fu promosso al grado di tenente e destinato all’accademia di Modena in qualità di istruttore delle reclute.
Nel giugno del 1940, visto l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, fece richiesta per lasciare il posto e rientrare in reggimento mobilitato. Nel 1941 frequentò a Roma il corso per ufficiale carrista e, dopo essere stato ulteriormente promosso a capitano, fu nominato istruttore al Centro autoblinde della scuola di cavalleria.
Nell’aprile del 1943 passò al reggimento lancieri di Montebello, della divisione corazzata Ariete, assumendo il comando del 5° squadrone semoventi. Fu in questo nuovo incarico che fu raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che sanciva la fine delle ostilità con gli angloamericani ma lasciava tragicamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con le truppe tedesche presenti in forze sul territorio nazionale. All’avvenuto annuncio via radio della ratifica dell’armistizio, al quale seguì contestualmente la fuga dalla capitale del re Vittorio Emanuele III, i vertici militari che guidavano le truppe italiane a Roma dovettero constatare l’impossibilità di fornire ordini che permettessero la proficua difesa della città.
Nonostante l’ambiguità della posizione tenuta, molti reparti dell’esercito si organizzarono per approntare una linea di difesa contro l’offensiva tedesca. Tra i gruppi più impegnati, oltre ai Granatieri di Sardegna, vi furono proprio quelli dei lancieri di Montebello che già dal 9 settembre si prodigarono per fermare l’avanzata nemica. In particolare, la formazione al comando di S. si distinse nella conquista, alle porte della capitale, di un caposaldo tedesco tenuto da paracadutisti che potevano vantare una superiorità di numero e armamento. Il 5° squadrone riuscì a tenere per un’intera giornata il caposaldo espugnato fino a quando, constatata l’impossibilità di resistere a causa della penuria di armi e munizioni, preferì ripiegare sulla via Ostiense sino a Porta San Paolo, ultima linea stabilita per la difesa di Roma.
Fu proprio qui che i reparti dei lancieri di Montebello si unirono a quelli dei Granatieri di Sardegna, comandati dal generale Gioacchino Solinas, a un gruppo di paracadutisti del X reggimento degli Arditi, ad alcuni reparti dei carabinieri e a un folto numero di civili – tra i quali si distinse Raffaele Persichetti, socio di Ac e futura medaglia d’oro al valor militare – per tentare di resistere all’avanzata degli ex alleati e di porre un limite all’occupazione della capitale.
Nei duri combattimenti che seguirono, S. si rese protagonista di un tentativo di allentare la pressione portata dalle truppe tedesche con un’offensiva condotta da un esiguo numero di semoventi al suo comando e, visto fallito l’attacco per l’ingente differenza di forze in campo, coordinò una ordinata ritirata per rientrare tra le fila amiche. Colpito da una raffica di mitragliatrice che lo ferì gravemente, volle comunque rimanere al suo posto e continuare a guidare la resistenza dei suoi uomini fino a quando, a causa della copiosa perdita di sangue, rimase esanime a terra.
Al termine della guerra alla memoria di S. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di capitano in servizio permanente effettivo della cavalleria nel reggimento Lancieri di Montebello con la seguente motivazione: «Comandante di squadrone semoventi da 47/32, superando ostacoli di terreno fortemente battuto da mortai avversari, concorreva all’azione che portò alla conquista di un caposaldo essenziale contro paracadutisti germanici superiori per numero e per armi. Espugnato il caposaldo lo mantenne e lo presidiò nonostante la insufficienza dei mezzi di fuoco a disposizione, rimanendovi aggrappato per una intera giornata, con la consapevolezza di contribuire così ad una più strenua resistenza delle truppe operanti nel settore. Conscio fin da principio della ineluttabilità del sacrificio, ripiegava contendendo il terreno palmo a palmo sino a che, giunto all’ultima linea stabilita per la difesa di Roma, guidava in disperato attacco i suoi semoventi contro soverchiante nemico, rinnovando in una carica suprema i fasti della antica cavalleria. Ferito, rimaneva al suo posto rincuorando i suoi lancieri, quindi stoicamente spirava con la fierezza del dovere compiuto offrendo la vita in olocausto alla Patria. Fulgido esempio di eroismo e di altissime virtù militari. Roma, Via Ostiense – Porta S. Paolo, 9-10 settembre 1943».