Pietro Marchisio nacque l’8 luglio del 1909 a Chiusa di Pesio, piccolo comune nel basso Piemonte in provincia di Cuneo, da una famiglia di modeste condizioni economiche. Trascorse gli anni giovanili nel suo paese natale dove ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi e, nel corso del tempo, di avvicinarsi agli ambienti del piccolo oratorio parrocchiale. Iscrittosi all’istituto tecnico per geometri di Cuneo, in questa città divenne socio del circolo Giac che ruotava intorno alla carismatica figura dell’assistente ecclesiastico don Cesare Stoppa.
Chiamato alle armi per anticipazione nel corso del mese di maggio del 1929, fu ammesso al corso per allievi sottoufficiali presso la scuola dell’arma di fanteria attiva a Rieti. Nominato caporale al termine del periodo di formazione militare, nel marzo del 1930 si vide promosso a sergente e destinato al 2° reggimento Alpini. Terminato il periodo di ferma, fece ritorno a casa e nell’ottobre del 1933 ottenne il diploma di geometra e chiese di essere ammesso, col grado di sergente maggiore, all’accademia militare di Modena per frequentarvi un corso speciale che gli avrebbe assicurato la nomina a ufficiale in servizio permanente effettivo. Ultimato nel 1935, assunse il grado di sottotenente e decise di fare domanda per essere ammesso alla scuola di applicazione del corpo di fanteria a Firenze. Ammesso, nel luglio 1936 fu promosso tenente e assegnato al 4° reggimento Alpini.
Quando l’Italia annunciò il proprio ingresso nel secondo conflitto mondiale, M. venne richiamato in servizio e spostato alla compagnia di comando del battaglione Aosta mobilitato. Nel nuovo ruolo, ebbe modo di dimostrare notevole capacità di organizzazione e coordinamento, guadagnandosi così la promozione e il trasferimento all’Istituto superiore di guerra. Distintosi in servizio, fu nominato capitano e ammesso a frequentare il 71° corso della Scuola di guerra al termine del quale, su richiesta, fu spedito presso il comando della divisione Alpini Taurinense di stanza in Montenegro, avendo modo di partecipare alle operazioni belliche sul fronte balcanico.
Fu in questo contesto che M. fu raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva fine alle ostilità con gli angloamericani, lasciando però drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenersi con gli ex alleati tedeschi. Resosi immediatamente conto dell’impossibilità di mantenere i reparti inquadrati a causa della mancanza di direttive chiare da parte dei comandi militari, per non essere costretto ad arrendersi alle forze germaniche che chiedevano la consegna delle armi alla sua divisione, decise di porsi alla testa dei suoi uomini per organizzare un tentativo di resistenza al nemico. Mantenuta la posizione per i successivi quattro mesi, all’inizio del nuovo anno M. fu costretto ad arrendersi all’impossibilità di continuare ulteriormente nell’opera di difesa e decretò lo scioglimento dei reparti della Taurinense lasciando libera scelta ai commilitoni di tentare un difficile rimpatrio.
Nonostante il successivo sfaldamento delle fila della compagnia, M. sfruttò il carisma acquisito nel periodo di ferma e incondizionata opposizione ai tedeschi per organizzare gli alpini rimasti in Montenegro, costituendo una brigata partigiana con la quale continuare a combattere il nemico nazista. Pur dovendo far fronte all’endemica penuria di armi e munizioni, alle enormi difficoltà di approvvigionamento di derrate alimentari e di equipaggiamento e, soprattutto, a una falcidiante epidemia di tifo, il giovane ufficiale spronò i suoi uomini nel tentativo dichiarato di raggiungere la Bosnia per unirsi all’Esercito popolare di liberazione jugoslavo.
La dura marcia, che vide la sua banda protagonista anche di diversi scontri a fuoco con la retroguardia dell’esercito tedesco, terminò nella primavera del 1944 con il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Nonostante questo, a pochi giorni dall’arrivo in Bosnia, M. fu stroncato da una grave malattia contratta nel corso della traversata, che fu acuita dalle privazioni patite durante la difficile impresa.
Con decreto dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, il 28 gennaio 1972 gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la qualifica di capitano di fanteria in servizio permanente effettivo e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Capitano degli alpini in Jugoslavia, affrontava con immediata e risoluta determinazione antinazista la difficile situazione ambientale e politico-militare conseguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, distinguendosi subito, e durante i primi quattro mesi di durissima lotta del suo reparto, per non comune ardimento e superiori doti di comando. Comandante volontario di brigata partigiana italiana, nel corso di un successivo tragico ciclo operativo, affrontava in condizioni disperate per perdite subite, fame, freddo e imperversare del tifo, con l’esempio e l’ascendente personali manteneva saldi la coesione degli animi e lo spirito combattivo della sua unità, che conduceva valorosamente in cruente azioni. Durante la violenta offensiva tedesca, colpito da grave morbo, rifiutava di lasciare il comando onde affrontare situazioni gravissime, superando ogni giorno i limiti del dovere per condividere la sorte dei suoi soldati, cui fu esempio sovrumano di fermezza nel travaglio della lotta e di eccezionale statura morale nell’angoscia per l’incerto destino. Vinto nella carne martoriata, ma invitto nello spirito, trascinandosi in uno sforzo ultimo di suprema dedizione, trasse in salvo, combattendo, i resti della sua brigata, solo allora al fine stremato, soggiacendo a morte gloriosissima sul campo. Esempio luminoso di combattente e di eccelse virtù di comandante. Montenegro – Sangiaccato – Bosnia, 9 settembre 1943 – 25 aprile 1944».