Pietro Primavera nacque a Roma il 15 gennaio del 1925 da Enea ed Elisa Biondi, primo di cinque figli. Fin dalla giovinezza fu iscritto al circolo Giac San Luigi Gonzaga della capitale, sito in via Tuscolana, dove risiedeva. Cresciuto in una famiglia di modeste condizioni economiche, dopo aver atteso agli studi medi e quando ancora non aveva ultimato quelli superiori, si impegnò per contribuire alle finanze familiari. Assunto in qualità di impiegato presso l’Istituto nazionale delle assicurazioni, ebbe diversi problemi derivanti dalla sua ferrea volontà di non aderire al fascismo e dal continuo rifiuto che oppose all’imposizione di prendere la tessera del partito. Nel 1942, inoltre, a causa del suo diniego di fronte all’obbligo della premilitare, allora imposta ai giovani della sua classe di leva, fu sospeso definitivamente da ogni funzione presso l’istituto dove lavorava.
Fu in questo contesto che P. venne raggiunto, l’8 settembre del 1943, dalla notizia della ratifica dell’armistizio di Cassibile che apriva definitivamente le porte all’occupazione dell’Italia centrale e settentrionale da parte dei reparti della Wehrmacht già presenti in forze nel territorio della penisola. Presi immediati contatti con il movimento resistenziale capitolino, il giovane decise di dare il proprio contributo per l’opposizione contro l’occupante.
Iscrittosi al Movimento comunista d’Italia (Mcd’I), fece parte di una delle bande di sabotatori inquadrate all’interno della brigata partigiana Bandiera rossa, con la quale, nel corso del tempo, ebbe modo di condurre diverse azioni contro i reparti tedeschi presenti a Roma. Distintosi per capacità militari e dedizione alla causa, venne fornito di una radiotrasmittente clandestina attraverso la quale si impegnò nella trasmissione di importanti comunicazioni strategiche dirette ai comandi alleati.
Il 6 marzo del 1944, a seguito di delazione di un vecchio compagno della sua banda, P. venne raggiunto da una pattuglia delle SS mentre attraversava via Verbania e arrestato. Riconosciuto come renitente alla leva repubblichina e membro di formazione partigiana, la sua posizione si aggravò ulteriormente quando gli vennero rinvenuti addosso armi e documenti compromettenti. Condotto nelle carceri di via Tasso, P. fu duramente interrogato, percosso e torturato per venti giorni, allo scopo di indurlo a confessare i nominativi dei responsabili del movimento resistenziale capitolino e le informazioni che attraverso la sua radio aveva recapitato al nemico.
Trincerato dietro un ostinato silenzio, i suoi aguzzini dovettero infine arrendersi all’impossibilità di estorcergli rivelazioni. Il 23 marzo del 1944, a seguito di un’azione condotta da un Gap della capitale in via Rasella, in cui trovarono la morte trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenenti alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen, P. fu tra i 330, poi divenuti 335, nomi che vennero designati per la rappresaglia decisa dal comando nazista che scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla sua cella, venne dunque condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri designati. La salma di P. è oggi custodita nel sacello 73 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio.