Leda Bevilacqua nacque a Ronchi dei Legionari (Go) nel rione di Vermegliano il 10 settembre 1922. Dopo le elementari frequentò la scuola magistrale presso il collegio delle Madri Orsoline di Gorizia: dal carattere forte e deciso, fu subito apprezzata da maestre e coetanee, perfino additata ad esempio come “angelo” delle educande. Rientrata in paese, entrò a far parte dell’associazione di Azione cattolica che frequentò con diligenza e disponibilità, anche se non le era sempre facile: lavorava già da impiegata ai cantieri di Monfalcone in un ambiente alquanto difficile e spesso contrario alla sua visione della vita.
Aveva seguito la scuola di propaganda della Gf ed era diventata segretaria del circolo di Ronchi: un compito che seppe svolgere con cura e puntualità, come del resto era sua sensibilità prevenire i desideri altrui, essere disponibile ed aperta, non far mancare ad alcuna del gruppo l’esempio con la vita. Il diario che ha lasciato è espressione di una spiritualità decisa, di un’umanità sincera e forte.
B. iniziava la giornata ricevendo la comunione che il sacerdote le presentava prima della celebrazione della messa, in quanto doveva raggiungere il lavoro.
«Eucaristicamente pia, angelicamente pura, apostolicamente operosa» è stato il trinomio programmatico che la Gf proponeva alle giovani e che lei realizzò con tutte le sue forze, trovando proprio nell’eucaristia il fondamento della vita.
Partecipò intensamente alla vita parrocchiale nelle vicende feriali e straordinarie come l’atto di carità compiuto dalla comunità guidata da don Giovanni Battista Falzari (pre Tita) verso i soldati di alcuni reparti dell’esercito italiano dopo l’8 settembre 1943.
Strappata dalla sua casa il 24 maggio 1944 con lo zio e con tanti altri concittadini per sospetto collaborazionismo con i sovversivi, B. fu avviata prima al Coroneo a Trieste e poi ad Auschwitz dove giunse il 4 giugno. In un biglietto scritto a matita e gettato dal treno verso la Germania, scrisse all’amica Iole Zanolla, presidente della Gioventù femminile: «Prima di partire ti mando questa mia. Spero ti arriverà. Parto per la Germania. Soffro tanto. Ma questa è la volontà di Dio. “Fiat”. Il corpo è sfinito: ma io con la preghiera riesco a portare il mio dolore. Il mio maggior tormento è quello di lasciare la nonna e di non poter ricevere Gesù: la mia unica forza. O Dio mio. Aiutami tu. Prega per me, Jole. E porta il saluto a tutte le socie».
Ancora le sue parole, che ben ne esprimono pensiero cristiano, le troviamo in una lettera spedita a Jole da Vienna in una sosta del convoglio (grazie alla collaborazione di un carabiniere che accompagnava i prigionieri):«Sin dal primo giorno nessun pensiero di vendetta o di odio è passato per la mia mente, nemmeno quando ho conosciuto chi mi ha fatto del male. Solo ti devo confessare che sul momento ho avuto un attimo di rivolta contro la mia sorte e mi è costato molto il perdonare. Non puoi immaginare cosa ho sofferto e soffro tuttora, sebbene con più rassegnazione e completo abbandono alla divina disposizione di Dio. Ho cominciato a bere al calice del dolore e sorretta dall’aiuto divino continuerò fino all’ultimo. Però la maggior sofferenza è quella di essere privata del Signore! Da dieci giorni non vado né alla Messa né alla Santa Comunione. Come sarà il futuro? Vorrei scriverti tante e tante cose, ma mi manca lo spazio sulla carta. Non ho altro da dirti che di pregare molto per me, fai anche pregare. Ho bisogno di molta forza per sopportare le pene future… Leda».
Ad Auschwitz dimostrò coraggio e fortezza d’animo, testimoniò silenziosamente la fede e la formazione ricevuta. Privata di tutto, si industriò mettendo a disposizione di chi aveva bisogno la sua intelligenza e la conoscenza della lingua; lasciò a tutti l’esempio della sopportazione e quello della preghiera che insegnò senza paura e rispetto umano.
A metà agosto fu avviata a Ravensbrűck e il 4 settembre a Chersval per lavoro: le sue condizioni fisiche non buone, il lavoro superiore alle proprie forze ne minarono gravemente la salute. Il 2 febbraio 1945 B. fu trasportata nell’ospedaletto di Ravensbrűck, dove morì il 28 febbraio.
Si concludeva nel silenzio e nella purificazione del dolore che certamente, come del resto in tutta la sua esistenza, affrontò con coraggio, una vita che resta in oblazione.