Antonio (Toni) Carletto, nacque a San Bonifacio (Vr) il 15 febbraio 1921, primogenito di Giovanni Battista e Lucia Marcolin. Nel 1938 si trasferì a Gradisca d’Isonzo (Go). Per alcuni anni insegnò come maestro elementare a Tolmino e Circhina (località attualmente in Slovenia), poi, nonostante lo scoppio della guerra e il suo impegno nella Resistenza, frequentò la Facoltà di Lettere all’Università di Padova.
Si arruolò come volontario e partecipò alla campagna di Albania.
In parrocchia, a Gradisca, frequentava il circolo Giac “San Marco”.
Dopo l’8 settembre 1943, lo smarrimento, la desolazione e la caduta degli ideali indussero molti giovani ad una riflessione.
Durante il 1944, proprio il circolo della Giac da lui frequentato di Casa Coassini a Gradisca d’Isonzo conobbe un’intensa partecipazione. Nel numero di Natale del periodico ciclostilato «Il ruggito di San Marco» (che i giovani dell’associazione stampavano in proprio), C. scrisse l’articolo di apertura sul tema «pregate per i persecutori».
C. partecipò alla Brigata delle Squadre d’azione patriottica “Isonzo” di Gradisca, inquadrata nella Divisione Garibaldi “Natisone”, nella quale era stato designato nell’incarico di commissario politico perché, come studente universitario, era il più acculturato del gruppo. Nell’estate del 1944, attraverso dei brevi colloqui, veniva chiesto ai giovani di costituire un’organizzazione per succedere ai tedeschi o per qualsiasi altra evidenza.
Il 15 febbraio 1945 C. rischiò di essere arrestato durante una retata dei repubblichini nella quale vennero catturati 8 partigiani. Tre giorni più tardi, in seno al Cln gradiscano, si venne a sapere che i prigionieri erano stati rinchiusi nel carcere di Gorizia. C. si recò a Gorizia per cercare un contatto con loro. Durante l’ora d’aria, passeggiando fuori dal carcere, con fare indifferente, fischiettò un motivetto convenzionale di quindici note. Subito sentì le medesime note provenire dall’interno (a questo punto gli arrestati sapevano che chi era rimasto in libertà stava cercando di liberarli).
Il 28 febbraio gli otto partigiani vennero trasferiti da Gorizia a Palmanova su un camion scortato da soldati della Wehrmacht. Il Cln locale (di cui C. faceva parte quale rappresentante della Democrazia cristiana), informato in anticipo, organizzò un attacco alla colonna tedesca presso il ponte di Versa, ma le opinioni erano discordi. La decisione finale sul da farsi venne demandata proprio al commissario politico C. che, all’ultimo momento e a malincuore, decise di non effettuare l’azione a causa del rischio di perdere la vita sia degli attaccanti che degli ostaggi.
Il 5 marzo, temendo di essere arrestato a sua volta, per precauzione si rifugiò nella cella del campanile della chiesa di Bruma insieme al fratello Alessandro, dove continuò a vivere, nascosto dal cappellano don Gè Salomone, fino alla fine del conflitto.
A guerra conclusa, partecipò alle attività del Cln e poi insieme a Rolando Cian organizzò a Gradisca le Acli e il sindacato libero. Si impegnò anche molto per le elezioni del 18 aprile 1948. Sposatosi proprio in quell’anno 1948 (dal matrimonio nacquero quattro figli), operò nel mondo della scuola come preside, prima a Grado nella nascente scuola media, poi a Padova.
Nel 1985 partecipò al convegno «I cattolici isontini nel XX secolo. Il Goriziano fra guerra, resistenza e ripresa democratica (1940-1947)», organizzato dall’Istituto di storia sociale e religiosa di Gorizia, raccontando la sua esperienza del tempo della Resistenza.
Morì a Padova il 18 giugno 1997.