Angelo Dalpozzo nacque il 10 settembre del 1925 a Sasso Morelli, piccola frazione del comune di Imola, da Giacomo e Iolanda Piccioli. Cresciuto in un ambiente familiare imperniato su una profonda religiosità, fin da giovanissimo venne avvicinato agli ambienti dell’associazionismo cattolico. Dopo aver fatto parte dei fanciulli cattolici, infatti, divenne aspirante e poi socio effettivo del circolo Giac Domenico Savio di Imola. Nel tempo, visto il suo impegno e la costante dedizione dimostrata nelle attività associative, gli venne affidato l’incarico di delegato parrocchiale delle opere missionarie.
Dopo gli studi elementari e medi, D. si iscrisse all’istituto tecnico Francesco Alberghetti della città romagnola. Terminato il suo percorso scolastico nell’estate del 1943, nei primi mesi dell’anno successivo decise di rispondere alla chiamata sotto le armi imposta da uno dei bandi di reclutamento emessi dalla Repubblica sociale italiana per la sua classe di leva. Dopo un primo periodo di indecisione circa la scelta da prendere, infatti, venne convinto a compiere questo passo dalla durezza del comunicato emesso da Graziani che sottolineava che «in caso di mancata presentazione dei militari soggetti alla predetta chiamata», oltre «alle pene stabilite dalle vigenti disposizioni del codice militare di guerra», sarebbero stati presi «immediati provvedimenti anche a carico dei capi famiglia». Presentatosi dunque presso il suo distretto militare, venne inviato al comando militare di Bologna per un breve periodo di formazione militare. Non trascorse molto tempo che D., rendendosi conto di non condividere la volontà del regime di continuare la guerra al fianco della Germania nazista, decise di disertare e lasciare il proprio posto prima di essere assegnato a un nuovo reparto dell’esercito repubblicano.
Fatto ritorno a casa, rimase nascosto per diversi mesi al fine di non essere individuato dagli apparati di controllo nazifascisti. Dopo aver eluso varie volte pattuglie di militi fascisti alla ricerca di disertori, il 14 aprile del 1945 fu tra quanti si riversarono tra le strade di Imola per dare supporto alle formazioni partigiane nei combattimenti che condussero alla definitiva liberazione della città. Proprio mentre si trovava con alcuni compagni a fronteggiare un gruppo di soldati tedeschi nelle vicinanze della sua abitazione, venne colpito da una scheggia di una granata che era stata lanciata da quest’ultimi per liberare la strada e poter procedere al ripiegamento.