Santina Mancini nacque nel 1897 a Cingia de’ Botti, piccolo comune in provincia di Cremona, in una famiglia di modeste condizioni economiche, ultima di dieci fratelli. Cresciuta in un contesto familiare funestato dalla prematura morte del padre, ricevette dalla madre un’educazione imperniata su una profonda religiosità. Dopo aver atteso agli studi elementari presso il paese natale, si spostò a Cremona per frequentare i primi tre anni di ginnasio inferiore e, successivamente, alla scuola normale per la formazione dei maestri elementari.
Per poter contribuire alle finanze familiari accettò ben presto un incarico di insegnamento nella provincia di Cremona. In questo periodo, però, si impegnò anche nelle attività catechistiche e formative a favore dei giovani della sua parrocchia, affiancando a questo una presenza costante nel campo caritativo. Proprio questa sua intensa opera le valse, nel 1920, la chiamata del vescovo di Cremona Giovanni Cazzani che le diede il compito di organizzare nella città un primo nucleo della Gf che solo tre anni prima aveva visto la fondazione a Milano per opera di Armida Barelli. Dopo un primo periodo di assestamento, nel 1922 divenne la prima presidente diocesana e, al contempo, fu chiamata a far parte del Centro nazionale della Gf della quale divenne un’apprezzata propagandista.
Nel 1928, con l’aiuto dell’allora assistente diocesano don Paolo Rota, riuscì ad aprire a Cremona la Casa della giovane per poter ospitare i corsi di formazione religiosa e sociale e le iniziative volte alla formazione delle dirigenti dell’Ac. La storia di questa istituzione nei primi anni di attività fu abbastanza travagliata, a causa soprattutto dei rapporti con gli apparati di controllo fascisti. Nel 1931, soprattutto sulla scorta dei contrasti sorti a livello nazionale dell’associazione con il regime, la Casa della giovane dovette assumere a livello statutario una finalità prettamente e unicamente religiosa, cambiando peraltro la propria denominazione in Casa di Nostra Signora del Sacro Cuore. Fu in questo periodo che, sempre con l’assistenza di don Rota e di Giulia Ferrari, M. diede inizio all’esperienza della Società delle Oblate di Nostra Signora del Sacro Cuore, non abbandonando comunque il proprio impegno all’interno delle fila dell’Azione cattolica. Nel 1933 divenne infatti presidente diocesana dell’Ud, carica che mantenne fino al 1966, membro del Consiglio nazionale e propagandista nazionale della stessa associazione. Solo due anni più tardi, a testimonianza del suo costante impegno verso l’apostolato attivo, Pio XI decise di assegnarle la croce Pro Pontifice et Ecclesia.
Allo scoppio del conflitto mondiale M. si dimostrò da subito attiva nelle opere di carità verso la parte di popolazione più in difficoltà e volle porsi al servizio delle famiglie che non riuscivano a mettersi in contatto con i figli al fronte, organizzando insieme alle sue compagne dell’Ud un ufficio che fungesse da centro di informazioni per i militari lontani da casa. La caduta del regime e la ratifica dell’armistizio di Cassibile la colsero impegnata in questa attività, che decise comunque di non interrompere nonostante le difficoltà del momento.
Quando l’associazione, a causa dell’occupazione tedesca di parte della penisola, si trovò nella oggettiva difficoltà di far pervenire la propria voce in tutto il paese, si scelse di istituire dei centri sussidiari che fungessero per il coordinamento periferico. Vista la sua capacità di organizzazione e il grande carisma accumulato in tanti anni di dedizione all’apostolato, M. venne nominata vicepresidente dell’Ud per l’Italia settentrionale e in questo ruolo ebbe il compito di mantenere i rapporti con i diversi centri diocesani che si trovavano nel territorio sotto il giogo dei nazifascisti. Dal novembre del 1943 la Casa da lei fondata venne requisita dalla Rsi per ospitare gli uffici della Corte dei conti. Pur costretta ad accettare l’imposizione del nuovo regime, M. iniziò da quel momento la sua opera volta a dare assistenza a partigiani di passaggio che cercavano un rifugio sicuro e, soprattutto, una fitta collaborazione con il locale Cln, dal quale ricevette il compito di coordinare l’opera di supporto ai ricercati politici e a coloro che si trovavano rinchiusi nelle carceri cittadine. A questo unì una costante collaborazione nella ricerca dei dispersi per cause belliche e nel collegamento con gli Alleati. Secondo alcune testimonianze, infatti, presso il suo ufficio era installata una radio clandestina utile al contatto tra il Cln e le forze angloamericane. Tutto questo molteplice impegno indusse le autorità fasciste a metterla sotto osservazione e, infine, a convocarla per un lungo interrogatorio a “Villa Merli”, durante il quale lei negò ogni imputazione e, pur percossa diverse volte, non rivelò nulla della sua attività.
Nel dopoguerra il suo impegno a favore della Resistenza venne attestato dagli impegni pubblici che le furono assegnati. Nel 1945 divenne vicepresidente della Commissione per l’assistenza postbellica. Nello stesso periodo si vide designata anche nel ruolo di presidente provinciale dell’Opera nazionale maternità e infanzia, incarico che mantenne ininterrottamente per i successivi dodici anni. Nel 1948 venne eletta consigliera nel comune di Cremona, mentre dal 1956 al 1962 fu nominata assessore nel Consiglio provinciale per l’assistenza e la beneficienza. Rieletta per due elezioni consecutive consigliera provinciale, nel 1958 ricevette il titolo di Cavaliere della Repubblica italiana e nello stesso periodo divenne presidente del Centro italiano difesa della Donna (Cidd). M. morì nel 1978 a Cremona.