Giulio Marchisio nacque a Boves, in provincia di Cuneo, il 28 luglio del 1923 da Costanzo e Lucia Pellegrino. Dopo aver atteso agli studi elementari e medi presso la città natale, decise di abbandonare il percorso scolastico per trovare un impiego che gli permettesse di contribuire alle finanze familiari. Dopo alcuni lavori saltuari, venne assunto presso una panetteria. Fin da giovanissimo fece parte, prima come aspirante e successivamente come socio effettivo, del circolo Giac «San Tommaso d’Aquino», frequentato peraltro anche da Giuseppe Lerda, Giuseppe Giraudo e Carlo Cavallera che, come lui, dopo l’8 settembre furono protagonisti del movimento di opposizione all’occupazione nazifascista.
Il 4 gennaio del 1943 fu richiamato sotto le armi per assolvere gli obblighi di leva e, dopo il periodo di formazione militare a Pinerolo, si vide assegnato al deposito del 5° settore della Guardia di frontiera proprio nei pressi di Boves, dove ebbe modo di conoscere la futura medaglia d’oro alla Resistenza Ignazio Vian, socio della Fuci. Nelle relazioni epistolari che mantenne con l’assistente parrocchiale e con i compagni di circolo non mancava di sottolineare il sollievo avvertito per la possibilità di poter frequentare periodicamente la chiesa locale e svolgere l’attività di apostolato tra i suoi commilitoni in caserma.
All’avvento dell’armistizio rifiutò l’arruolamento tra le fila dell’esercito tedesco e preferì lasciare il proprio posto e darsi alla macchia. Trascorse diverse settimane da renitente alla leva, prendendo i primi contatti con il movimento resistenziale che andava organizzandosi nella zona di Boves e, quindi, decise di aggregarsi ai primi nuclei di militari che, dopo essersi sbandati, si erano riuniti sotto la guida di alcuni ufficiali per organizzare una valida presenza in Valle Stura. In questo contesto, M. si trovò nel gruppo di partigiani che, il 19 settembre, dovette assistere inerme agli eventi del tristemente noto «eccidio di Boves» che, nell’arco di una tragica giornata, portò all’uccisione di ventitré civili e all’abbattimento di più di trecento case a causa di un incendio fatto divampare dai nazisti. La violenta azione criminale fu perpetrata da un reparto della 1ª divisione corazzata Leibstandarte-SS Adolf Hitler agli ordini dello SS-Sturmbannführer Joachim Peiper in rappresaglia contro i civili rei, secondo i tedeschi, di aver dato sostegno ai ribelli sulle montagne e per monito alla banda partigiana di Ignazio Vian che, durante uno scontro a fuoco sostenuto con una pattuglia tedesca, aveva catturato due SS e ucciso un milite nazista.
Dopo aver fatto ritorno a casa per un breve periodo, decise di recarsi nuovamente in Valle Stura per prendere contatti con le formazioni di Giustizia e libertà che operavano in quel territorio. Una volta giunto sul posto, infatti, venne inquadrato tra gli effettivi della I divisione alpina Gl. Il 31 dicembre 1943 venne raggiunto da reparti tedeschi in operazione di rastrellamento guidati da Peiper e, riconosciuto partigiano, fucilato sulla piazza antistante insieme ad alcuni compagni. Questo episodio segnò l’inizio di una nuova rappresaglia che colpì il paese per i tre giorni successivi e che contò al termine dell’eccidio cinquantanove vittime tra civili e partigiani.