Adriano Botto nacque a Bagnolo Piemonte, in provincia di Torino, il 13 marzo 1923. Quando era ancora molto giovane si trasferì insieme alla famiglia a Torre Pellice, piccolo comune non molto lontano da Torino, dove fin da subito volle iscriversi al circolo Giac «San Martino» condividendo il suo periodo associativo con il coetaneo e futura medaglia d’oro alla Resistenza Sergio Toja.
Aveva appena terminato gli studi superiori quando, nell’agosto del 1943, fu richiamato sotto le armi per assolvere agli obblighi di leva e, dopo un breve periodo di formazione militare, venne assegnato al 1° reggimento Granatieri di Sardegna. L’8 settembre del 1943, al momento della proclamazione dell’armistizio con le forze angloamericane, B. si trovava con il suo reparto nella zona sud di Roma, a protezione delle vie d’accesso alla capitale. All’avvenuto annuncio via radio, al quale seguì contestualmente la fuga dalla capitale del re Vittorio Emanuele III, i vertici militari che guidavano le truppe italiane a Roma dovettero constatare l’impossibilità di fornire ordini che permettessero la proficua difesa della città. Nonostante l’ambiguità della posizione tenuta, molti reparti dell’esercito si organizzarono per approntare una linea di difesa contro l’offensiva tedesca. Tra i gruppi più impegnati, oltre ai lancieri di Montebello, un gruppo di paracadutisti del X reggimento degli Arditi e un folto numero di civili, vi furono proprio quelli dei Granatieri di Sardegna, che già dal 9 settembre si prodigarono per fermare l’avanza nemica e si batterono a lungo soprattutto nella zona della via Ostiense.
Fallito il tentativo di difesa con la successiva occupazione nazista della città, la sua Divisione venne considerata definitivamente sciolta. B., dopo aver constatato lo sbandamento di molti commilitoni, tentò di far ritorno a casa ma, prima di riuscire nel suo intento, venne catturato e posto in stato di arresto da militi della Wehrmacht. Rifiutatosi di servire sotto l’esercito nazista, il giovane venne spedito insieme a molti dei suoi compagni nei campi in Germania.
L’unica informazione che pervenne ai familiari da questa data in poi fu quella della sua morte, sopravvenuta il 24 febbraio del 1944 presso il campo di Schweinfurt, nel distretto della Bassa Franconia in Baviera, probabilmente a causa delle durissime condizioni di vita alle quali erano sottoposti gli internati e ai lunghi e massacranti turni di lavoro presso le industrie produttive belliche del Reich.