Alfonso Casati nacque a Milano il 13 luglio 1918. Unico figlio di Alessandro e Leopolda Incisa della Rocchetta, la sua famiglia vantava un’antica ascendenza aristocratica legata alla tradizione del liberalismo politico durante il periodo risorgimentale. Alla sua casata, infatti, apparteneva Gabrio Casati, per breve tempo alla guida del governo provvisorio che si instaurò nel capoluogo lombardo dopo l’insurrezione armata delle Cinque giornate nel corso del 1848 e, soprattutto, ministro dell’istruzione che legò il suo nome alla riforma dell’ordinamento scolastico con la cosiddetta legge Casati. Il padre di C., allo stesso modo, fu un intellettuale e illustre esponente del modernismo cattolico e, in seguito, del liberalismo di Benedetto Croce. Ministro della Pubblica istruzione durante il governo di Mussolini, si dimise già nel 1925 perché in contrasto con la linea politica del fascismo.
Passati gli anni giovanili tra Milano e Arcore, C. crebbe in un ambiente reso impermeabile alla propaganda del regime. Lasciato il liceo classico Manzoni per non essere costretto a prendere parte alle attività delle organizzazioni giovanili fasciste, seguitò gli studi da privatista ed ebbe la possibilità di entrare in contatto con la cerchia di intellettuali legati a suo padre, tra i quali vi erano Benedetto Croce, Paolo Treves, Vittorio Enzo Alfieri e Francesco Flora. Vista anche la vicinanza a questi esponenti del mondo culturale italiano, egli venne presto avviato all’approfondimento degli studi umanistici soprattutto attraverso la lettura dei classici italiani e stranieri, oltre che allo studio delle lingue e della storia.
Nel corso del tempo volle coltivare diverse passioni che lo portano a impegnarsi in campi eterogenei. Particolarmente avvezzo alla pratica dello sport, organizzò e guidò una squadra di calcio che riuniva i giovani che abitavano ad Arcore e, oltre a questo, si dedicò con costanza all’attività della caccia. Apprezzando particolarmente anche la musica e le rappresentazioni teatrali, per tutta la durata della sua vita ebbe modo di raccogliere e collezionare una quantità piuttosto ingente di materiali riconducibili a questi ambiti che, vista la rarità della maggior parte dei pezzi presenti, alla sua morte vennero interamente donati al Museo teatrale della Scala. Infine, trovò posto anche la passione per la natura in genere che lo portò, sotto la supervisione del noto studioso di scienze naturali Edoardo Moltoni, a scrivere diversi articoli che vennero pubblicati dalla «Rivista italiana di ornitologia» e a curare una preziosa collezione ornitologica che nel 1949 venne donata dalla famiglia del giovane al Museo di scienze naturali di Milano.
Terminato il percorso di studi superiori, conseguì la maturità classica e decise di iscriversi alla Facoltà di Scienze naturali dell’Università degli studi di Milano ma, l’anno seguente, decise di passare a quella di Lettere perché più vicina alla formazione ricevuta. Fu durante questi anni trascorsi nel capoluogo lombardo che egli prese parte alle attività del circolo Fuci presente nell’ateneo.
Nel 1940, dopo aver terminato con profitto tutti gli esami previsti dal corso e a pochi mesi dalla discussione della tesi di laurea, si vide richiamato sotto le armi per assolvere agli obblighi di leva e fu ammesso al corso preparatorio di addestramento presso il deposito del 1° reggimento granatieri. Promosso sergente il 1° aprile 1942, nel luglio successivo fu accettato alla scuola per allievi ufficiali di Arezzo. Dopo il periodo di formazione, venne nominato sottotenente e assegnato al 3° reggimento granatieri Friuli di stanza a Roma e, nella primavera del 1943, spedito con il suo reparto in Corsica. Fu in quest’ultima destinazione che venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile.
Dopo l’8 settembre, alla guida del battaglione, prese parte alle prime offensive contro le guarnigioni tedesche presenti sull’isola. Della difficoltà del momento e della sua volontà di confermare la propria dedizione verso la patria è rimasto, a testimonianza, l’epistolario con i genitori che restituisce il quadro della sua vita quotidiana sotto le armi e, soprattutto, le motivazioni e gli ideali che lo portarono alla scelta di opporsi contro l’occupante nazifascista. Non è difficile, infatti, intuire all’interno di diverse missive la profonda delusione successiva ai traumatici eventi bellici e la volontà di combattere per la libertà: «Mi auguro che tanto sangue, tanta rovina, tante crudeli esperienze ammaestrino tutti nel culto della vera libertà, senza ammettere deviazioni e deformazioni di essa né permettere ai più sventati di avventurarsi e d’affidarsi a pericolose correnti e ad estreme soluzioni».
Alla fine del 1943 venne trasferito con il suo reparto di granatieri in Sardegna, dove fu possibile ricevere notizie dei suoi genitori che, nel frattempo, erano riparati in Vaticano per scappare dalla dura occupazione della capitale da parte delle truppe tedesche. Nel periodo trascorso nell’isola, dove rimase fino alla primavera del 1944, C. ebbe modo di rinnovare ulteriormente la sua volontà di mettersi a disposizione del nuovo governo del Sud per combattere per la libertà della patria: «Il nostro sacrificio per la causa della libertà [è] presupposto unico e solo per riabilitarci di fronte agli altri, e ciò che più conta, di fronte a noi stessi».
Grazie all’intercessione di Benedetto Croce e di suo padre, nuovi ministri del governo guidato da Pietro Badoglio, C. riuscì a far accettare la sua richiesta per prendere parte alle operazioni militari del Corpo italiano di liberazione condotte contro i nazifascisti. Arruolato nel battaglione Bafile del reggimento San Marco, vide accolta la domanda per essere inviato in prima linea e raggiunse la zona dell’anconetano, dove i tedeschi avevano approntato una sezione della linea gotica.
Il 6 agosto 1944, durante una vasta operazione volta a fiaccare le difese del nemico, il suo reparto ingaggiò battaglia contro un caposaldo germanico nella zona del Belvedere Ostrense e Corinaldo, nei pressi di Ancona. Nel corso del duro combattimento che ne seguì, C. venne colpito da una scheggia di mortaio nemico, mentre si trovava alla testa della sua compagnia di mitraglieri nell’estremo tentativo di proteggere la ritirata di un contingente polacco che era in rotta dopo che l’offensiva era stata respinta.
Il 17 novembre 1946 il professor Felice Perussia, rettore dell’Università degli studi di Milano, decretò alla memoria di C. la laurea honoris causa in Lettere. Il 31 luglio dell’anno precedente, invece, in onore del suo sacrificio venne tributata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente di fanteria e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Volontario della nuova guerra di redenzione contro il tradizionale nemico, durante arduo ciclo operativo dava ripetute prove di altissima abnegazione e di costante sprezzo del pericolo. Comandante di un plotone mitraglieri, nel corso di un aspro combattimento si lanciava alla testa dei propri uomini in ripetuti attacchi e contrattacchi contro importanti posizioni tenacemente difese da forti nuclei tedeschi, riuscendo dopo una strenua e cruenta lotta ad eliminare la resistenza avversaria. In una successiva azione si offriva volontariamente di partecipare ad una rischiosa impresa per la conquista di un importante centro abitato saldamente presidiato dal nemico. Determinatasi una sosta nell’attacco a causa dell’intensissimo fuoco della difesa, non esitava a portarsi con un esiguo nucleo di animosi in zona dominante e scoperta allo scopo di attirare su di sé l’attenzione del nemico e agevolare col fuoco delle proprie armi i movimenti dei reparti attaccanti. Benché fatto segno alla micidiale reazione tedesca e conscio dell’inevitabile sacrificio non desisteva dal nobile intento ed ergendosi fieramente in mezzo al fragore della battaglia continuava la propria efficace azione infliggendo perdite notevoli all’avversario mentre il successo coronava l’azione. Colpito a morte, continuava ad incitare con la parola e col gesto i propri uomini alla lotta, offrendo a tutti il nobilissimo esempio di un eroico trapasso. Belvedere Ostrense-Corinaldo, 21 luglio – 6 agosto 1944».