Carlo Cavallera nacque a Boves, in provincia di Cuneo, il 14 giugno del 1924. Dopo aver atteso agli studi elementari e medi presso la sua città natale, decise di abbandonare il percorso scolastico per trovare un impiego che gli permettesse di contribuire alle finanze familiari. Dopo alcuni lavori saltuari, venne assunto in qualità di meccanico presso una officina locale. Fin da giovanissimo fece parte del circolo Giac San Tommaso d’Aquino, frequentato peraltro anche dal suo coetaneo Giuseppe Lerda che, come lui, dopo l’8 settembre si impegnò nella Resistenza nella zona di Boves.
Nella primavera del 1943, allora diciannovenne, C. si vide costretto a rispondere alla chiamata alle armi per assolvere gli obblighi di leva. Dopo un breve periodo di formazione militare, venne arruolato nel 2° reggimento Autieri. Fu proprio durante il suo impegno tra le fila del Regio esercito che il giovane assistette alla caduta del fascismo e, successivamente, alla ratifica dell’armistizio di Cassibile che poneva definitivamente fine alle ostilità con le forze angloamericane già presenti nel territorio della penisola. A causa del momento di grande confusione e della drammatica mancanza di direttive da parte del comando militare, egli vide gran parte del suo battaglione sbandarsi e anche lui, per non essere costretto ad arrendersi ai tedeschi e a servire tra le fila della Wehrmacht, decise di lasciare il proprio posto e di far ritorno a Boves. Desideroso di dare il proprio contributo alla causa resistenziale, decise di prendere contatti e aggregarsi ai primi nuclei di militari che, dopo essersi sbandati, si erano riuniti sotto la guida di alcuni ufficiali che tentavano di organizzare una valida presenza in Valle Stura per opporsi alla dura occupazione tedesca. In questo contesto, C. si trovò nel gruppo di partigiani che, il 19 settembre, dovette assistere inerme agli eventi del tristemente noto «eccidio di Boves» che, nell’arco di una tragica giornata, portò all’uccisione di ventitré civili e all’abbattimento di più di trecento case a causa di un incendio fatto divampare dai nazisti. La violenta azione criminale fu perpetrata da un reparto della 1ª divisione corazzata Leibstandarte-SS Adolf Hitler agli ordini dello SS-Sturmbannführer Joachim Peiper in rappresaglia contro i civili rei, secondo i tedeschi, di aver dato sostegno ai ribelli sulle montagne e per monito alla banda partigiana di Ignazio Vian – socio della Fuci di Roma e futura medaglia d’oro al valor militare – che, durante uno scontro a fuoco sostenuto con una pattuglia tedesca, aveva catturato due SS e ucciso un milite.
Dopo aver fatto ritorno a casa per un breve periodo, decise di tornare nuovamente in Valle Stura per prendere contatti con le formazioni di Giustizia e libertà che operavano in quel territorio. Una volta giunto sul posto, infatti, venne inquadrato nella brigata Bisalta della I divisione alpina Gl. Il 31 dicembre 1943, secondo alcune testimonianze mentre si trovava all’interno della chiesa parrocchiale di Boves, venne raggiunto da reparti tedeschi in operazione di rastrellamento guidati da Peiper e, riconosciuto partigiano, fucilato sulla piazza antistante insieme ad alcuni compagni. Questo episodio segnò l’inizio di una nuova rappresaglia che colpì il paese per i tre giorni successivi e che contò al termine dell’eccidio cinquantanove vittime tra civili e partigiani.