Ruffinatti Renato

Renato Ruffinatti
Immagine: Gruppo delle medaglie d'oro al vm
Nome: Renato
Cognome: Ruffinatti
Luogo di nascita: Giaveno
Provincia/stato: Torino
Data di nascita: 25/09/1925
Luogo di morte: Forno di Coazze
Provincia/Stato morte: Torino
Data di morte: 16/05/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Renato Ruffinatti nacque il 25 settembre 1925 a Giaveno, in provincia di Torino, da Giovanni e Irma Moschietto. Fin dai primi anni della sua giovinezza, trascorsi nel paese natale, egli fece parte del circolo «Fortes in fide» della Gioventù cattolica. Terminati gli studi elementari e medi, fu assunto in qualità di operaio metallurgico in una fabbrica del capoluogo piemontese.

Libero da obblighi di leva in quanto figlio unico, nei giorni successivi alla firma dell’armistizio di Cassibile, che pose fine alle ostilità con le forze angloamericane, decise di prendere contatti con il movimento resistenziale che si andava sviluppando nella zona alpina della parte occidentale del Piemonte, tra le rive del Pellice e la Val Sangone. Determinato a non rispondere ai bandi di reclutamento emessi dalla Repubblica sociale, nel febbraio del 1944 si inserì tra le fila della brigata partigiana Moncada, guidata da Giulio Nicoletta e aggregata alla 43ª divisione autonoma che sarà poi intitolata alla memoria di Sergio De Vitis, anche lui giovane socio di Ac e futura medaglia d’oro al valor militare. Tenuto in grande considerazione dai comandi della formazione, a lungo si distinse nei combattimenti contro i nazifascisti e, in particolar modo, in alcune complesse operazioni di sabotaggio. La capacità di orientarsi con facilità nelle zone montuose e la sua tenace resistenza alle lunghe marce fu fondamentale per organizzare e coordinare i trasferimenti di ingenti gruppi di partigiani tra le basi di montagna e quelle della pianura, evitando le pattuglie tedesche e i posti di blocco nemici che presidiavano le zone di collegamento. Questa intensa opera gli valse l’appellativo, datogli dai suoi compagni, di «gigante della montagna».

Il 10 maggio del 1944 la Val Sangone venne fatta oggetto di una vastissima opera di rastrellamento, condotta dalle forze nazifasciste presenti sul territorio, denominata operazione Habicht. R. fu raggiunto da un contingente tedesco mentre si trovava con altri sessanta compagni a Villa Sertorio. A seguito del duro combattimento con i militi nemici, il gruppo di partigiani riuscì a rompere l’accerchiamento e darsi alla fuga. Nonostante questa parziale vittoria, il giorno successivo R. fu catturato e posto in stato di arresto, mentre tentava di far ritorno nel paese natale per raggiungere la sua famiglia e nascondersi presso la sua abitazione. Condotto alle carceri improvvisate nella scuola elementare di Coazze, fu sottoposto a interrogatorio e a lungo seviziato e torturato allo scopo di fargli rivelare la sua vera identità e, soprattutto, informazioni utili a individuare la formazione partigiana alla quale era legato.

Giuseppe Zanolli, podestà di Giaveno che in quei giorni venne costretto dal presidio tedesco della zona ad assumere l’autorità civile anche del comune di Coazze, ebbe l’opportunità di presiedere agli interrogatori dei prigionieri. Sul suo diario, composto dal 9 settembre 1943 al 30 aprile 1945, trascrisse: «Alle ore 15,30 torno nuovamente in municipio e trovo il maresciallo. Mi dice che l’arrestato [Ruffinatti] sta per essere interrogato dal Tenente Istruttore e da Robert»; alle diverse pressioni per rivelare l’identità dei suoi compagni e il luogo di rifugio della sua banda, il giovane rispose trincerandosi dietro ai «non so», «vi sbagliate» e «non so di che parlate». Allo stesso modo, egli non volle sottoporre la popolazione civile a rischi di rappresaglie e, all’intimazione a confessare «chi aiuta a Giaveno i partigiani e chi sono i principali favoreggiatori?», confermò la sua volontà di non rivelare alcunché. Il podestà, infine, annotò che all’ennesimo colpo subito dal giovane, che lo costrinse «ad un gemito più doloroso degli altri», fece irruzione nella camera per porsi a difesa dell’accusato: «Un quadro mostruoso si affaccia alla mia vista. Robert sta col braccio alzato armato di uno scudiscio pronto a lasciar cadere i colpi sul corpo di un giovanotto che è nudo fino alla cintola e porta sul corpo le impronte sanguigne dei colpi ricevuti». L’episodio raccontato da Zanolli si conclude con le parole di R. che, dopo essere stato soccorso, si rivolse al podestà confermando le sue intenzioni: «Perché vuol compromettersi ancora di più? Io non ho parlato, né parlerò mai».

Chiusosi dietro un ostinato silenzio e confermato a più riprese di non voler rivelare alcuna informazione, il 16 maggio il giovane venne costretto a trascinarsi in una tragica marcia per i paesi di Giaveno, Presa Garida fino al cimitero della piccola frazione di Forno di Coazze, mentre i fascisti lo etichettavano davanti alla popolazione dei paesi come un traditore e, arrivato sul luogo dell’esecuzione, gli imposero di scavarsi da solo la fossa dove sarebbe stato fucilato. Terminato il proprio compito, R. venne raggiunto da una scarica di mitraglia che lo lasciò esanime a terra.

Alla memoria del sacrificio di R., con una nota nella «Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana» del 9 dicembre 1948, venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di partigiano combattente e la seguente motivazione: «Figlio unico e senza obblighi di leva, salì all’Alpe nell’ottobre 1943 per combattere contro i tedeschi. Infaticabile ed ardimentosa guida ai reparti che scendevano dai monti al piano per attaccare i presidi nemici, fu soprannominato il “gigante della montagna”. Combatté a Orbassano e a Cumiana riuscendo audacemente a forzare i posti di blocco avversari per mantenere i collegamenti con gli altri reparti operanti. Catturato durante un furioso combattimento dopo avere sparato l’ultima cartuccia, fu sottoposto alle più inumane torture che sopportò con sublime forza d’animo fino a rinnegare la sua mamma per non esporla a rappresaglia. Trasportato a ludibrio per le vie del paese, fu costretto a scavarsi la fossa e, benché ridotto a piaga vivente, ebbe la forza di gridare la sua fede in faccia ai carnefici che barbaramente lo trucidarono. Figura di leggendario eroismo. Forno di Coazze, 13 [sic] maggio 1944».

Onorificenze

Figlio unico e senza obblighi di leva, salì all’Alpe nell’ottobre 1943 per combattere contro i tedeschi. Infaticabile ed ardimentosa guida ai reparti che scendevano dai monti al piano per attaccare i presidi nemici, fu soprannominato il “gigante della montagna”. Combatté a Orbassano e a Cumiana riuscendo audacemente a forzare i posti di blocco avversari per mantenere i collegamenti con gli altri reparti operanti. Catturato durante un furioso combattimento dopo avere sparato l’ultima cartuccia, fu sottoposto alle più inumane torture che sopportò con sublime forza d’animo fino a rinnegare la sua mamma per non esporla a rappresaglia. Trasportato a ludibrio per le vie del paese, fu costretto a scavarsi la fossa e, benché ridotto a piaga vivente, ebbe la forza di gridare la sua fede in faccia ai carnefici che barbaramente lo trucidarono. Figura di leggendario eroismo. Forno di Coazze, 13 [sic] maggio 1944.

Fonti e bibliografia

  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.
  • Archivio Centro studi Giorgio Catti di Torino, Serie Testimonianze documentarie raccolte dal Centro studi “Giorgio Catti” (1915 – 2005), sott. C, sotto-sott. 16, b. 36, fasc. 16.

Galleria di immagini

Hanno fatto parte di Gioventù italiana di Azione cattolica anche:

ISACEM – Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
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