Coatto Angelo

Angelo Coatto
Immagine: Centro di ricerche storiche di Rovigno
Nome: Angelo
Cognome: Coatto
Luogo di nascita: Vicenza
Data di nascita: 07/08/1914
Luogo di morte: Gallesano
Provincia/Stato morte: Croazia
Data di morte: 02/10/1944
Ramo di Azione cattolica:
Partito politico:

Sommario

Note biografiche

Angelo Coatto nacque il 7 agosto del 1914 a Vicenza. Durante la sua infanzia, a seguito della famiglia, dovette trasferirsi a Verona, dove cominciò gli studi elementari e medi, quindi spostarsi a Venezia dove i suoi genitori presero definitivamente residenza. Nel 1928 si iscrisse al liceo scientifico Giovanni Battista Benedetti, dove rimase fino al 1933, e nel contempo si avvicinò alla vita organizzativa del circolo della Giac della parrocchia della Madonna dell’Orto. La passione e la dedizione dimostrati nell’ambito associativo gli permisero di assumere compiti di maggiore responsabilità anche nel Centro diocesano del capoluogo veneto, dove, nel tempo, divenne l’animatore del movimento degli studenti medi, tanto da esserne designato delegato diocesano.

Nel 1933 si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università degli studi di Padova e, contemporaneamente, al circolo Fuci di Venezia di cui, nel 1937, divenne presidente. Presentandolo per tale carica al cardinale Adeodato Piazza, l’assistente ecclesiastico don Alessandro Gottardi ne descrisse la grande competenza: «Egli, proveniente dalle fila della Gioventù di Azione cattolica, nella quale organizzò e per due anni promosse con successo come Delegato diocesano il Movimento Studenti Medi, ha perciò stesso una buona preparazione spirituale al nostro movimento di azione cattolica universitaria». La sua partecipazione all’associazione e il suo impegno nell’apostolato fu sovente fonte di riflessione personale, allo scopo di esaminare criticamente il suo operato, migliorare la sua azione e non mancare alle sue responsabilità: «L’Azione cattolica – scrisse nel suo diario – è la mia vocazione specifica. Fin’ora [sic] ho fatto poco, la parte esterna, forse dimenticandone troppo spesso la spiritualità, la santità, l’obbedienza assoluta. La mia responsabilità di fronte alla Chiesa: di preghiera, di sacrificio, di santità. Ho avuto tanto e ho dato così poco».

Laureatosi con il massimo dei voti, trascorse i suoi primi due anni da medico condotto a Feltre, quindi passò al reparto radiologico dell’Ospedale civile di Venezia, poi a quello per le malattie infettive Santa Maria della Grazia e, infine, all’ospedale di Marostica.

In questi anni il suo rapporto con l’ideologia fascista fu improntato a una certa diffidenza di fondo. Partecipò ai Littoriali del 1940, il cui tema era «La purità della razza come fattore di sviluppo demografico», classificandosi terzo nella sezione medico-biologica, ma il successivo ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale lo portò a prendere nettamente le distanze dal regime. Richiamato sotto le armi per assolvere agli obblighi di leva, venne assegnato a un reparto di sanità di stanza a Genova. Durante il servizio militare, trascrisse sul diario un episodio che appare alquanto emblematico per comprendere la posizione che egli assunse nel giudicare la guerra voluta da Mussolini: «Stamane Santa Comunione prima della Santa Messa delle ore 8,30. Chiesa gremita di soldati. Notevoli le Comunioni. Buone parole del Cappellano che poi, nella preghiera in fondo alla Messa, omette di nominare il Duce. Soddisfazione generale, neppure dissimulata».

L’11 novembre del 1942 partì per la zona di occupazione in Francia quale sottotenente medico del 2° battaglione della divisione motorizzata Piave. In terra francese ebbe un encomio solenne dal suo generale di brigata per essersi «offerto spontaneamente», durante una sosta del reparto, per «donare il proprio sangue ad una morente, madre di dodici figli» e, compiuto il gesto, «riprendeva in condizioni atmosferiche avverse per freddo e per pioggia il proprio servizio al seguito del reparto». In questo periodo di operazioni al fronte, non sentendosi al sicuro, egli volle scrivere sul diario quello che si può definire un vero e proprio testamento spirituale: «Di fronte a Dio e per rispondere alla sua volontà compio integralmente, con sacrificio sereno della mia vita, il mio dovere di italiano. Sono del tutto estraneo da ogni idealità fascista di questa guerra che sento ingiusta ed inopportuna. Abbia Dio misericordia della mia anima, sostenga la mia famiglia, protegga sempre la mia patria amata. Viva l’Italia».

La notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprese dunque mentre si trovava ancora in zona d’occupazione. Vista l’ambiguità delle direttive provenienti dagli alti comandi e l’incertezza della posizione dei soldati italiani all’estero, C. decise di lasciare il proprio posto per non rischiare di cadere nelle mani dei tedeschi ed essere internato in Germania, quindi raggiunse i primi nuclei partigiani che andavano formandosi nella Liguria occidentale. Trascorso qualche mese di parziale inattività, riuscì a tornare a Venezia per prestare servizio in qualità di assistente radiologico all’Ospedale civile. Fu nel capoluogo veneto, comunque, che egli prese contatti con alcuni dei suoi vecchi compagni della Fuci e con alcuni esponenti del Cln per dare il proprio fattivo contributo all’organizzazione del movimento resistenziale nella zona. Designato come responsabile della stampa e propaganda della Dc veneziana, successivamente si vide anche assegnato il difficile compito di coordinare la nascente sezione giovanile del partito.

Nel marzo del 1944, dopo essersi schierato apertamente a sostegno di alcuni colleghi medici veneziani che erano sotto la minaccia tedesca di essere deportati in Germania, vide aggravarsi la sua posizione davanti agli apparati di controllo nazifascista. Sentendosi le maglie della polizia stringersi intorno a lui, C. decise di lasciare la città e trasferirsi a Pola, dove poteva operare in un contesto di maggiore tranquillità personale. Nella città istriana fu chiamato a dirigere il reparto neurologico e, utilizzando la sua professione come copertura, continuò l’opera di propaganda antifascista finché, individuato nuovamente e posto sotto osservazione dal fascismo, preferì raggiungere una banda partigiana e mettersi a disposizione come medico.

In questo contesto, il 16 settembre 1944 C. e il suo collaboratore Victor Putinja vennero individuati durante un’operazione di rastrellamento mentre si recavano a soccorrere dei feriti. I due uomini, dopo essere stati circondati, decisero di provare ad approntare un tentativo di resistenza al nemico che, però, si rivelò effimero quando entrambi terminarono le munizioni. Deposta la propria arma, il medico venne raggiunto e posto in stato di arresto. Condotto nella locale caserma, sede del comando tedesco, fu sottoposto a pressanti interrogatori, sevizie, minacce per indurlo a dare informazioni che potessero essere utili ai suoi aguzzini. Trincerato dietro un ostinato silenzio, rifiutò anche la proposta di aver salva la vita in cambio della collaborazione. Il 2 ottobre fu preso dal carcere dove era stato rinchiuso insieme ad altri venti ostaggi e, come rappresaglia per l’uccisione di tre fascisti, venne portato a Gallesano, ai margini della strada che da Pola porta a Dignano, e fucilato.

Fonti e bibliografia

  • Angelo Coatto, Pensieri dal diario di Angelo Coatto, Bettinelli, Verona 1954.
  • Claudio Radin, Il dott. Angelo Coatto: un eroe da valutare nel 40° della sua tragica fine, «Quaderni del Centro di ricerche storiche di Rovigno», n. 8, 1984-1985, pp. 351-356.
  • Silvio Tramontin, Angelo Coatto: vita spirituale e vita partigiana, in Bruno Bertoli (a cura di), La Resistenza e i cattolici veneziani, Studium cattolico veneziano, Venezia 1996, pp. 113-128.

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