Decio Filipponi nacque nel 1921 a Roma da Giovanni e Ermelinda Rossi. Nella sua città natale attese, nel corso del tempo, agli studi medi e superiori, durante i quali prese parte alle attività del circolo Giac di Santa Maria Liberatrice. Terminato il liceo e ottenuto il diploma, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, dove si inserì tra le fila del gruppo Fuci presente nell’ateneo.
Nel febbraio del 1943 venne richiamato per assolvere ai suoi obblighi di leva. Destinato al 73° reggimento fanteria di stanza a Trieste, fu ammesso al V corso preparatorio d’addestramento per allievi ufficiali presso il 5° battaglione d’istruzione del reggimento dislocato a Poggioreale del Carso. Dopo essere stato promosso caporale, nell’aprile di quell’anno si ammalò e dovette tornare a casa dove rimase in licenza per circa tre mesi. Alla caduta del regime fascista finì il periodo di degenza e nell’agosto riprese servizio presso il deposito del reggimento dove, l’8 settembre, venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva fine alle ostilità con le forze angloamericane ma lasciava i reparti del regio esercito nell’impossibilità di interpretare quelli che sarebbero dovuti essere i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico.
Quando molti dei suoi commilitoni cominciarono a sbandarsi e il reparto si sciolse per la mancanza di ordini da parte del comando militare, F. decise di lasciare il proprio posto per non essere catturato dai tedeschi e raggiunse le prime formazioni partigiane che andavano costituendosi nella zona del Maceratese. Giunto di passaggio nella cittadina di Sarnano, conobbe Zeno Rocchi, noto antifascista tra i fondatori del Pci e futuro presidente del Cln di Macerata, che lo indusse a fermarsi in quel territorio per dare il proprio contributo al tentativo di opposizione all’occupante nazifascista. Subito distintosi per grandi capacità organizzative e per una buona dose di attitudine al comando, egli sfruttò le sue conoscenze militari per porsi alla testa, con la qualifica di maggiore, della brigata Val Fiastre. Vista l’endemica penuria di armi e munizioni che caratterizzò la maggior parte delle bande partigiane nel primo periodo del movimento resistenziale, F. organizzò diverse azioni volte a bloccare le pattuglie tedesche presenti nella zona e alcune requisizioni nelle caserme dei carabinieri per procurarsi quanto più equipaggiamento possibile.
All’alba del 29 marzo 1944, nel corso di una vastissima operazione di rastrellamento condotta dalle truppe nazifasciste allo scopo di eliminare le diverse sacche di Resistenza presenti nella zona dei Monti Cimini, sull’appennino marchigiano, F. venne catturato a Piobbico, piccola frazione di Sarnano, mentre si trovava a casa dei fratelli – e suoi compagni di brigata – Edo e Ildo Mariotti. In particolar modo, egli si presentò di sua iniziativa alle truppe tedesche che stavano radunando i civili nella piazza principale del paese, per evitare che i militi dessero fuoco alle case dei contadini e deportassero la gente del luogo perché connivente con i partigiani. Posto in stato di arresto, nulla volle rivelare ai suoi aguzzini per non mettere in pericolo i suoi compagni e per non dare agli occupanti il pretesto di operare delle rappresaglie sulla popolazione civile. Sottoposto a un duro interrogatorio e a numerose sevizie, egli decise di barricarsi in un ostinato silenzio, che probabilmente segnò la sua condanna a morte. Nella tarda mattinata della stessa giornata, senza alcun regolare processo, F. venne condotto al centro di Piobbico e impiccato a un palo della luce perché riconosciuto responsabile di diverse operazioni partigiane e qualificato come uno dei capi della Resistenza; l’esecuzione venne portata a termine da un ufficiale della guarnigione tedesca che lo colpì con un colpo di pistola alla tempia. Il suo corpo senza vita rimase per tutto il giorno legato nel luogo dell’esecuzione per essere ben visibile alla vista dei passanti, come monito a quanti stavano dando supporto – diretto o indiretto – alla lotta di liberazione.Al termine della II Guerra mondiale, l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” ha conferito alla memoria di F. la laurea honoris causa in Giurisprudenza. In ricordo del sacrificio di F. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente di complemento di fanteria e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Organizzatore ed animatore fin dagli inizi del movimento di resistenza nel Maceratese, partecipava alla testa della sua Brigata a numerose ed audaci azioni di guerra contro l’invasore segnalandosi sempre per ascendente, capacità di comando e non comune ardimento. Nel corso di una poderosa azione di rastrellamento, condotta dal nemico a scopo di rappresaglia, catturato dopo strenua lotta, veniva condannato a morte. Affrontava il capestro con l’animo dei forti, che le sevizie infertegli non erano riuscite a piegare. Fulgido esempio di dedizione alla Patria, di vivo senso del dovere e di alto spirito di sacrificio. Zona di Macerata, 8 settembre-30 giugno 1944».