Alcide Lazzeri nacque a Chitignano, piccolo comune in provincia di Arezzo, il 17 settembre del 1887. Trascorsa l’infanzia nel paese natale, decise di entrare ancora giovanissimo nell’Ordine francescano dei frati minori al santuario della Verna, dove, compiuti i ventitré anni, venne ordinato sacerdote. Qualche anno più tardi, allo scoppio della Prima guerra mondiale, servì presso il Regio esercito in qualità di cappellano militare. L’esperienza trascorsa nel corso del periodo al fronte lo segnò a tal punto che, fatto ritorno a casa, fece richiesta di passare al clero secolare.
Designato come parroco di Salutio, frazione del comune di Castel Focognano in provincia di Arezzo, nella nuova realtà diede particolare impulso allo sviluppo dell’Azione cattolica, dedicandosi in particolar modo alla crescita della Giac nel paese. Il rapporto tra realtà associativa cattolica e apparati di controllo locale del regime fu particolarmente complicato, tanto che, all’inizio del 1929, sopraggiunse l’ordine da parte delle autorità di provvedere all’immediata chiusura del circolo giovanile. Trovatosi a Trieste, impegnato in un ciclo di conferenze per l’associazione, L. venne informato che una squadra di giovani militi fascisti aveva fatto irruzione nei locali del circolo, asportando la bandiera, i registri con i nominativi dei soci iscritti e materiale di propaganda. A questa azione di forza, seguirono nei giorni seguenti pressioni di ogni genere e la minaccia di dar fuoco alla sede. Fatto ritorno il prima possibile, il sacerdote si attivò per denunciare i fatti alle autorità di polizia ma, non avendone ricevuto soddisfazione, decise di far tappa a Roma per ottenere direttive e un deciso intervento della Presidenza centrale dell’Ac. Questo episodio, ma soprattutto la sua determinazione nell’ottenere la restituzione di quanto era stato tolto al circolo, attirò su di lui il forte risentimento delle locali autorità fasciste. Nominato parroco di Modine, anche in questa località si spese a fondo per la difesa dei giovani di Azione cattolica in un periodo in cui il rapporto tra associazione e regime vedeva momenti di forte tensione, sfociati nello scioglimento dei circoli del 1931 e la promulgazione dell’enciclica Non abbiamo bisogno. Schieratosi a più riprese a difesa dei soci militanti del paese, il parroco si vide destinatario di una violenta persecuzione, sfociata in alcune minacce dirette alla sua persona.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, L. fu spostato nella vicina parrocchia di Civitella in Val di Chiana. Fu in questa destinazione che egli assistette alla caduta di Mussolini e, successivamente, alla ratifica dell’armistizio di Cassibile con le forze angloamericane. Durante il periodo di occupazione tedesca, egli si spese in tutti i modi per sostenere la popolazione locale, per assistere i rifugiati e per dare supporto a ex prigionieri, ricercati e renitenti alla leva repubblichina.
Nel giugno del 1944, a seguito dell’uccisione di due soldati tedeschi nella sede del dopolavoro cittadino da parte di un gruppo di partigiani, il sacerdote dovette adoperarsi per tentare di evitare la rappresaglia nemica sui civili del paese. Mentre la popolazione si affrettava a disperdersi per la campagna temendo la veemente reazione nazifascista, L. attese l’arrivo delle truppe germaniche, celebrò il rito funebre e accompagnò il feretro sul luogo della sepoltura. Nonostante il suo tentativo di dimostrare la totale estraneità della popolazione civile, un contingente della divisione Hermann Göring, agli ordini del tenente generale Wilhelm Schmalz, fece ritorno il 29 giugno per dare avvio a una violenta rappresaglia che, nel dopoguerra, venne tristemente ricordata come l’«Eccidio di Civitella». I soldati irruppero nelle abitazioni per perquisirle e aprirono il fuoco sugli abitanti che si trovarono davanti. Dopo aver incendiato gran parte del paese, entrarono nella chiesa, mentre si stava celebrando la messa, divisero i fedeli in piccoli gruppi, li fecero uscire sulla piazza antistante e si prepararono per l’esecuzione di tutti i presenti. Pur avendo la possibilità di essere risparmiato, dopo aver dato assistenza spirituale a più persone possibili e aver invitato alla preghiera, L. chiese di poter parlare con l’ufficiale che coordinava le operazioni e gli propose di fucilare solo lui e lasciare libero l’intero gruppo di fedeli. Al fine di evitare proteste e disordini, il graduato tedesco finse di acconsentire alla richiesta e, dopo aver atteso qualche minuto per dare tempo al parroco di benedire la popolazione, lo fece trascinare in altro luogo e colpire con un colpo di mitraglia alla testa. Nonostante l’accordo raggiunto, però, i tedeschi scelsero comunque di trucidare tutte le persone radunate nella piazza e porre così fine alla strage. Alla fine della giornata si contarono centoquarantasei caduti civili, di cui novantotto nella sola Civitella.
Nel 1963, con decreto del presidente della Repubblica Antonio Segni, alla memoria di L. venne assegnata la medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Parroco del Comune, non esitava, nel corso di una feroce e indiscriminata rappresaglia nemica, ad offrirsi eroicamente a salvezza di centocinquanta ostaggi catturati ed in procinto di essere passati per le armi. La sua nobile offerta veniva però respinta anch’egli cadeva ucciso insieme ai suoi parrocchiani. Fulgido esempio di coraggiosa dedizione e di sublime altruismo spinto fino all’estremo sacrificio. Civitella in Val di Chiana, 29 giugno 1944». Nel dopoguerra gli venne anche intitolata la piazza dove ebbe luogo l’eccidio. Nel giugno del 2021, in occasione dell’anniversario del sacrificio del sacerdote, il vescovo di Arezzo Riccardo Fontana ha annunciato l’apertura della fase diocesana del processo per la sua beatificazione chiedendo di riconoscerne la morte in odium fidei.