Nembrini Giuseppe

Immagine: Isacem, Fondo Righini
Immagine: Isacem, Fondo Righini
Nome: Giuseppe
Cognome: Nembrini
Luogo di nascita: Grumello del Monte
Provincia/stato: Bergamo
Data di nascita: 28/12/1921
Luogo di morte: Mongardino
Provincia/Stato morte: Bologna
Data di morte: 24/03/1945
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Giuseppe Nembrini nacque a Grumello del Monte, piccolo paese in provincia di Bergamo, il 28 dicembre del 1921, da Alessandro e Rosa Belotti, secondogenito di tre figli. La famiglia, di modeste condizioni economiche e di antica tradizione contadina, era dedita alla cura dei campi tenuti in mezzadria. La situazione finanziaria si aggravò considerevolmente quando il padre di N., nel 1923, perse la vita per un colpo di pistola ricevuto nel corso di una rissa alla quale prese parte per difendere un suo compagno di lavoro che era stato aggredito.

Il giovane N. trascorse gli anni giovanili frequentando assiduamente, insieme ai suoi fratelli, l’oratorio parrocchiale e il circolo Giac presente nel paese natale. Terminate le scuole elementari, fu costretto a lasciare il percorso scolastico per mettersi a disposizione nei campi in gestione della famiglia. Per supportare ulteriormente la difficile situazione finanziaria dopo la morte del padre, all’età di quattordici anni N. decise di cercare un nuovo lavoro da affiancare alla cura della terra. Venne assunto come giovane di fiducia presso l’Istituto Dante Alighieri di Bergamo e, quindi, dopo un anno si trasferì a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, dove trovò occupazione come fattorino presso un albergo.

Nel gennaio del 1941 venne richiamato sotto le armi per assolvere gli obblighi militari e, arruolatosi nel 52° fanteria, nel maggio successivo fu promosso al grado di caporale maggiore. Passato volontario nella specialità dei paracadutisti, ebbe modo di frequentare il corso di formazione presso la scuola di Tarquinia e fu successivamente assegnato al 12° reggimento paracadutisti. Promosso caporal maggiore nel novembre dello stesso anno, fu trasferito al 184° reggimento della divisione Nembo. Nel gennaio del 1943, insieme al suo reparto, fu destinato in Sardegna, dove fu raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e da quella della firma dell’armistizio di Cassibile.

Dopo l’8 settembre, dunque, il suo reggimento fu costretto a prendere parte ai duri combattimenti contro le guarnigioni tedesche presenti sull’isola. Vista la mancanza di ordini dai comandi militari, la resistenza dei militari italiani fu tardiva e disorganizzata, ma risultò efficace se, dopo poco tempo, le forze nemiche si videro costrette a riparare nella vicina Corsica. N. passò dunque al distretto militare di Oristano e, nel giugno del 1944, fu trasferito al II battaglione del 2° reggimento granatieri. Tornato sul territorio liberato del sud Italia, nel settembre di quell’anno entrò a far parte col reparto dell’88° fanteria del gruppo di combattimento Friuli e, promosso sergente, partecipò alla guerra di liberazione a fianco degli alleati angloamericani. La sua divisione, infatti, fu impegnata lungo la Linea gotica, in prossimità del settore adriatico, a fianco del Corpo d’armata polacco.

Il 24 marzo del 1945, durante i combattimenti nei pressi del fiume Senio che portarono in breve tempo alla liberazione di Bologna, N. trovò la morte sul campo di battaglia. Il suo reparto, infatti, fu tra quelli scelti per essere inviati in avanscoperta tra i sobborghi periferici del capoluogo emiliano per rilevare posizione ed entità delle forze tedesche. Giunti nella piccola frazione di Mongardino, nel comune di Sasso Marconi, N. assunse il comando di un gruppo di granatieri e venne incaricato di guidare l’avanguardia per assicurarsi una postazione ritenuta strategica. Raggiunto con successo il luogo convenuto, il gruppo fu presto individuato dai tedeschi e venne fatto oggetto di fuoco incrociato da parte dell’artiglieria e dalle mitragliatrici nemiche. Dovendo prendere atto dell’impossibilità di mantenere la posizione, N. ordinò la ritirata e decise di rimanere con pochi compagni per terminare l’osservazione delle linee nemiche e per coprire il fianco degli uomini che stavano retrocedendo. Raggiunto da una raffica di mitragliatrice nemica, però, fu ferito gravemente e si decise a ripiegare anch’egli per raggiungere le retrovie dove, già in fin di vita, volle comunque stilare a voce agli ufficiali del comando alleato un dettagliato resoconto di quanto era stato in grado di vedere dalla postazione raggiunta.

Il 31 maggio 1946 alla memoria di V. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sergente dei granatieri con la seguente motivazione: «Comandante di squadra granatieri, ardimentoso ed entusiasta, pattugliatore incomparabile e sereno di fronte a qualsiasi pericolo, diede ad ogni azione difficile e rischiosa affidatagli l’apporto del suo slancio e del suo sangue freddo, riuscendo in momenti gravissimi ad imporre la sua iniziativa al nemico anche se superiore per uomini e mezzi. In una dura e sanguinosa giornata si offriva quale capo pattuglia per una rischiosa e delicata missione, impavido e sereno osservava da una posizione avanzata e scoperta le mosse del nemico che invano scatenava su di lui la furia delle sue armi. Gravemente ferito rimaneva al suo posto, rifiutava ogni cura per non esporre i suoi uomini e, superando le sofferenze della carne straziata, ancora persisteva nel compito volontariamente assunto. Assoltolo in pieno, sempre battuto da fuoco rabbioso e insidiato da una pattuglia tedesca, riusciva benché in condizioni fisiche assai menomate, a disimpegnarsi ed a rientrare nelle nostre linee. Senza preoccuparsi di sé, profondeva le sue estreme energie per esporre dettagliatamente al proprio comandante i risultati della sua missione, consentendo solo allora (troppo tardi però) di farsi trasportare al posto di medicazione. Consacrava poi con l’olocausto della vita il dovere compiuto fino all’ultimo. Mongardino (Torrente Senio), 24 marzo 1945».

Onorificenze

Comandante di squadra granatieri, ardimentoso ed entusiasta, pattugliatore incomparabile e sereno di fronte a qualsiasi pericolo, diede ad ogni azione difficile e rischiosa affidatagli l’apporto del suo slancio e del suo sangue freddo, riuscendo in momenti gravissimi ad imporre la sua iniziativa al nemico anche se superiore per uomini e mezzi. In una dura e sanguinosa giornata si offriva quale capo pattuglia per una rischiosa e delicata missione, impavido e sereno osservava da una posizione avanzata e scoperta le mosse del nemico che invano scatenava su di lui la furia delle sue armi. Gravemente ferito rimaneva al suo posto, rifiutava ogni cura per non esporre i suoi uomini e, superando le sofferenze della carne straziata, ancora persisteva nel compito volontariamente assunto. Assoltolo in pieno, sempre battuto da fuoco rabbioso e insidiato da una pattuglia tedesca, riusciva benché in condizioni fisiche assai menomate, a disimpegnarsi ed a rientrare nelle nostre linee. Senza preoccuparsi di sé, profondeva le sue estreme energie per esporre dettagliatamente al proprio comandante i risultati della sua missione, consentendo solo allora (troppo tardi però) di farsi trasportare al posto di medicazione. Consacrava poi con l’olocausto della vita il dovere compiuto fino all’ultimo. Mongardino (Torrente Senio), 24 marzo 1945.

Fonti e bibliografia

  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.

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