Fulvio Sbarretti nasce il 22 settembre 1922 a Bagnara di Nocera Umbra, da Angelo e Santa Gasparri. Trascorre l’infanzia in Lussemburgo, dove i genitori sono emigrati per motivi di lavoro, come tanti loro corregionali in quegli anni, rientrando in Umbria nel 1925. Frequenta a Nocera Umbra le scuole elementari e, successivamente, a 11 anni di età, si reca nella campagna romana per lavorare come pastore. In seguito è assunto, come operaio, a Baiano di Spoleto.
S. fa parte del Circolo della Giac di Bagnara di Nocera Umbra, in anni in cui la diocesi di Nocera Umbra e Gualdo Tadino conosce un’intensa attività associativa per l’impegno di vari sacerdoti e successivamente sotto la guida del vescovo mons. Domenico Ettorre.
Nel gennaio 1942, S. è chiamato alle armi per la leva e viene assegnato al 226 Reggimento di Fanteria, 16ª Compagnia, prima a Bari e poi in Grecia. Successivamente, dietro sua domanda, è arruolato fra i carabinieri, e, come milite dell’arma, è destinato in servizio a Milano.
Dopo l’8 settembre 1943, torna in famiglia, ma, successivamente, rientra in servizio ed è destinato alla caserma di Fiesole. Seguendo la decisione di molti altri carabinieri, nell’aprile del 1944, quelli della stazione di Fiesole entrano in contatto con la Resistenza italiana, in particolare con la V Brigata della Divisione Giustizia e libertà, per appoggiarne la lotta di liberazione dai nazi-fascisti. Il comandante della stazione, il vice-brigadiere Giuseppe D’Amico, è nominato comandante militare di settore. Il loro contributo consiste soprattutto nella raccolta di informazioni, nella fornitura di armi e viveri e nella partecipazione diretta ad azioni di sabotaggio, mentre continuano a svolgere i compiti istituzionali.
Nell’agosto 1944, durante un rastrellamento, è portato via dai tedeschi anche il comandante della stazione fiesolana dei carabinieri. Nonostante la perdita del loro comandante, i carabinieri rimasti di stanza, Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti e Alberto La Rocca, non cessano la loro attività clandestina.
La situazione, tuttavia, precipita e diversi indizi fanno presagire che per loro, come per altri civili, sia in arrivo un provvedimento di deportazione. Così il loro comandante, dalla clandestinità, fa pervenire un messaggio in cui ordina loro di abbandonare la stazione per raggiungerlo a Firenze, travestendosi da fratelli della Misericordia, una confraternita che, svolgendo assistenza sanitaria sia ai civili italiani che ai militari tedeschi, ha piena libertà di movimento e garantisce l’anonimato. I tre carabinieri eseguono l’ordine, ma è troppo tardi: i posti di blocco tedeschi ormai sono stati chiusi a tutti.
I tre decidono, allora, di rifugiarsi presso una zona archeologica nei pressi di Fiesole, luogo che offre garanzie di sicurezza e che si presta in maniera ottimale a una successiva fuga, consentendo di eludere i posti di blocco. Il comandante dei tedeschi viene informato della scomparsa dei carabinieri e convoca due funzionari del Comune, sottoponendoli a un vero e proprio interrogatorio. Dal momento che i funzionari non sanno dare alcun tipo di indicazione, lo stesso comandante, a muso duro, urla ai due che i carabinieri si devono consegnare, pena l’uccisione degli ostaggi. Uno dei due funzionari, il segretario comunale, corre subito dal vescovo, monsignor Giovanni Giorgis, e lo informò dell’accaduto. Decidono di avvertire i tre fuggiaschi. Il cancelliere della curia, monsignor Turini, sa dove si trovavano e incarica il custode della confraternita della misericordia di rintracciarli. Alle 14 del 12 agosto sono contattati direttamente da mons. Turini e dal segretario comunale Orietti che li informano del fatto che il comando tedesco, scoperta la loro fuga, ha preso 10 ostaggi civili e minaccia di fucilarli per rappresaglia se non si consegnano.
Intanto la voce si è sparsa per tutta la cittadina, che rimane è col fiato sospeso. Tutti conoscono quei militari che, nella situazione tormentata di quei giorni bui, si sono prodigati per loro. È il primo pomeriggio del 12 agosto, quando i carabinieri si recano da mons. Turini a comunicare la loro decisione. Subito dopo, percorrendo le assolate strade di Fiesole, si avviano al comando tedesco, dove subiscono un breve interrogatorio.
Verso sera, escono dal comando e sono condotti in un giardino attiguo per essere fucilati. Sono le 20.30 quando i carabinieri Marandola, Sbarretti e La Rocca rendono il loro ultimo servizio all’arma e all’Italia, che di lì a poco sarà liberata.
Questi eroici giovani, conosciuti come i martiri fiesolani, saranno ricordati da Giovanni Paolo II, nella sua visita a Fiesole nel 1986, che prega ai piedi del monumento che ricorda l’episodio: «dobbiamo grande riconoscenza a coloro che, come questi giovani, sanno offrire la propria vita per la libertà, per la pace e per la giustizia». A S. è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare.