Vassalli Fabrizio

Fabrizio Vassalli
Immagine: Gruppo delle medaglie d'oro al vm
Nome: Fabrizio
Cognome: Vassalli
Nome di battaglia: Franco Valenti
Luogo di nascita: Roma
Data di nascita: 18/10/1908
Luogo di morte: Roma
Data di morte: 24/05/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Fabrizio Vassalli nacque a Roma il 18 ottobre 1908 da Arturo Vassalli e Bice D’Emilia. Nella città natale trascorse gli anni della sua formazione giovanile, compiendo gli studi di scuola media presso il Collegio San Giuseppe – Istituto De Merode, dei Fratelli delle scuole cristiane, sito in piazza di Spagna a Roma. Fu nel corso di questi anni trascorsi presso il collegio che V. si iscrisse all’associazione giovanile interna di Ac.

Terminate anche le scuole superiori, si iscrisse alla facoltà di Scienze economiche e commerciali dell’Università La Sapienza di Roma. Nel corso degli anni di studio presso l’ateneo romano dovette rispondere alla chiamata di leva e, nel 1930, prestò servizio militare in qualità di allievo ufficiale d’artiglieria; nel giugno dell’anno successivo, fu nominato sottotenente e assegnato al VII Reggimento di Artiglieria pesante da campagna, di stanza a Livorno. Posto in congedo, ebbe modo di riprendere il percorso accademico e, nel 1933, conseguì la laurea.

Conclusi gli studi, si avvicinò al mondo del lavoro e venne assunto dall’Azienda minerali metallici: prima venne impiegato come segretario e, successivamente, venne assegnato al settore commerciale.

Nel corso del mese di settembre del 1939, fu richiamato sotto le armi e dovette lasciare temporaneamente il posto di lavoro per assumere il grado di tenente nel XIII Corpo d’Armata che era dislocato in Sardegna. Rimase in questa occupazione fino al dicembre del 1941, anno in cui, dopo aver assunto la qualifica di capitano, venne messo a disposizione del Ministero della Marina ed ebbe quindi modo di far ritorno nella capitale. Dopo poco tempo venne però destinato al comando di una batteria contraerea e contronave che operava nell’isola di Saseno, in Albania. Raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943, decise di abbandonare in tutta fretta il reparto per non finire nelle mani della guarnigione tedesca ed essere destinato ai campi di internamento in Germania. Si diresse quindi verso Brindisi per raggiungere quello che considerava il governo legittimo operante in Italia e al suo arrivo si mise immediatamente a disposizione del Comando militare guidato dal maresciallo Pietro Badoglio. Dopo pochi giorni, fu assegnato ai Servizi informativi del comando e inquadrato nel Regio esercito che andava ricostituendosi.

Nel corso dell’ottobre successivo, decise di offrirsi volontario per una missione molto rischiosa che prevedeva di oltrepassare le linee nemiche per raggiungere Roma e consegnare al Fronte militare clandestino un cifrario utile al collegamento con il comando alleato attestato a Brindisi. Il 4 ottobre del 1943 riuscì dunque a far ritorno nella capitale e a prendere contatti con il colonnello Cordero Lanza di Montezemolo, organizzatore di uno dei primi nuclei di Resistenza nella città, con il quale si adoperò per avviare una linea di comunicazione sicura con gli alleati.

Durante la sua permanenza a Roma riuscì, rischiando personalmente la cattura a più riprese, a mettersi a capo del coordinamento di una cellula di spionaggio e sabotaggio che per diversi mesi operò tra le fila della Resistenza capitolina e che prese il nome di «Gruppo Vassalli».

Nelle carte del processo del tribunale tedesco contro V. venne segnalato come egli, muovendosi nella clandestinità, decise di assumere «dal mese di novembre 1943 il nome di Franco Valenti» e «si procacciò anche dei documenti personali con tal nome», riuscendo a stringere solidi rapporti con la rete informativa di Franco Malfatti, che faceva capo all’organizzazione militare partigiana socialista delle Brigate Matteotti, guidata da Giuliano Vassalli, cugino di V. Nello stesso processo così venne descritta l’organizzazione guidata da V.: «Dalla fine del 1943 si trova a Roma una organizzazione spionistica molto ramificata che lavora per il governo Badoglio e per i nemici della Germania. […] Capo di un gruppo dipendente è l’imputato Vassalli. Questi raccoglieva dai suoi incaricati informazioni sui movimenti di truppe e di mezzi di trasporto per le diverse strade di Roma, su depositi carburanti, sugli effetti dei bombardamenti nemici etc.».

Fu proprio questa continua ricerca di notizie utili all’attività partigiana e alleata che attirò su V. le attenzioni delle forze di occupazione tedesche che, il 13 marzo del 1944, riuscirono ad arrestarlo mentre si trovava nel Centro di informazioni sito in via del Babuino e, insieme al pittore Giordano Bruno Ferrari, a condurlo nel carcere romano di Regina Coeli. Nella scheda matricolare che venne compilata lo stesso giorno al momento del suo arrivo nel luogo di detenzione, redatta con il falso nome di Valenti Fabrizio segnato nei suoi documenti, vi fu apposto come motivo dell’arresto «spionaggio» e fu inoltre espressamente sottolineato che sarebbe stato preso in consegna dalla sezione di controspionaggio tedesca per gli accertamenti dovuti.

Per i successivi due mesi V. venne fatto oggetto di duri interrogatori e atroci sevizie da parte dei carcerieri tedeschi, allo scopo di estorcergli informazioni utili per l’individuazione della cellula clandestina di informatori e per conoscere nomi e luoghi di rifugio dei partigiani operanti a Roma. Nel suo fascicolo personale del carcere Regina Coeli vennero segnati solamente gli interrogatori condotti dalla sezione controspionaggio, datati 1° e 3 aprile del 1944. Visto l’ostinato silenzio dietro al quale si trincerò, le indagini si fecero sempre più pressanti e portarono alla cattura di sua moglie, Amelia Vittucci, e di altre cinque persone che facevano parte del gruppo di informatori dello stesso V. Sottoposti a diverse torture e a un sommario processo tenuto il 27 aprile del 1944 dal tribunale tedesco di Roma, guidato, in funzioni di presidente, dal consigliere del tribunale tedesco di guerra Reineke, il 29 aprile del 1944 tutto il gruppo ricevette la sentenza di condanna a morte. Nella motivazione redatta dal tribunale, che affermava di operare «in nome del popolo tedesco» e condannava a morte gli imputati, si legge che gli imputati V. e Corrado Vinci furono condannati «anche per possesso di apparecchi radiotrasmittenti». Inoltre, «tutti gli imputati hanno segretamente reperito, in zona di guerra delle forze armate tedesche, notizie per comunicarle al nemico. Si sono resi colpevoli perciò di spionaggio».

Il 24 maggio 1944 V. e altri cinque compagni vennero condotti a Forte Bravetta, struttura fortificata situata nella periferia occidentale di Roma che fu teatro di diverse esecuzioni di condanna a morte di uomini appartenenti alla Resistenza della capitale. Posto davanti al plotone e prima di essere raggiunto dalla scarica di mitra che lo lasciò esanime a terra ebbe modo di gridare: «Viva l’Italia!». Nelle ore precedenti alla sua esecuzione, come risulta dalla scheda matricolare del carcere, V. fu condotto al braccio italiano di Regina Coeli, dove gli venne concesso di scrivere due lettere. In quella indirizzata alla moglie rinnovò per l’ultima volta la speranza di aver contribuito a liberare l’Italia dall’occupazione tedesca, affermando come la sua unica fonte di preoccupazione in quel difficile momento era di morire col rimpianto «di non aver visto i nostri entrare a Roma». Nella seconda, che aveva come destinatari i suoi genitori, li invitò a pensare «che tanti sono morti per la Patria ed io sono uno di quelli. La mia coscienza è a posto: ho fatto tutto il mio dovere e ne sono fiero. Questo deve essere per voi vero conforto». Li invitò poi a non preoccuparsi «per il cadavere od altro. Dove mi buttano mi buttano. Quando potrete mettete l’inserzione sui giornali». Anticipando quello che fu il suo ultimo pensiero davanti al plotone di esecuzione, terminò la missiva con un deciso «Viva l’Italia».

Alla memoria di V. è stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare, con la qualifica di capitano di complemento di Artiglieria contraerea e partigiano combattente, con la seguente motivazione: «Dopo l’armistizio, dalla Dalmazia raggiungeva, con mezzi di fortuna, un porto nazionale, e quivi giunto si offriva immediatamente come volontario per una rischiosa missione in territorio controllato dai tedeschi. Superando difficoltà e pericoli di ogni genere, riusciva ad attraversare le linee avversarie ed a raggiungere la Capitale. Con operosa e sagace attività collaborava, per oltre cinque mesi, al servizio informativo ed al movimento patriota romano, fornendo preziose informazioni operative al Comando Supremo italiano ed alleato. Arrestato dalle autorità tedesche e sottoposto alle più inumane torture manteneva il più assoluto segreto circa il movimento informativo e patriota della zona, salvando così l’organizzazione e la vita dei propri collaboratori. Dopo circa due mesi di carcere, veniva barbaramente trucidato dalla sbirraglia tedesca, mentre gli eserciti alleati giungevano alle porte della Città Eterna. Con il suo esempio animatore ed il sublime sacrificio della vita, manteneva viva nei patrioti la volontà di resistenza e la fede nella rinascita della Patria. Roma, 24 maggio 1944».

Onorificenze

Dopo l’armistizio, dalla Dalmazia raggiungeva, con mezzi di fortuna, un porto nazionale, e quivi giunto si offriva immediatamente come volontario per una rischiosa missione in territorio controllato dai tedeschi. Superando difficoltà e pericoli di ogni genere, riusciva ad attraversare le linee avversarie ed a raggiungere la Capitale. Con operosa e sagace attività collaborava, per oltre cinque mesi, al servizio informativo ed al movimento patriota romano, fornendo preziose informazioni operative al Comando Supremo italiano ed alleato. Arrestato dalle autorità tedesche e sottoposto alle più inumane torture manteneva il più assoluto segreto circa il movimento informativo e patriota della zona, salvando così l’organizzazione e la vita dei propri collaboratori. Dopo circa due mesi di carcere, veniva barbaramente trucidato dalla sbirraglia tedesca, mentre gli eserciti alleati giungevano alle porte della Città Eterna. Con il suo esempio animatore ed il sublime sacrificio della vita, manteneva viva nei patrioti la volontà di resistenza e la fede nella rinascita della Patria. Roma, 24 maggio 1944.

Fonti e bibliografia

  • MslRo, Archivio istituzionale, Carte tedesche, b. 28, fasc. 8; Schede matricolari Regina Coeli, b. 28, d. 14; Fondo Giuseppe Dosi, Operazione via Tasso, b. b1.
  • Insmli, Fondo Malvezzi Piero, Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana e europea, b. 7 fasc. 13.
  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.
  • Eugenia Latini (a cura di), I martiri di Forte Bravetta, Anfim, Roma 2006, pp. 20, 47.
  • Giuliano Vassalli, Per comprendere meglio, in F. Von Hassell, I figli strappati. 1932-1945: dall’ambasciati di Roma ai Lager nazisti, Edizioni dell’Altana, Roma 2000.

Hanno fatto parte di Gioventù italiana di Azione cattolica anche:

ISACEM – Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
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