Ferruccio Pizzigoni nacque a Milano il 7 maggio 1919, primogenito di cinque figli. Il padre Pericle, ingegnere e facoltoso imprenditore, fu impegnato come colonnello d’artiglieria durante la Prima guerra mondiale.
Trasferitosi con la famiglia a Moncalieri, nel comune piemontese P. ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi. Ammesso al Real collegio Carlo Alberto di Moncalieri, istituto nato nel 1838 per volontà regia e affidato alla direzione dei Barnabiti, si inserì nell’associazione interna della Giac «Veritas et vita», dove, tra l’altro, conobbe Felice Cordero di Pamparato, al tempo vicepresidente del circolo, che poi sarebbe stato attivo nel movimento resistenziale piemontese ricevendo la medaglia d’oro al valor militare. Terminato il percorso di studi superiori, conseguì la maturità classica e si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria industriale al Politecnico di Milano.
Nel luglio del 1939, trascorsi solo pochi mesi di università, dovette sospendere gli studi per assolvere gli obblighi di leva e svolgere il servizio militare. Dopo aver superato il corso allievi ufficiali a Brà, nel giugno del 1940 venne nominato sottotenente e destinato al fronte alpino occidentale, dove prese parte alle operazioni belliche con la 10ª batteria del gruppo d’artiglieria Mondovì. Nel novembre 1941 si vide assegnato al 24° raggruppamento d’artiglieria Guardia di frontiera e, infine, nel dicembre successivo venne messo a disposizione del Ministero della Marina militare e assegnato al comando della difesa marittima di Lero, isola dell’Egeo nell’arcipelago del Dodecaneso.
In questa destinazione venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile che poneva fine alle ostilità con gli angloamericani. Dovendo constatare l’ambiguità di direttive provenienti dai comandi militari italiani, in particolar modo per quanto riguardava il delicato nodo circa l’atteggiamento da tenere davanti all’ex alleato germanico, P. incitò i suoi uomini a rimanere in reparto e a non cedere le armi di fronte alla veemente reazione tedesca che avrebbe condotto al tentativo di occupazione dei capisaldi presenti sull’isola.
Serrati i ranghi nel tentativo di resistenza al nemico, la sua batteria d’artiglieria antinave non cedette per diverse settimane. Il 12 novembre la base venne fatta oggetto di un attacco in forze da parte delle unità navali tedesche e, successivamente, stretta d’assedio al fine di indurre alla resa i reparti italiani. Nel duro combattimento che seguì lo sbarco degli uomini della Wehrmacht, P. diresse in prima persona le operazioni di opposizione al nemico. Pur rimasto lievemente ferito durante uno scontro a fuoco ingaggiato con i tedeschi sbarcati sulle coste dell’isola, egli non volle lasciare la linea e si prodigò nello sforzo di difendere fino all’ultimo il presidio.
Quando fu chiara l’impossibilità di arginare ulteriormente l’avanzata dei militi nazisti a causa dell’imminente fine delle munizioni, P. decise di far saltare i cannoni a lui affidati per non lasciarli ancora efficienti nelle loro mani. Raggiunto dalle avanguardie nemiche, fu catturato e si fece immediatamente riconoscere nella sua qualità di ufficiale, al fine di richiedere per i suoi uomini il trattamento assicurato ai prigionieri di guerra. Prima di ricevere qualsivoglia assicurazione, però, P. venne raggiunto da una scarica di mitra che lo lasciò esanime a terra.
Il fratello minore Bruno, partigiano, fu catturato dai tedeschi e deportato nel campo di concentramento di Mauthausen da dove uscì solamente al termine della guerra.
Al termine della guerra, in memoria del suo sacrificio, il Politecnico di Milano gli conferì la laurea ad honorem in Ingegneria industriale. Il 22 marzo del 1954 gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente d’artiglieria del 24° raggruppamento artiglieria e la seguente motivazione: «Ufficiale in sottordine di batteria antinave in base insulare d’oltremare stretta d’assedio da preponderanti forze germaniche, piazzata una mitragliera sui resti di un cannone distrutto della batteria, effettuava personalmente efficacissimo fuoco contro aerei attaccanti in picchiata. Avvenuto lo sbarco nemico, incurante del fuoco dei mortai e dei persistenti attacchi aerei a volo radente ed in picchiata, iniziava e continuava il fuoco dei cannoni, riuscendo per due volte a colpire e costringere a riprendere il largo navi e mezzi nemici da sbarco. Rimasto ferito, con un solo marinaio superstite fra gli armamenti decimati, proseguiva il fuoco con due pezzi, caricando e puntando lui stesso un cannone fino al giungere dei rinforzi e prodigandosi oltre il limite della sua energia per soccorrere i feriti. Caduto esausto e rianimatosi dopo breve pausa, riprendeva con indomito ardore l’aspra lotta, finché, sopraffatto in lunghe ore di combattimento l’eroico presidio, faceva saltare i cannoni rimasti efficienti. Catturato dal nemico, ben consapevole delle feroci rappresaglie e pure avendo la possibilità di sfuggirle rimanendo nei ranghi dei semplici soldati, denunciava il suo stato di ufficiale, non esteriormente visibile, per seguire la sorte dei colleghi. Trucidato, cadeva confermando nell’estremo sacrificio mirabili virtù militari e sublime dedizione al dovere. Lero (Egeo), 12 novembre 1943».