Gian Attilio Dalla Bona nacque a Sant’Anna d’Alfaedo, piccolo comune in provincia di Verona, il 25 marzo del 1918 da Emanuele, che esercitava la professione di medico, e Irma Salvetti. Trascorse i suoi anni giovanili nel paese natale dove, nel corso del tempo, ebbe modo di attendere agli studi elementari e medi mentre per il periodo liceale dovette spostarsi a Verona. Ottenuto il diploma di maturità, seguendo un’antica tradizione familiare, D. si iscrisse alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Padova dove, terminati con profitto tutti gli esami, si laureò nel 1942. Nel corso del periodo trascorso nella città fu socio del circolo Fuci presente nell’ateneo.
Dal maggio all’agosto 1943 frequentò il corso allievi ufficiali medici di complemento presso la Scuola di sanità di Firenze e, ottenuta la nomina a sottotenente, venne trasferito in servizio presso l’ospedale civile di Verona in attesa di destinazione. Fu proprio in questo contesto che D. venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e dalla successiva firma dell’armistizio di Cassibile. Pur nei disagi causati dall’occupazione tedesca e dalla successiva nascita della Repubblica di Salò, egli decise di rimanere al suo posto e di continuare a occuparsi dei pazienti che affollavano l’ospedale fino a quando, nel giugno del 1944, gli venne notificato l’ordine di reclutamento tra le fila dell’esercito della Rsi. Dopo aver a lungo ragionato sul da farsi, scelse di non rispondere al richiamo alle armi e rifugiarsi sui monti del Veronese dove, con il nome di battaglia di «dottor Gian», esercitò la professione di medico nella divisione partigiana Pasubio, aggregandosi al battaglione Danton guidato da Giuseppe Marozin «Vero», e impegnandosi a più riprese per organizzare e coordinare basi di soccorso e assistenza dei feriti che faceva predisporre nei pressi di caverne e rifugi nelle località in cui operava la formazione.
Quando la banda di Marozin venne sciolta, D. decise di raggiungere la brigata Stella, inquadrata nella divisione garibaldina Ateo Garemi, operante nelle valli dell’alto Vicentino. Durante tutto l’inverno del 1944 si divise tra il ruolo di medico, che svolgeva sia in favore dei compagni che per i civili che ne avevano bisogno, e quello di partigiano combattente, distinguendosi in particolar modo nelle battaglie contro le truppe nazifasciste che ingaggiarono il suo gruppo nei pressi di Durlo e di Vestenanova, dove rimase anche ferito nel corso di un duro scontro a fuoco.
Il 22 febbraio del 1945, mentre l’alto Vicentino venne fatto oggetto di un massiccio rastrellamento da parte dei reparti tedeschi e fascisti, D. venne richiamato in località Zuccante di Rovegliana, presso Recoaro Terme, per assistere un bambino malato di difterite che, trovandosi in una malga isolata, non poteva ricevere assistenza. Mentre era impegnato nel suo compito, però, venne raggiunto da una pattuglia di brigatisti neri della valle dell’Agno che, riconosciutolo come il medico dei partigiani operanti nella zona, lo percossero ripetutamente per poi condurlo al comando militare della brigata stanziato nel centro di Recoaro.
Nel luogo di detenzione, sotto gli ordini del comandante Emilio Tomasi, fu sottoposto a un duro interrogatorio e fatto oggetto di torture e sevizie per ventisei ore consecutive per indurlo a confessare di far parte del movimento resistenziale e per costringerlo a rivelare informazioni utili all’identificazione dei compagni. Trincerato dietro a un ostinato silenzio, D. venne preso in consegna dal brigatista Giovanni Visonà – il quale, come ufficiale della IV compagnia Antonio Turcato della 22ª brigata nera di Vicenza, fu successivamente ucciso dai partigiani della brigata Stella nello stesso luogo dove decretò la fine della vita di D. – che si incaricò della sua esecuzione. Il 23 febbraio, senza aver ricevuto regolare processo, il giovane medico fu condotto a forza nella valletta denominata Facchini Sinistra e trucidato a raffiche di mitra da due giovanissimi militi fascisti. Nel rapporto steso dall’ufficiale responsabile dell’operazione, per giustificare l’esecuzione sommaria, fu segnalato un falso tentativo di fuga di D. che avrebbe indotto la pattuglia a procedere alla fucilazione sul posto.
Al termine della guerra, alla sua memoria fu intitolato l’ospedale militare di Verona. Nel 1953, con una nota nella «Gazzetta ufficiale» del 7 maggio, gli venne anche decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente medico di complemento con la seguente motivazione: «Dopo l’armistizio, studente di medicina, esercitava attività di medico presso formazioni partigiane, fornendo, in difficili circostanze, belle prove di coraggio e particolarmente distinguendosi nel combattimento di Durlo ed in quello di Vestenanuova dove, benché seriamente ferito, continuava con nobile abnegazione a prodigarsi nelle cure dei compagni colpiti. Nell’esercizio della sua missione cadeva in mani nemiche. Lungamente interrogato ed atrocemente torturato manteneva contegno fiero ed esemplare nulla rivelando che potesse compromettere i compagni. Barbaramente trucidato, cadeva da forte nel nome d’Italia e della libertà. Zone di Verona e di Vicenza, giugno 1944 – febbraio 1945».