Antonio Ferrari nacque il 19 gennaio del 1925 a Modena da Mario e Teresa Silingardi. Orfano di padre dai primi anni della giovinezza, dopo aver atteso agli studi elementari e medi si iscrisse al liceo classico Ludovico Antonio Muratori della città natale. Attivo fin da giovane negli ambienti della Gioventù italiana di Azione cattolica della parrocchia del Duomo, durante il periodo liceale ebbe modo di maturare le proprie convinzioni avverse all’ideologia fascista. Iscrittosi alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Modena, per contribuire alle modeste finanze familiari e per mantenersi agli studi collaborò in qualità di correttore di bozze alla testata locale «La Gazzetta dell’Emilia» dove, nel corso del tempo, entrò in contatto con gli ambienti operai e con la propaganda clandestina del Partito comunista, grazie soprattutto all’amicizia con Luigi Benedetti, futuro commissario politico della divisione Modena montagna col nome di battaglia di «Secondo».
Raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, quindi, da quella dell’armistizio di Cassibile con il quale si poneva fine alle ostilità con gli angloamericani, nelle settimane successive all’8 settembre F. prese immediati contatti con i responsabili del neonato comitato promosso dai partiti antifascisti, diretto dall’azionista Arturo Anderlini, che fin dalla nascita si era occupato del salvataggio dei militari alleati fuggiti dai campi di prigionia italiani. Potendo vantare una buona conoscenza della lingua inglese, francese e, soprattutto, tedesca, il giovane modenese riuscì a ritagliarsi un ruolo importante nel comitato e si rivelò fondamentale per tenere i contatti con diversi militari nascosti, occupandosi del loro trasferimento in case sicure o in altri luoghi fuori provincia.
A seguito della cattura e della condanna a morte di Anderlini, che sarebbe stato poi fucilato il 22 febbraio del 1944, F. dovette sospendere la sua attività, allontanandosi da Modena per tentare di superare la linea del fronte e raggiungere l’Italia liberata. Fatto prigioniero dai tedeschi e posto in stato di arresto, venne condotto nel carcere di Sora, in provincia di Frosinone, e rinchiuso nel braccio politico. Durante i disordini dovuti a un bombardamento alleato, però, riuscì a evadere e far ritorno a Modena. Qui, nel corso del mese di maggio, decise di raggiungere i partigiani nella zona di Montefiorino, entrando nella formazione comandata da Ermanno Gorrieri (nome di battaglia «Claudio»).
Dopo che i tedeschi, con l’operazione Wallenstein III condotta nel periodo compreso tra il 30 luglio e il 7 agosto del 1944, riuscirono a provocare il crollo della Repubblica di Montefiorino, F. fu costretto a spostarsi nel territorio della valle del Panaro, entrando nella brigata Selvino Folloni, guidata da Adolfo Bambini «Toscano». Catturato nel corso di un combattimento il 17 agosto 1944, venne rinchiuso con altri sei compagni nella struttura Villa Santi a Campiglio, nel comune di Vignola, per essere processato per la sua attività partigiana. Sottoposto a diversi interrogatori e a violente torture per fargli rivelare i nomi dei compagni e la composizione delle bande operanti nella zona, il giovane confermò a più riprese la volontà di non rivelare alcuna informazione che potesse risultare utile ai suoi aguzzini. Trincerato dietro un ostinato silenzio, il 25 agosto successivo venne prelevato dal luogo di detenzione e, condotto in località Ospitaletto di Marano, fucilato per rappresaglia.
Dopo la sua morte la 27ª brigata della divisione partigiana Modena assunse il suo nome. Nel dopoguerra, alla sua memoria, venne intitolata la sezione del Pci di Modena e l’Università della stessa città gli assegnò la laurea Honoris causa in Medicina e chirurgia.