Nato nel 1907 a Carpi, dove il padre Tobia e la madre Maria Bertacchini si erano trasferiti dal Trentino per aprire una ferramenta, nel 1924 fu designato segretario della Federazione della Gioventù cattolica della diocesi di Carpi. In questa veste, fu coinvolto nell’«Opera Realina», un sodalizio attorno a cui furono attratte alcune attività sorte nell’alveo dell’associazione, che diviene anche il centro gravitazionale di nuove iniziative (schola cantorum, filodrammatica, doposcuola, sezione ginnastica, tipografia, scuola operaia di arti e mestieri, Unione studenti cattolici, Unione giovani cattolici operai). L’istituzione fu sciolta nel 1927 per il «contrasto dal punto di vista organizzativo» tra i fondatori Zeno Saltini e don Armando Benatti, per l’indebitamento finanziario, ma anche per l’ostilità aperta delle autorità del regime. Anche «L’Aspirante», il periodico fondato per gli adolescenti della Gioventù cattolica nel 1924, dopo essere assurto a foglio di collegamento regionale, divenne la rivista ufficiale per la fascia di età a livello centrale. Dopo la chiusura dell’«Opera Realina», F. fu nominato presidente della Federazione della Sgci, che mantenne impermeabile all’assorbimento passivo nelle maglie del totalitarismo fascista, in simbiosi con l’atteggiamento tenuto dal vescovo di Carpi Giovanni Pranzini. La concorrenzialità crescente con le organizzazioni giovanili del regime portò allo scontro del maggio del 1931, con lo scioglimento d’autorità dei circoli cattolici. La ferma reazione di F., che si adoperò per salvare i simboli dell’identità associativa nelle realtà periferiche, rimase una testimonianza ideale priva di effetti. In seguito al chiarimento del settembre successivo i circoli furono riaperti sotto un più stretto controllo dell’autorità ecclesiastica. F., dopo essersi speso per riassestare l’impalcatura dell’associazione scossa dallo scontro, nel 1933 divenne presidente diocesano dell’Unione uomini. Nel 1930 aveva sposato Maria Marchesi, con la quale ebbe sette figli. Nominato nel 1936 presidente della Giunta diocesana dell’Ac, quando nel 1938 scoppiò la «battaglia dei distintivi», invocò dai vertici centrali dell’associazione la difesa integrale della natura del “compromesso” del 1931, per non mettere a «grave rischio povera gente che resiste credendo di adempiere ad un preciso dovere». La richiesta fu superata dalle disposizioni locali emanate dal vescovo Carlo De Ferrari, che non volle incrinare i rapporti con il regime. L’anno successivo, in seguito al cambiamento dello Statuto che sospese la responsabilità laicale dell’associazione, F. fu costretto a rassegnare le dimissioni. Convinto sostenitore della stampa come mezzo di diffusione dell’ideale evangelico, intensificò la collaborazione con l’«Osservatore Romano» e soprattutto con «L’Avvenire d’Italia» di Bologna, di cui divenne segretario amministrativo, affiancando a questo incarico prestato gratuitamente la professione di agente della Cattolica Assicurazioni, svolta a partire dal 1934 presso l’agenzia di Modena, nella quale era stato assunto, abbandonando l’attività del padre. Nel 1942, su sollecitazione del direttore del quotidiano bolognese Raimondo Manzini, F. aiutò alcuni ebrei provenienti dalla Polonia. Alla caduta del fascismo, fu attivamente coinvolto nella rete di relazioni per sostenere il radicamento della Democrazia cristiana in Emilia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, F. si attivò per sottrarre i soldati italiani e gli alleati fuggiti dai campi di prigionia all’arresto. L’intensa opera in favore degli ebrei assunse ritmi frenetici con l’avvio anche in Italia della soluzione finale. Con il sostegno di don Dante Sala e di altri collaboratori, si prodigò per procurare una via di salvezza, riuscendo a far passare in Svizzera più di cento persone. L’11 marzo 1944 fu arrestato all’ospedale di Carpi, mentre sta organizzando la fuga ad un ebreo. Condotto al carcere di S. Giovanni in Monte a Bologna, fu poi destinato ai campi di concentramento prima di Fossoli e poi di Gries. Quindi, nel settembre 1944, fu deportato in Germania nel campo di Flossenbürg, per poi essere spostato nel sottocampo di Hersbruck, dove una grave forma di setticemia lo condusse alla morte, probabilmente il 27 dicembre 1944. Dopo essere stato insignito della medaglia d’oro dell’Unione delle comunità israelitiche di Milano nel 1955 alla memoria, nel 1969 fu riconosciuto del titolo di «giusto fra le nazioni» dallo Yad Vashem.
Il 12 febbraio del 1996 la diocesi di Carpi ottenne il nulla osta dalla Santa Sede al processo diocesano per indagare se la morte di F. potesse considerarsi come martirio. L’inchiesta, ufficialmente aperta il 30 marzo seguente, si concluse il 5 giugno 1998. La Positio super martyrio fu consegnata nel 2003, per essere esaminata dai consultori teologi e, successivamente, dalla Congregazione delle cause dei santi. Il 10 maggio 2012 papa Benedetto XVI firmò il decreto che lo riconobbe come martire in odio alla fede e il 15 giugno del 2013 F. fu beatificato durante la celebrazione presieduta a Carpi dal cardinale Angelo Amato.
Il 25 aprile 2007, in una solenne cerimonia all’Altare della Patria a Roma, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano consegnò la medaglia d’oro al merito civile alla sua memoria con la seguente motivazione: «Di elevatissime qualità umane e civili, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con eroico coraggio e preclara virtù civica, promosse la costruzione di una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ad un gran numero di ebrei italiani e stranieri, riuscendo a salvarli dalla persecuzione nazista. Arrestato, veniva internato nel campo di concentramento di Fossoli e successivamente deportato nel campo di Hersbruck, dove moriva di stenti e di setticemia. Fulgido esempio di coerenza, di senso di abnegazione e di rigore morale fondato sui più alti valori cristiani e di umana solidarietà. 1942-1944».