Zaccaria Negroni nacque a Marino, in provincia di Roma, il 17 febbraio 1899 da Tito, facoltoso imprenditore agricolo, e Giuseppina Paglia. Primo di tre fratelli, trascorse i suoi anni giovanili nel paese natale dove frequentò le scuole elementari statali. Successivamente si iscrisse alla scuola tecnica «Leonardo da Vinci» della capitale dove, nel 1916, completò gli studi e conseguì il diploma di perito. Rompendo la tradizione familiare, che vedeva i Negroni da lungo tempo dediti alla cura dei campi in loro possesso, egli decise di iscriversi alla facoltà di Ingegneria al Politecnico di Torino, ricevendo la benedizione dal padre che ben accolse la voglia di N. di elevare il proprio stato sociale attraverso uno studio che gli aprisse nuove opportunità professionali.
Nel 1917, dopo aver brillantemente superato tre esami universitari, fu costretto a interrompere gli studi perché venne chiamato sotto le armi a causa del richiamo anticipato della sua classe di leva, dovuto alla gravissima disfatta subita dall’esercito italiano a Caporetto. Dunque, dopo aver frequentato il corso accelerato per allievi ufficiali con specializzazione Genio, si vide assegnato alla guida di un plotone di genieri e inviato al fronte, in provincia di Treviso.
Terminata la guerra fece ritorno nel paese natale, divenendo ben presto, nonostante la giovanissima età, il presidente del locale circolo dell’associazione di reduci della Grande guerra. In questa veste, negli anni successivi al suo rientro, rifiutò più volte lusinghe e pressioni proveniente dal neonato movimento dei Fasci di combattimento che, anche nella zona dei Castelli Romani, vedeva nella categoria dei reduci un buon bacino di consenso per il consolidamento nelle periferie della capitale.
Visto il suo attivismo in ambito locale, il parroco di Marino, mons. Guglielmo Grassi, decise di nominarlo anche presidente del circolo giovanile di Azione cattolica denominato «Religione e patria». Accettato l’incarico, N. si spese con sempre maggior determinazione a favore dell’associazionismo cattolico tanto che, tornato a Torino, dal 1919 al 1923 divenne socio del circolo universitario «Cesare Balbo» e, nello stesso periodo, di quello della Gioventù cattolica del capoluogo piemontese intitolato al “capitano santo” «Guido Negri». Durante questo suo soggiorno, inoltre, si inserì tra le fila della Conferenza di San Vincenzo e durante le periodiche visite ai poveri ebbe la possibilità di conoscere e dividere il suo servizio con Pier Giorgio Frassati.
Nel 1920, visto il fermento nel contesto politico nazionale, decise di iscriversi al Ppi, sostenendone attività e programmi e, in un secondo momento, schierandosi tenacemente contro qualsiasi avvicinamento o apertura al Pnf.
Il 23 dicembre 1923 conseguì la laurea in Ingegneria e decise di far ritorno a Marino. Fu in questi anni trascorsi nel suo paese natale che intensificò la sua collaborazione tra le fila dell’Ac. Infatti, al termine dell’assemblea generale del 1928, in cui venne ratificato il passaggio di consegne tra Camillo Corsanego e Angelo Raffaele Jervolino, N. fu scelto dal Consiglio superiore della Giac nella carica di delegato nazionale Aspiranti e vi rimase fino al 1945. Nel suo impegno verso l’apostolato militante, si spese a lungo e profondamente per la fondazione dell’associazione laicale dei «Discepoli di Gesù» che, dal 1925, cominciò la sua attività in diretta collaborazione con vescovi e parroci della diocesi di Albano.
L’anno successivo, visto il suo attivismo e dedizione verso l’associazionismo cattolico e le dure critiche che volle lanciare al regime durante le conferenze tenute successivamente al delitto Matteotti, venne messo sotto osservazione dagli apparati del regime e, nel dicembre 1926, dovette subire la schedatura da parte della polizia politica e la condanna dal Tribunale speciale a cinque anni di confino. Nella comunicazione redatta dal Ministero dell’Interno venne specificato che «con ordinanza 3 dicembre corrente anno della Commissione provinciale di Roma è stato assegnato al confino di polizia l’Ing. Negroni Zaccaria, perché “per i suoi precedenti, per l’attività che svolge diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti nazionali, sociali ed economici dello Stato, a menomarne la sicurezza e a contrastare ed ostacolare l’azione dei poteri, costituisce un grave pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica sicurezza”. L’assegnazione al confino è stata pronunciata per cinque anni». Ancora, in un documento della Regia prefettura di Roma destinato al Ministero dell’Interno, direzione generale della polizia di Stato, datato 27 dicembre, denunciando la sua latitanza dopo la condanna, Negroni venne descritto come gravemente «spinto da fanatismo religioso in forma quasi morbosa», che «esplica tra i giovani una attiva propaganda antifascista e antinazionale. Dotato di facile parola e di discreta cultura, ha tenuto, specie dopo il delitto Matteotti, varie conferenze nelle quali ha sempre stigmatizzato l’opera dei dirigenti del fascismo e il contegno delle Autorità tutorie ed ha cercato si svalutare l’opera ricostruttrice del Governo Nazionale, specie per l’ascendente di cui gode».
Avendo avuto la possibilità di conoscere in anticipo l’esito della sentenza, N. decise di lasciare temporaneamente la cittadina castellana per raggiungere il monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura dove, per oltre due mesi, venne ospitato dall’abate Ildefonso Schuster, futuro arcivescovo di Milano. Solo quando, grazie alla mediazione del gesuita Pietro Tacchi Venturi e del vescovo di Albano mons. Granito Pignatelli di Belmonte presso il capo del Governo Benito Mussolini, ebbe la certezza che la condanna definitiva al confino sarebbe stata commutata in diffida, decise di lasciare il luogo di rifugio per costituirsi alla Questura di Roma, vedendosi comunque trattenuto per due giorni nel carcere di Regina Coeli come pena per non essersi presentato immediatamente alle autorità.
Dovendo quindi ridurre le sue attività in ambito sociale, decise di rendere più intensa la sua collaborazione e attività nell’ambiente di Ac. Nel 1937 prese parte, insieme ad altri dirigenti e guidati dall’allora presidente della Giac Luigi Gedda, alla fondazione dell’editrice Ave e, nel corso degli anni, diede ampio contributo alla crescita del movimento aspirantistico e alla pubblicazione del periodico «L’Aspirante», dove trovarono spazio – con la sua firma o con lo pseudonimo Ambrogio Campanaro – diversi suoi articoli a carattere associativo ma anche interventi di critica sociale e di riflessione spirituale.
Dopo questo periodo di forzato allontanamento dagli impegni verso la comunità marinese, trascorse gli anni della guerra prodigandosi per tenere unite le fila dell’Ac nel territorio dei Castelli Romani e per dare supporto a quanti si trovavano a soffrire particolarmente per la durezza imposta dal regime o per la endemica penuria di beni che caratterizzò gli anni del conflitto. Quindi, alla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile, fu tra i principali protagonisti nella formazione di una prima cellula di Resistenza all’occupante nazifascista. Già il 9 settembre 1943, infatti, ebbe luogo una riunione del Cln di Marino in cui vennero poste le basi per un’azione volta a unire quanti volevano schierarsi a favore della lotta di liberazione nazionale.
L’attività del neonato gruppo fu rivolta non solo all’attuazione di atti di disturbo e sabotaggio ma, soprattutto, a sostenere tutti quei giovani che, per timore di essere deportati come forza lavoro o costretti a rispondere ai bandi emanati dalle autorità nazifasciste, cominciarono ben presto a fuoriuscire da Roma per nascondersi nelle zone periferiche della capitale. In particolar modo, N. divenne un punto di riferimento perché attraverso la tipografia “Santa Lucia” permetteva di stampare, con grande rischio personale, una serie di documenti falsi per dare modo ai renitenti alla leva e a quanti erano attivamente ricercati dagli apparati predisposti dagli occupanti di non essere riconosciuti e catturati. Tra i tanti che ricevettero il suo aiuto nel procurarsi carte d’identità fittizie ci furono anche due futuri protagonisti della politica repubblicana come Giuseppe Romita e Achille Grandi. Oltre a questa fervente attività, alla figura di N. è legato il controverso episodio, avvenuto il 2 giugno 1944, del mancato sfollamento della cittadina di Marino comandato dal commissario prefettizio di Roma sotto l’ordine diretto dei tedeschi. Egli infatti, per evitare pericoli e angosce alla popolazione, preferì fingere di provvedere personalmente al rispetto dell’ordinanza disposta, salvo poi rifiutarsi di dare applicazione pratica alla necessità di sgombero per lasciare ai tanti contadini presenti nel tessuto sociale della cittadina la possibilità di provvedere alla propria sussistenza attraverso i prodotti dei propri campi.
Due giorni dopo, all’avvenuta liberazione di Roma e dei Castelli Romani, N. venne avvicinato dal governo militare alleato che, riconosciuta la sua profonda e rischiosa attività svolta in seno al Cln locale, decise di nominarlo sindaco pro tempore di Marino anche perché, visto il prestigio ottenuto mediante la sua indefessa opera di assistenza alla popolazione, era il più adatto a ricoprire il difficile ruolo, dovendo, peraltro, evitare le violenze che si sarebbero scatenate al termine della guerra contro coloro che si erano legati in diverso modo al Pnf. Per questo motivo mantenne la carica e l’amministrazione cittadina fino al 26 gennaio 1946 quando venne sostituito dal primo sindaco regolarmente eletto da tutti i cittadini marinesi.
Anche negli anni successivi alla fine del conflitto N. non fece mancare il suo apporto all’associazionismo cattolico vedendosi eletto come presidente della Giunta di Ac della diocesi di Albano nel 1949 e venendo riconfermato in questo ruolo per sei volte, rimanendo in carica fino al 1976.
Molto attivo fu anche in ambito politico visto che nel 1953 venne eletto senatore della Repubblica nel collegio di Velletri e, nel 1958, fu deputato al Parlamento per il XIX Collegio di Roma, Viterbo, Latina e Frosinone. Si spese a più riprese per aiutare alcune categorie di lavoratori particolarmente attive nel tessuto sociale della zona dei Castelli e la sua opera venne riconosciuta con cariche prestigiose. Dal 1957 al 1966 assunse l’incarico di presidente dell’Associazione cristiana artigiani italiani e, tra il 1963 e il 1970, dell’Ente nazionale per l’artigianato e la piccola industria.
In questi anni, più precisamente dal 1967 al 1977, venne chiamato dal vescovo della diocesi di Albano ad assumere l’incarico di docente di religione cattolica presso la scuola magistrale «Mons. Grassi» di Marino e per quasi tutti gli anni Settanta ne ricoprì anche il ruolo di preside. Impegnato fino agli ultimi giorni nel suo obiettivo di promuovere una sana e più efficace educazione giovanile, N. morì nella sua città natale il 1° dicembre 1980. Su richiesta dell’Istituto dei Discepoli di Gesù, nell’ottobre del 1997 il vescovo di Albano ha aperto il processo per la sua beatificazione, che si è concluso nella fase diocesana il 21 maggio 2005.