Ezio Rizzato nacque il 27 settembre 1909 a Pressana, piccolo comune in provincia di Verona, da Serafino e Fontana Florinda. Negli anni giovanili attese agli studi elementari e medi nel paese natale dove, contestualmente, prese parte alle attività dell’oratorio locale. Trasferitosi a Milano per frequentare l’istituto tecnico Giacomo Feltrinelli, si iscrisse all’Azione cattolica entrando tra le fila della Giac della sua parrocchia. Conseguito il diploma di perito industriale, fu ammesso alla facoltà di Ingegneria dell’Università degli studi di Torino e, nel corso di questi anni, si unì al circolo Fuci presente nell’ateneo.
Richiamato, insieme alla sua classe di leva, per frequentare i corsi premilitari, nel 1937 si vide nominato sottotenente di complemento d’artiglieria e prestò servizio per un mese nel 3° reggimento artiglieria celere. Dopo aver trascorso un breve periodo di lavoro presso la sede romana della Western electric, nel 1942 fu richiamato sotto le armi e, col grado di tenente, prestò servizio a Gallarate nel 3° reggimento artiglieria. In questa occupazione R. venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile e, visto lo sbandamento del suo reparto e l’ambiguità delle direttive emanate dai comandi militari, decise di lasciare il proprio posto per non essere costretto ad arrendersi alle forze tedesche e consegnare le armi. Insieme ad alcuni commilitoni decise quindi di entrare nelle formazioni della Resistenza e, rifugiatosi sulle montagne della Val d’Ossola, costituì una piccola banda di partigiani operante nella Valle Anzasca. All’ingrossarsi delle fila del gruppo dovette, nell’inverno del 1943, prendere contatti con la divisione Valdossola comandata da Dionigi Superti, nella quale, dopo aver assunto il ruolo di aiutante maggiore, fece confluire i compagni. Di questa partecipazione attiva e immediata di R. nel movimento di liberazione nazionale è prova la scheda compilata nell’ottobre del 1945 a cura del Clnai, firmata dal colonnello Superti e dalla sorella, che, oltre a confermare il suo grado in formazione partigiana – quello di «tenente» – sottolineava come la presentazione al reparto fosse avvenuta già nel «settembre 1943» e che, fin da subito, egli si fosse rifiutato di prestare «giuramento al governo repubblicano fascista».
Nel corso della vasta opera di rastrellamento condotta nel giugno del 1944 nella zona della Val Grande e Valle Intrasca dagli uomini della SS-Polizei del 15° reggimento della Wehrmacht e da alcuni reparti di militi fascisti, R. si mise al seguito di un gruppo di partigiani della formazione Valdossola che si staccò al comando di Mario Muneghina per tentare di rompere l’accerchiamento delle forze nemiche. Durante lo scontro a fuoco che ne seguì, il giovane fu ferito e non riuscì a evitare la cattura da parte di una pattuglia tedesca che lo arrestò. Il 18 giugno 1944 fu condotto con altri compagni a Malesco e sottoposto a torture e sevizie per indurlo a rivelare informazioni utili all’individuazione dei vertici del movimento resistenziale del Verbanese. Trincerato dietro un ostinato silenzio, nulla volle svelare che potesse essere utile ai suoi aguzzini e venne dunque trasferito con altri prigionieri a Intra e rinchiuso nelle cantine di Villa Caramora, sede del comando tedesco. Il giudice Liguori, suo compagno di prigionia durante queste dure giornate, lasciò di lui una testimonianza che rende ben evidente il trattamento che R. ricevette: «Ravvisai, con una fitta al cuore, che fra i partigiani catturati c’era anche il caro tenente Rizzato del Campo n. 12, l’aiutante maggiore del gruppo. Il suo bel volto, di un ovale perfetto, dagli occhi già pieni di tanta luce era diventato una povera maschera intrisa di sangue, orribilmente tumefatta per le percosse ricevute. Lo riconobbi a stento. Non so se a sua volta mi abbia riconosciuto. Certo è che quando, strisciando dietro agli altri, mi avvicinai per dirgli qualche parola di conforto, egli non mi rispose. Non era più in condizioni fisiche per poterlo fare, oppure temeva di compromettermi, mettendosi a parlare con me».
Il 20 giugno del 1944, al termine di un nuovo lungo ed estenuante interrogatorio, fu prelevato insieme ad altri quarantadue detenuti e costretto a trascinarsi a piedi lungo le cittadine di Pallanza e Suna fino a Fondotoce di Verbania, seguendo due compagni di prigionia che reggevano un cartello che recitava: «Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono banditi?». Raggiunto il luogo preposto all’esecuzione dei prigionieri, R. subì la fucilazione per mano di un plotone di militi tedeschi.
Al termine del secondo conflitto mondiale, l’Università degli studi di Torino conferì a R. la laurea honoris causa in Ingegneria alla memoria. Con una nota nella «Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana» del 22 luglio 1949, inoltre, gli venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di tenente di complemento di artiglieria e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Fiero incitatore alla rivolta contro l’oppressore, inquadratosi in una formazione partigiana, partecipava a numerose azioni dando prove continue di valore e di ardimento. Menomato fisicamente in seguito a caduta in un burrone durante l’allestimento a lui affidato di un campo di aviolanci in terreno impervio di montagna, non volle abbandonare la lotta e, alla testa del proprio reparto, partecipava, primo fra i primi, a tutte le azioni dando sublime prova di valore. Durante una potente azione offensiva nemica, avente per obiettivo la eliminazione della formazione Valdossola, allo scopo di salvare da sicura cattura i partigiani feriti, si impegnava in cruenti scontri. Ferito, veniva fatto prigioniero e non gli furono risparmiate le torture ed i martirii che ridussero il suo corpo una massa di sanguinante e dolorante carne. Trascinato al supplizio, prima di esalare lo spirito indomito, attingeva dalla sua ardente passione ancora la forza di scoprirsi il petto e gridare: “Viva l’Italia libera”. Val Grande – Fondotoce, settembre 1943 – giugno 1944».