Laura Bianchini nacque il 23 agosto 1903 a Castenedolo, in provincia di Brescia, da Domenico e Caterina Arici, in una famiglia di modeste condizioni. Dopo un’iniziale formazione magistrale, completò il suo percorso presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si laureò in Filosofia (1928) e in Pedagogia, discutendo nel 1932 con Paolo Rotta una tesi su La Natura nell’estetica idealista e nell’estetica cristiana. Si dedicò prima all’insegnamento elementare, poi alla docenza di filosofia e storia all’istituto magistrale di Brescia (del quale fu anche preside) e al liceo classico.
Risale a quel periodo giovanile l’avvio della militanza nell’associazionismo cattolico: dalla Gioventù femminile di Azione cattolica, alla Fuci (nella quale fu presidente del Circolo femminile per sette anni), al Movimento laureati (che presiedette a livello diocesano): erano gli anni tra le due guerre, della difficile convivenza tra cattolici e fascismo, durante i quali si avviava la formazione religiosa, culturale e civile di quelle che sarebbero divenute, dopo il crollo del regime, le cosiddette «élite disponibili».
Punto di riferimento spirituale e luogo di incontro abituale era per i fucini bresciani l’oratorio filippino dei padri della Pace, un luogo che offriva ai giovani una formazione religiosa, culturale, ed etico-civile alternativa al totalitarismo pedagogico dello Stato educatore fascista, grazie alla presenza di figure di elevato profilo morale e intellettuale come padre Carlo Manziana e padre Giulio Bevilacqua, il quale fu tra i primi a divulgare le tesi elaborate da Jacques Maritain sulla «crisi di civiltà», ma anche a identificare il fascismo come «religione politica» e «anti-chiesa». Alla Pace B. incontrò anche padre Paolo Caresana (viceassistente centrale della Gf), che divenne suo direttore spirituale, avanzando in un percorso che l’avrebbe condotta a passare da posizioni “afasciste” a un radicale e militante antifascismo.
Dal punto di vista della crescita professionale, si deve segnalare l’assidua collaborazione con l’editrice La Scuola come redattrice della rivista per la formazione magistrale «Scuola italiana moderna», come coautrice di libri di lettura per la scuola elementare (Bontà) e di antologie per la scuola media (Il focolare), ma anche – nel dopoguerra – come vicedirettrice di «Scuola e vita», la rivista per la scuola media diretta da Mario Bendiscioli. B. collaborò anche con la casa editrice Morcelliana, fondata a Brescia nel 1925 entro il più ampio progetto montiniano di “riconciliazione” della cultura cattolica con la modernità. Traduttrice dal francese e consulente editoriale dal 1934, dal settembre del 1945 diventava attivissima tessitrice di relazioni romane con gli esponenti di spicco del mondo teologico, filosofico e culturale a sostegno della nascente rivista «Humanitas», che stava vedendo la luce proprio con lo scopo di contribuire alla rinascita etico-politica e culturale del Paese.
Maturava al contempo per questa giovane donna cattolica l’impegno per l’educazione sociale, teso a tradurre i principi evangelici nella vita sociale: al convegno di preghiera e studio del Movimento laureati Per una coscienza sociale, svoltosi a Roma dal 4 al 6 gennaio 1942, B. intervenne con una importante relazione dal titolo L’educazione al senso sociale, nella quale si soffermò sulla necessità di formare personalità critiche, che non si annullassero nel gruppo sociale: un’argomentazione che si poneva su un crinale antitotalitario e perciò, implicitamente, antifascista. È significativo poi ricordare che nel luglio del 1943 fece parte del gruppo che a Camaldoli si era trovato a riflettere sull’impegno sociale che i cattolici avrebbero dovuto assumersi dopo la caduta del fascismo e che avrebbe assunto le forme di un codice etico-politico (il noto Codice di Camaldoli) al quale si sarebbe richiamata la classe dirigente cattolica nel secondo dopoguerra. Partecipò inoltre alle iniziative dell’Istituto cattolico di attività sociali (Icas) e offrì il suo contributo attivo alla riorganizzazione delle settimane sociali dei cattolici: in quella che di Venezia nell’ottobre del 1946 tenne una relazione dal titolo Lavoro e scuola, nella quale pose la questione di «spiritualizzare l’attività lavoratrice». Fu tra gli ideatori dell’Ente nazionale per le scuole di servizio sociale, promuovendo la fondazione delle prime sei scuole superiori in sei capoluoghi regionali. Fece inoltre parte della Consulta maestri di Azione cattolica e di quella delle Settimane sociali.
Sulla scorta dell’articolato percorso di formazione spirituale, culturale ed etico-sociale percorso, nell’estate del 1943 maturò l’adesione alla Resistenza di B., che ospitò nella sua abitazione di Brescia le prime riunioni del Comitato di liberazione nazionale bresciano e la tipografia del giornale clandestino «Brescia libera». Tale scelta assunse poi una connotazione più matura e consapevole con l’adesione alle «Fiamme verdi», le formazioni partigiane apartitiche di ispirazione cristiana animate dal “ribellismo per amore” di Teresio Olivelli.
Ricercata dalla questura, per evitare l’arresto trovò rifugio a Milano in una casa per anziani (l’Istituto Palazzolo delle suore poverelle), dove ricevette dal comando generale delle Fiamme verdi l’incarico di coordinare la stampa clandestina e l’assistenza dei perseguitati politici e degli ebrei che cercavano di fuggire in Svizzera. A Milano maturarono nel frattempo i primi incarichi di B. in seno alla nascente Democrazia cristiana: nell’aprile del 1944 veniva nominata nel comitato esecutivo ristretto della Dc settentrionale, insieme a Mentasti, Marazza, Giacchi, entrando quindi nel Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai) con il mandato di organizzare i primi gruppi femminili della Dc.
Nel periodo resistenziale B. riuscì a conciliare le molteplici attività di soccorso e assistenza con l’elaborazione di una decina di articoli pubblicati sul giornale clandestino delle Fiamme verdi «Il Ribelle» (che raggiunse la tiratura di 15.000 copie), voluto da Teresio Olivelli con evidenti intenti educativi, per diffondere i fondamenti ideali del ribellismo di matrice cristiana e per far prendere coscienza della crisi morale lasciata in eredità dal fascismo.
Tra il giugno del 1944 e il febbraio del 1945 firmò dietro pseudonimo (Don Chisciotte, Penelope e Battista) una decina di articoli, dai quali emerge una straordinaria e intensissima ricchezza di motivi spirituali, unita ad una altrettanto profonda e convinta laicità. Le riflessioni apparivano rivolte a tutti coloro che avevano a cuore la ricostruzione della società italiana ed europea, a prescindere dalle fedi religiose e dalle passioni politiche. Costante è pertanto il richiamo alla scelta personale pre-politica e pre-sociale, all’assunzione di responsabilità, alla moralità e alla spiritualità, alla riforma interiore. Le atrocità della guerra erano ben presenti, ma tutti gli editoriali si inserivano in un più ampio orizzonte provvidenziale ed escatologico: erano, a tutti gli effetti, scritti “edificanti”. Erano parole tese a costruire e ricostruire laddove il fascismo-regime, ma anche la ben più pervasiva e duratura mentalità fascista, avevano portato divisione sul piano etico-morale e distruzione materiale: certo non a caso vi ricorreva frequentemente un termine come disgregazione, che riassumeva in sé un significato sociale, politico e allo stesso tempo spirituale.
Proprio ripercorrendo quegli editoriali si possono individuare gli elementi portanti di una tensione educativa interamente volta all’edificazione di una pace profonda e duratura: un impegno condiviso con gli altri democratici cattolici che – nel decennio che va dal 1943-45 al 1953-55 – avrebbero contribuito (su più fronti: politico, economico, scolastico; sul piano degli intenti così come su quello delle effettive attuazioni) alla grande opera di ricostruzione morale del paese fondata, in primo luogo, sulla necessità e l’urgenza di rieducare le coscienze, dopo il ventennale processo di dis-educazione attuato dal fascismo.
Fin dai primi interventi sul «Ribelle» identificava nella libertà, nella giustizia, nella solidarietà i fondamenti della pace, accanto ai quali poneva due questioni strettamente connesse tra loro e solo apparentemente minori: la revisione del ruolo civile degli intellettuali («responsabili di avere per vent’anni tradito la parola e guidato l’opinione pubblica fuori della strada maestra della verità») e lo smantellamento dell’edificio retorico fascista. Ma il richiamo all’assunzione di responsabilità veniva poi rivolto a tutti gli italiani ed era declinato nell’imperativo di conoscere e interpretare il proprio tempo, del quale era doveroso cogliere non solo la tragicità ma anche la provvidenzialità: una sorta di “magistero dei fatti tragici” che portava a leggere la crisi come occasione di rinnovamento.
Mentre ancora si combatteva, tra le macerie materiali e morali della guerra mondiale e della guerra civile, B. riconosceva nella pacificazione una delle questioni centrali di quel processo di ricostruzione che riteneva avviato fin dalla caduta di Mussolini. Con il rigore argomentativo che le derivava dalla formazione filosofica e con la profonda spiritualità che la contraddistingueva, cercava e tracciava così una via originale per condurre alla riforma e alla pacificazione integrale dello spirito di ciascuno e giungere così a rieducare, in prospettiva, l’intera umanità.
B. tratteggiava quindi due percorsi in interiore homine per instaurare un vero regime di pace. Da una parte vi era il ripetuto appello alla riforma interiore, all’urgenza del combattimento spirituale, dagli echi evangelici e paolini, dall’altra l’invito al disarmo interiore, alla “smobilitazione degli spiriti”, a fronte del bellicismo e della “mobilitazione permanente” che aveva investito durante il fascismo tutti gli ambiti della vita personale e sociale.
Ma il cammino che poteva condurre alla pace intersecava anche altri sentieri, quali la revisione del sistema economico fondato sul capitalismo, identificato come elemento che turba la pace in quanto si frappone alla giustizia sociale, inconciliabilmente contrapposto al cristianesimo e intimamente legato alle dittature. Uno degli ultimi articoli scritti da B. sul «Ribelle» si chiudeva infine con un interrogativo quasi profetico: «Chi può negare che non sia sospesa sul mondo una tentazione di fascismo?». Partendo dunque dalla constatazione che «vi è nel mondo una minaccia e una tentazione fascista a cui sarà impossibile sfuggire se gli uomini non ne prenderanno a tempo coscienza», ne denunciava la forma camaleontica e “carsica”: solo l’opera lenta e costante della rieducazione delle coscienze avrebbe potuto davvero eradicare definitivamente il fascismo, ponendo le basi più solide e durature della pace.
Dopo la fine della guerra, nel settembre del 1945, B. venne proposta dalla Democrazia cristiana come consultrice nazionale: la partecipazione ai lavori della Consulta nazionale (nella quale fu segretaria della Commissione istruzione e belle arti, presieduta da Concetto Marchesi) rappresentò anche per lei, così come per le altre dodici consultrici su un totale di 304 componenti, un vero e proprio “battesimo politico”: per la prima volta, nella storia dell’Italia unita, le donne presero parte a un’assemblea legislativa, sebbene ancora non elettiva.
A seguito della nomina alla Consulta, fu proprio il suo padre spirituale, il filippino padre Caresana che, nella tarda estate del 1945, le trovò un alloggio a Roma, in via della Chiesa Nuova, da due parrocchiane, le sorelle Portoghesi. Per interessamento della Bianchini si aggiunse subito anche Angela Gotelli e poi, di seguito, dopo le elezioni dell’Assemblea Costituente, tutti gli altri componenti di quella «fraternità spirituale ed etico-politica» nota come «Conventino» o «Comunità del porcellino»: Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e altri.
B. ebbe inoltre un ruolo significativo nel Movimento femminile della Dc, all’interno del quale fu responsabile per la stampa: al I Congresso romano, nel febbraio 1946, tenne una relazione sulla libertà di stampa; in marzo venne eletta nel Comitato nazionale; ne diresse poi per un periodo l’organo («Azione femminile», supplemento settimanale del «Popolo»).
Nell’aprile 1946, al I Congresso nazionale della Dc, venne eletta al Consiglio nazionale entrando nella Direzione del partito. Fu quindi candidata all’Assemblea Costituente in quanto riconosciuta esponente dell’Azione cattolica. Nell’esiguo ma, sul piano storico, estremamente significativo gruppo delle ventuno donne elette all’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946, su un totale di 556 deputati, nove appartenevano al gruppo democratico cristiano: Maria Agamben, Laura Bianchini (30.176 voti), Elsa Conci, Filomena Delli Castelli, Maria de Unterrichter, Angela Gotelli, Angela Guidi, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio. Appartenenti a tre generazioni diverse, quasi tutte provenivano dalle file della Gioventù femminile di Ac, nella quale avevano ricevuto la loro prima formazione religiosa, sviluppata poi dalle laureate anche in senso pre-politico, nell’associazionismo universitario. Tre di loro erano state infatti anche dirigenti della Fuci: Bianchini, De Unterrichter, Gotelli.
Alla Costituente, fu naturale per B. – che aderì sia a «Civitas humana» sia a «Cronache sociali» – collocarsi nella corrente cristiano sociale di Dossetti, che cercava di impegnare la Dc nella costruzione di una democrazia sostanziale, radicata nell’antifascismo e nell’impegno sociale, capace di superare i limiti della stagione liberale. Significativo fu il discorso in Assemblea generale del 21 aprile 1947, quando intervenne a favore del pluralismo scolastico ed educativo.
In vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, B. venne candidata ed eletta nel collegio elettorale di Brescia-Bergamo, con 45.628 voti, pari al 39,76% del totale di preferenze Dc. Nel primo Parlamento repubblicano fu membro della Commissione istruzione della Camera, membro della Commissione nazionale d’inchiesta per la riforma della scuola promossa dal ministro della Pubblica istruzione Guido Gonella, membro della Commissione sulla miseria.
Dopo quella prima ondata di partecipazione femminile alla vita politica vi fu una significativa regressione: tra la prima e la seconda legislatura si passò infatti da una presenza del 7,2% a una del 5,2%. Per ragioni che ancora attendono di essere delineate e chiarite, anche B. non venne più candidata dalla Dc bresciana. Lasciò definitivamente Brescia e tornò pertanto a dedicarsi per i vent’anni successivi all’insegnamento al liceo Virgilio di Roma, dove rimase a vivere (poi raggiunta dal fratello, assieme alla moglie e alla figlia) e dove si spense a ottant’anni, il 27 settembre del 1983.
Anche B. partecipò dunque, assieme a molti altri appartenenti al movimento cattolico, alla complessa ma feconda opera di transizione dalla dis-educazione fascista alla ri-educazione democratica, dalla distruzione e dalla disgregazione prodotta dai totalitarismi alla ricostruzione avviata durante la Resistenza e proseguita nel primo decennio di vita del regime democratico fondato sulla Costituzione, che di quella stagione fu e resta il frutto più maturo.