Giacomo Chilesotti nacque a Thiene, in provincia di Vicenza, il 18 luglio 1912 da Pietro Chilesotti e Maria Tomba. La sua famiglia, appartenente all’alta borghesia veneta, poteva vantare una lunga tradizione come possidenti terrieri.
C. trascorse i suoi anni giovanili nel paese natale ma, terminata la prima formazione scolastica, si trasferì a Bologna per attendere ai suoi studi superiori presso il collegio San Luigi, gestito dai padri Barnabiti. Fu nel periodo trascorso in questa città che prese parte alla vita del locale circolo Giac. Terminato il liceo, decise di iscriversi alla Facoltà di Ingegneria nell’Università di Padova, dove si laureò nel 1936 in ingegneria industriale meccanica. In questi anni, particolarmente attiva fu la sua presenza tra le fila dell’associazionismo cattolico visto il suo impegno all’interno del gruppo Fuci e al suo operato come confratello della Società di san Vincenzo de’ Paoli.
Appena terminati gli studi universitari, venne assunto in qualità di ingegnere nel cantiere genovese di riparazioni navali Ansaldo e, viste le sue qualità, fu ben presto promosso e inviato nella sede della stessa società che operava nel porto di Napoli.
Nel corso del giugno 1940, all’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, venne richiamato sotto le armi nel Regio esercito. Seppur figlio primogenito di madre vedova e dispensato dal servizio militare perché il cantiere presso cui lavorava era annoverato tra le industrie considerate ausiliarie allo sforzo bellico del paese, decise di rispondere alla chiamata e di arruolarsi. Preso servizio effettivo, si vide destinato al 4° Reggimento Genio di stanza a Bolzano, dove rimase fino al novembre del 1941. Dopo aver partecipato a un corso di addestramento speciale presso l’Istituto geografico militare a Firenze, venne promosso sergente. Con questo grado fu assegnato alla compagnia artieri del 4° Reggimento del Genio e prese quindi parte alla campagna d’Africa. Partì a fine aprile del 1942 e partecipò ai combattimenti nel fronte nordafricano per quattro mesi, periodo nel quale condivise con il suo reparto la dura battaglia che le forze italo-tedesche, al comando di Rommel, intrapresero nei pressi di El Alamein contro l’8ª Armata britannica. In agosto venne richiamato in patria e, tornato in Italia, si vide destinato al corso allievi ufficiali della scuola del Genio a Pavia.
Nel corso del giugno del 1943, dopo diverse sollecitazioni provenienti dalla ditta per la quale aveva lavorato a Napoli, venne congedato per riprendere la sua attività di ingegnere e in questa occupazione dovette assistere al crollo del regime e alla destituzione di Mussolini il 25 luglio del 1943. La notizia della firma dell’armistizio di Cassibile, invece, lo raggiunse mentre si trovava in viaggio verso la sede della ditta a Genova per la consegna di alcuni importanti documenti. Non avendo la possibilità di raggiungere il capoluogo ligure e non riuscendo a far ritorno a Napoli, decise di rifugiarsi a Thiene. Fu in questo difficile e incerto periodo che, visto lo stallo della situazione bellica italiana, C. decise di riprendere gli studi e di iscriversi al corso di laurea in elettrotecnica presso l’Università di Padova.
Nei primi mesi successivi all’8 settembre, dopo aver assistito alla nascita della Rsi, si mise in contatto con personalità legate alla Resistenza che andava organizzandosi nel vicentino. A un primo incontro avvenuto a Cittadella con Elio Rocco, suo vecchio commilitone, fece seguito quello con Angelo Rocco «Puntino». che, dotato di una radiotrasmittente fornitagli dal comando alleato, operava per conto delle forze angloamericane in una missione, denominata «Mrs», con lo scopo di ottenere informazioni sulla quantità e la dislocazione dei reparti tedeschi presenti nella zona. Inoltre, gli uomini che facevano capo a «Puntino» ebbero il difficile compito di mantenere i contatti con i diversi gruppi di partigiani che si andarono costituendo e coordinare le attività di sabotaggio e guerriglia. C., desideroso di dare il suo contributo, decise di prendere parte alle attività di questa missione. Per questo motivo si adoperò in prima persona per formare delle formazioni di partigiani che potessero offrire il loro contributo nel territorio di Thiene.
Assunto il nome di battaglia di «Nettuno», si prodigò fin da subito per incrementare le fila delle bande impegnate nelle operazioni nel vicentino e, in particolar modo nei primi mesi del 1944, si spese per il coordinamento dei gruppi della Resistenza locale. Rivestirono una grande importanza anche i preparativi per permettere ai velivoli delle forze alleate di poter effettuare gli aviolanci di materiale bellico in favore dei partigiani.
Il 2 aprile del 1944 nacque, in una sala del Collegio vescovile di Thiene messa a disposizione da mons. Antonio Zannoni, la brigata «Mazzini». A capo della neonata formazione, vista la sua costante opera di organizzatore, venne posto C.
Data gennaio 1944 un falso documento a lui intestato, seppur col falso nome di Battilana Pietro, in cui venne dichiarato che C. prestava «servizio presso la ditta Giuseppe Roi di Vicenza», definita come «ditta protetta nr. 42008 Tex». Il documento, redatto sia in italiano che in tedesco, fu particolarmente utile all’attività di C. perché sul retro vi era specificato che «la bicicletta dell’intestato non può essere requisita». Nel settembre dello stesso anno, a seguito del duro rastrellamento condotto dalle forze nazifasciste nella zona di Grandezza, in cui trovò la morte la futura medaglia d’oro di Ac Rinaldo Arnaldi, decise di assumere, in onore del suo amico, il nome di battaglia scelto da quest’ultimo, cambiando dunque «Nettuno» con «Loris».
Nel dicembre dello stesso anno la brigata «Mazzini» vide aumentare gli effettivi e divenne Gruppo Brigate «Mazzini». Nel febbraio dell’anno successivo, invece, le brigate della «Mazzini», della «Sette Comuni» e quella di «Italia Libera» si associarono, prendendo il nome di divisione partigiana «Monte Ortigara». Nel verbale di fondazione della divisione, datato 22 febbraio 1945, al punto «5 – Costituzione del comando di divisione» venne decretato che «a) Dopo ampia discussione sulla persona da scegliersi come Comandante, Ottaviano propone con calore Nettuno. Questi con unanime consenso è costretto ad accettare». C. assunse dunque la guida della formazione appena costituita dall’unione delle tre brigate.
A causa della sua attiva presenza in seno alla Resistenza venne fatto oggetto di sempre più pressanti attenzioni da parte delle forze nazifasciste, che arrivarono a emettere una sentenza di condanna di morte per impiccagione e, conseguentemente, a imporre sulla sua cattura un’ingente taglia. Questo costrinse C. a porre sempre maggior attenzione ai movimenti nel territorio vicentino e a spostarsi di frequente per non essere riconosciuto da informatori locali e segnalato alle autorità tedesche. Si spostò spesso tra i Berici, i colli di Sarcerdo e di Fara e quelli di Molvena. Ciononostante si impegnò per non far mancare mai il proprio apporto alla brigata che era stato chiamato a condurre, confermandosi come punto di riferimento per il collegamento con il comando regionale.
Nel 1945, ormai braccato, pose il proprio centro di comando nella canonica di don Luigi Pascoli, parroco di Povolaro, piccola frazione del comune di Dueville, prendendo nascondiglio nella soffitta della chiesa parrocchiale. Lo stesso don Pascoli divenne cappellano della divisione guidata da C. Pur aumentando le misure che potessero garantirgli sicurezza, C. trovò la morte nel corso delle complesse giornate che contraddistinsero la fase dell’insurrezione generale. Alle operazioni condotte dalle bande partigiane nel vicentino e nell’Italia settentrionale rispose la dilagante avanzata degli alleati che costrinse le truppe nazifasciste a una precipitosa ritirata verso il Trentino.
Fu in questo quadro che il 27 aprile, insieme ai due compagni di lotta Giovanni Carli «Ottaviano» e Attilio Andreetto «Sergio» e alla staffetta Zaira Meneghin, si apprestò a recarsi dalla cittadina di Dueville alla Longa di Schiavon per condurre le trattative di resa di un reparto italiano delle SS e per ricevere in consegna i tesori della sinagoga di Firenze che erano stati sottratti con la forza da un gruppo di nazifascisti. Nel corso del tragitto verso la loro destinazione, l’auto nella quale viaggiavano venne fermata da una pattuglia di tedeschi nei pressi di Sandrigo e, dopo rapidi e sommari controlli, furono riconosciuti come membri della Resistenza vicentina. Costretti a scendere a forza dall’automobile, vennero condotti in una stradina laterale e fucilati sul posto.
Alla memoria di C. fu decretata, il 5 febbraio 1947, la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente di complemento del Genio e partigiano combattente. La motivazione recita: «Anima ardente di patriota, ebbe larga schiera di giovani seguaci dal suo entusiasmo trascinata nella santa e cruenta lotta della liberazione della Patria. Dai Berici all’Altopiano di Asiago fu condottiero valoroso e le cinque Brigate partigiane da lui organizzate e da lui fieramente addestrate, rifulsero per indomito valore in numerose azioni di guerriglia e sabotaggio. Durante le radiose giornate insurrezionali si infiltrava arditamente fra le colonne tedesche portando lo scompiglio nelle file nemiche. Catturato e condannato alla fucilazione, affrontava con eroico stoicismo il plotone di esecuzione e le sue ultime parole furono di incitamento ai compagni a perseverare nella lotta. All’alba dell’agognata vittoria il piombo nemico stroncava la sua eroica esistenza. Fulgido esempio di coraggio, di mirabile forza d’animo e di combattente. Sandrigo, 28 aprile 1945».
L’11 giugno 1947 gli fu conferita dall’Università di Padova la laurea ad honorem in Ingegneria.