Antonio Di Dio nacque a Palermo il 17 marzo 1922 da Arcangelo Di Dio e Adele Cala, fratello minore di Alfredo, che condivise con lui gli anni di formazione giovanile e l’esperienza resistenziale nella divisione «Valtoce». Al seguito della famiglia, trasferitasi a Cremona nel 1927 per la promozione del padre a brigadiere di pubblica sicurezza, trascorse la sua fanciullezza nella città lombarda, dove frequentò gli studi superiori al liceo Manin, conseguendo la maturità classica. In questi anni si iscrisse al circolo di Ac della parrocchia di S. Agostino a Cremona. Seguendo il fratello nella pratica della scherma, divenne giovanissimo campione nazionale nella specialità del fioretto.
Nel 1941 D. venne ammesso alla Regia accademia militare di Modena dalla quale uscì, nell’agosto del 1943, con il grado di sottotenente e destinato al 114° reggimento fanteria «Mantova», di stanza in Calabria. Nel corso dello stesso anno decise di iscriversi alla scuola di applicazione per ufficiali a Parma.
Fu in questa occupazione che ricevette la notizia della firma dell’armistizio di Cassibile e, insieme ai suoi commilitoni, tentò di organizzare una prima ed efficace opposizione al tentativo di occupazione da parte delle forze naziste presenti in città. Vista la scarsità dei mezzi a disposizione e l’impossibilità di resistere, dovettero dichiarare la resa e D. venne fatto prigioniero dai tedeschi e tradotto in carcere nella fortezza della Cittadella. Ferma rimase la sua volontà di evadere quanto prima per non rimanere in mano ai suoi aguzzini e, dopo soli tre giorni di detenzione, sfruttando la situazione di incertezza venutasi a creare in città, riuscì nel suo intento, scavalcando il muro di recinzione e lasciando la zona del parmense.
Raggiunta la località di Cavaglio d’Agogna, in provincia di Novara, dove il fratello Alfredo nel frattempo era stato nominato comandante di una banda partigiana, scelse di unirsi alla Resistenza per combattere contro l’invasore. La banda guidata dai due fratelli si recò in Valstrona e, dopo aver incontrato il capitano Filippo Beltrami, anch’egli membro dell’Ac e socio dei Laureati di Milano, si costituì come «Brigata Patrioti Valstrona», inserita tra le fila delle Brigate Fiamme Verdi, di dichiarato orientamento cattolico e con a capo lo stesso Beltrami. Fu durante questo periodo che vide la luce la canzone partigiana «Marciam, marciam», spesso intonata dai membri della formazione guidata dal fratello e da Beltrami e che deve il testo proprio a D., che si ispirò per la musica a un’aria di una marcia militare scritta per banda da Alfredo Palombi nel 1875 e particolarmente diffusa tra i bersaglieri, scrivendo di suo pugno le parole adattate al contesto della lotta di liberazione nazionale. Tra i versi si leggono le tracce della natura democratica della formazione, quando si dice: «non c’è tenente né capitano / questa è la marcia dell’ideal / dell’ideal / un partigiano vorrei sposar».
A metà gennaio 1943 D. insieme ad alcuni compagni, tra cui Bruno Rutto, futuro comandante della formazione Beltrami, il comunista Albino Calletti e Alberto Li Gobbi, si portò in località Valsesia, in appoggio alla brigata d’assalto Garibaldi di Vincenzo «Cino» Moscatelli, commissario politico del raggruppamento del Cusio-Verbano-Ossola. Durante la sua permanenza in questa zona nei giorni 17 e 18 di gennaio del 1944 vennero attaccati da preponderanti forze nemiche e D., combattendo con coraggio e grande capacità, fu uno dei protagonisti della cosiddetta battaglia di Roccapietra. La reazione dei nazifascisti fu veemente e a fine gennaio, prima della controffensiva tedesca, venne organizzata dai comandanti della brigata partigiana una ritirata dalla zona della Valstrona per evitare il rastrellamento. Pochi rimasero nella valle per difendere la retroguardia delle formazioni e per permettere loro di muoversi in sicurezza. tra questi ci furono D. e il capitano Beltrami, con alcuni dei loro compagni di battaglia.
La notte tra il 12 e il 13 di febbraio ingenti truppe tedesche si mossero verso le postazioni occupate dalle bande partigiane in località Megolo, una piccola frazione del comune di Pieve Vergonte, con il precipuo scopo di reprimere l’ultimo baluardo di resistenza nella zona e renderla nuovamente sicura. La decisione con la quale intrapresero questa offensiva venne evidenziata dalla schiacciante superiorità numerica con cui i nazifascisti contarono di poter fiaccare in poche ore qualsiasi tentativo di opposizione intrapreso dalla formazione di Beltrami, peraltro ridotta a un numero piuttosto esiguo. Invitato a più riprese dal capitano a mettersi in salvo per raggiungere il fratello e riorganizzare la banda in ritirata, D. rifiutò in maniera decisa la proposta scegliendo di rimanere a combattere con i propri compagni. Durante la battaglia, mentre era intento a coordinare il movimento degli uomini a disposizione, venne colpito al femore dallo scoppio di una granata nemica. Non volendo desistere dal suo compito, si legò l’arto con il fazzoletto che portava al collo e continuò la propria azione spostandosi sul lato sinistro dello schieramento partigiano, il fronte maggiormente colpito dalla violenza dell’attacco tedesco. Essendo la sua compagnia il bersaglio di un fitto lancio di granate e avendo subito una manovra di accerchiamento da parte delle truppe nemiche, D. decise di ordinare ai suoi uomini di ritirarsi in tutta fretta, dirigendosi verso la formazione del capitano Beltrami, che era stato già colpito a morte nel corso del combattimento. Nell’effettuazione di questo spostamento venne però raggiunto da una raffica di mitra e cadde senza vita a terra.
Il 26 settembre 1944, il primo numero del volantino quotidiano «Valtoce», prodotto per i membri della divisione e gli aderenti alla formazione, ricordava il sacrificio di D. scrivendo: «Dedichiamo questo nostro umile lavoro alla cara memoria del puro eroe Antonio di Dio che insieme al Capitano Beltrami sacrificò la sua giovinezza sul campo dell’onore. Con Lui iniziò quel patriottico fermento che per primo seppe innalzare il canto glorioso di un’Italia nuova, senza spiriti di parte, avente come unico fine la libertà della Patria e la gloria dell’antica bandiera tricolore».
L’Università di Pavia, nel 1946, conferì ad Antonio Di Dio la laurea “ad honorem” alla memoria in Giurisprudenza. Per la sua attività in seno alla Resistenza gli venne anche conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, con la qualifica di sottotenente di Fanteria e partigiano combattente, con la seguente motivazione: «Partigiano di indomito valore, già distintosi per ardimento ed audacia in numerosi combattimenti, attaccato da preponderanti forze nazifasciste rifiutava l’ordine di sganciarsi dall’accerchiamento e resisteva sul posto animando e spronando i compagni alla resistenza ad oltranza. Accortosi che il suo comandante, rimasto ferito, era stato accerchiato, accorreva vicino a lui per evitare che venisse sopraffatto dal nemico e con sublime spirito di sacrificio e di abnegazione cercava di metterlo in salvo. Cadeva colpito da una raffica di mitraglia che troncava la sua eroica esistenza offerta in olocausto alla redenzione della Patria. Megolo, 13 febbraio 1944».