Gino Bartali nacque a Ponte a Ema, piccolo centro alle porte di Firenze, il 18 luglio del 1914 da Torello e Giulia Sizzi, terzogenito di una famiglia che si sarebbe allargata a un quarto figlio. Il padre, sterratore e scalpellino, era di ideali socialisti e gli trasmise i valori della solidarietà e dell’onestà; la madre, domestica, gli impartì un’educazione cattolica. A dieci anni divenne socio dell’Azione cattolica, la cui militanza avrebbe sempre orgogliosamente manifestato. A tredici anni, mentre ancora frequentava le scuole, fu mandato al pomeriggio come apprendista in un’officina di biciclette per integrare il reddito della famiglia. Qui giovanissimo maturò definitivamente la passione per il ciclismo, che lo portò a diventare professionista nel 1935. Durante la sua lunga carriera, frenata dalla II Guerra mondiale, vinse tra l’altro tre giri d’Italia, due tour de France, quattro Milano-Sanremo, tre giri di Lombardia, indossando per quattro volte la maglia di campione d’Italia. Nel 1940 sposò Adriana Bani, con la quale ebbe tre figli.
Sempre fieramente distante dal fascismo, di cui, nonostante le pressioni, non volle mai prendere la tessera, su impulso del cardinal Elia Dalla Costa, divenne una sorta di corriere per conto di una rete per il salvataggio degli ebrei avviata dall’arcivescovo di Firenze e il rabbino Nathan Cassuto con il tramite della Delegazione per l’assistenza agli immigrati (Delasem). Sfruttando l’immunità della professione, mentre faceva gli allenamenti tra Firenze e Assisi, portava documenti falsi all’interno della sua bicicletta, per consegnarli alle famiglie dei perseguitati. Con il suo aiuto, B. contribuì al salvataggio di 800 ebrei fra l’armistizio del 1943 e la liberazione di Firenze nell’estate del 1944. Sul suo diario, il partigiano Venanzio Gabriotti di Città di Castello il 14 novembre 1943 annotò: «Il vescovo mi dice che il Vaticano, per corrispondere con dei vescovi, si serve di speciali corrieri ciclisti. Ieri è giunto da lui il noto corridore ciclista Bartali – famoso per le vittorie ottenute nelle corse nazionali e internazionali – con un plico che deve essere recapitato al cardinale Dalla Costa di Firenze». Il riferimento è dovuto al nascondimento presso la cittadina umbra, paese della famiglia della madre, dove B. si tenne coperto per alcuni mesi nel 1943, per sottrarsi alla polizia fascista.
Morì il 5 maggio del 2000 nella sua casa fiorentina.
Il 31 maggio 2005 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò alla moglie la medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell’alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà».
Bartali fu anche riconosciuto come giusto tra le nazioni da Yad Vashem il 23 settembre 2013.
Al di là delle onorificenze, l’entità del coinvolgimento e del reale apporto al salvataggio degli ebrei, è stata recentemente messa in discussione, anche per la mancanza delle prove documentarie, che la stessa istituzione israeliana ha rifiutato di far consultare. Il caso ha naturalmente scatenato un acceso dibattito pubblico, provocando un cortocircuito tra storia e memoria.